di Matteo Burburan
NC-264
11.01.2025
Qualcuno li ha giudicati troppo banali per via della loro forma da "commedia romantica" e per la grande rottura con i film precedenti, altri invece li hanno spesso etichettati come troppo noiosi a causa del loro impianto estremamente teatrale. Nonostante i pareri critici di appassionati o detrattori, i film della saga Comedies et Proverbes (Commedie e Proverbi) , dell’immortale regista francese Éric Rohmer, rappresentano una pietra miliare del cinema degli anni Ottanta e ne cementificano proprio alcuni aspetti, figli di quel periodo, per via della messa in scena di particolarissimi esempi umani. Prima però di chiarire questi aspetti cardine, occorre fare alcune premesse in modo da delineare un quadro comprensivo su queste pellicole.
Rohmer era solito realizzare film raggruppati attorno a nuclei tematici che vengono definiti cicli. Il primo di questi, composto da sei film è Sei racconti morali, a qui seguono 2 pellicole “a se stanti”, il ciclo oggetto di indagine in questo articolo e un ultimo gruppo di 4 film denominato I racconti delle quattro stagioni. Ma procediamo con ordine e chiariamo il titolo di questa raccolta, esso deriva dallo scrittore Alfred de Musset, che lo utilizzò per pubblicare un’antologia delle proprie opere teatrali, recanti titoli simili a brevi aforismi: “Proverbes” designava infatti nella seconda metà del XVIII secolo un genere di dramma molto alla moda. Questi sei film, che sono, in ordine cronologico, La femme de l'aviateur (La moglie dell’aviatore, 1980), Le beau mariage (Il bel matrimonio, 1982), Pauline à la plage (Pauline alla spiaggia, 1982), Les nuits de la pleine lune (Le notti della luna piena, 1984), Le Rayon vert (Il raggio verde, 1986) e L'ami de mon amie (L’amico della mia amica, 1987), sono tendenzialmente delle commedie che pongono nel loro epicentro tematico un proverbio sviluppato all'interno della loro trama. Emerge, perciò, da questi due elementi un forte nesso e un'interessante riflessione sulla funzione della cultura popolare, che era stata, forse per una certa boria, evitata dal regista nella sua produzione precedente.
Questi titoli non descrivono più le situazioni in cui sono inseriti i personaggi - come era stato in precedenza per Ma nuit chez Maud (La mia notte con Maud, 1969) o L'amour l'après-midi (L’amore il pomeriggio, 1972) - ma, come osserva Giancarlo Zappoli nel volume monografico dedicato al cineasta francese, rappresentano un "giochino cinefilo" sui generi, in cui a ogni film corrisponde un’aspettativa non mantenuta su un film di serie B: La femme de l'aviateur suggerirebbe un film romantico-avventuroso, Le beau mariage una commedia, Pauline à la plage un film sensuale di ambientazione balneare, Les nuits de la pleine lune un horror, Le Rayon vert un film fantascientifico e L'ami de mon amie un film erotico.
Questo scarto è segnato, senz’altro, anche dall’adozione della pellicola 16mm, che Rohmer sceglie per La femme de l'aviateur e Le rayon vert e che torna a usare dopo i suoi cortometraggi dei primi anni ’60. Il cinema del regista è sempre stato caratterizzato da un forte tono intimistico, ma nei titoli di questo ciclo l’intromissione quasi voyeuristica nella vita privata dei suoi personaggi viene amplificata e l’uso di questo (economico) formato che ne enfatizza, ancor di più, la dimensione "domestica". I grandi discorsi filosofici ed estetici portati avanti dagli artisti e intellettuali dei film precedenti vengono sostituiti dalle questioni pratiche di una nuova categoria rappresentata perlopiù da studenti e impiegati. Gli ambienti bohémien di Saint-Germain de Prés mostrati ne Le signe du lion (Il segno del Leone, 1959), e quelli lussuosi di Saint Tropez in La collectionneuse (La collezionista, 1967) o di Annecy ne Le genou de Claire (Il ginocchio di Claire, 1970), lasciano spazio ai condomini popolari di Cergy-Pontoise e Marne-la Vallée, mostrati in L'ami de mon amie e Les nuits de la pleine lune, o ai minuscoli monolocali di Parigi di La femme de l'aviateur.
Quello su cui viene messo l’accento nella riflessione di Rohmer in queste pellicole, però, è l’aspetto di costruzione delle relazioni sociali, in particolare quelle tra uomo e donna. Queste vengono senz’altro caratterizzate da un hinc et nunc, ovvero la Francia degli anni ’80, con i suoi necessari orizzonti d’attesa e i suoi costumi, ma hanno anche un certo grado di universalità. I film, infatti, rimangono estremamente ancorati ai proverbi da cui partono e che provengono da una lunga tradizione popolare, dal medioevo di Chretien de Troyes o dalla fine Ottocento di Arthur Rimbaud. Inoltre, la natura teatrale di queste opere, con scene lunghe e fittamente dialogate, fa sì che le situazioni in cui i vari personaggi si trovano possano essere, cambiando ambientazione, ritrovabili anche nella Grecia di Euripide.
Il punto di vista privilegiato, curiosamente, non è quello maschile, genere sessuale che infatti non trova particolare compassione: i ruoli di protagonista sono riservati a personaggi femminili nei primi anni dell’età adulta (con l’esclusione della protagonista quindicenne di Pauline à la plage, anche se la scena viene condivisa con la più matura Marion) alle prese con intricati dilemmi amorosi. Dunque, pur rappresentando questa monotematicità, le donne di queste opere sintetizzano una grande varietà di caratteri e sono poste in situazioni che mettono in dubbio le loro certezze, morali e sociali, in modo completamente diverso le une dalle altre. I rapporti tra i personaggi, soprattutto quelli sentimentali, al centro delle premesse narrative dei vari film, per altro, sono affidati al caso e quasi secondo una suggestiva struttura combinatoria, a un numero illimitato di variazioni.
Compaiono, infatti, personaggi fidanzati che tentano di uscire dalla loro relazione, come Anne in La femme de l'aviateur o Louise e Octave in Les nuits de la pleine lune, e altri, invece, che cercano programmaticamente una storia sentimentale. Tutte queste protagoniste si trovano in condizioni differenti, c'è chi è sposata, chi invece è semplicemente fidanzata o chi è coinvolta in tradimenti o in rapporti extraconiugali. La stessa varietà si può trovare per il secondo novero di personaggi, che oscillano dalla Sabine di Le beau mariage - per cui la personale solitudine esistenziale può trovare una soluzione solo nell’affannata ricerca di un marito - fino alla necessità di omologazione sociale di Delphine in Le Rayon vert, che le impone il costume della vacanza di coppia, subendo, per altro, il confronto con la ben più sciolta Lena, a totale agio in un viaggio in solitaria.
Ammettendo che la varietà, proprio per sua natura, non basta per accomunare questa serie di film, in realtà, c’è una questione che viene sollevata pressoché in tutti i rapporti umani di Comedies et Proverbes: ed è il grande problema dell’impossibilità di una comunicazione. È, infatti, proprio questo che dà avvio a tutti i percorsi di non-formazione che i personaggi, in questo caso sia maschili che femminili, intraprendono. Il topos ottocentesco, poi diventato norma di genere, dell’ingresso in società dei giovani protagonisti (ci si riferisce, per esempio, al Wilhelm Meister di Goethe) viene qui ribaltato per divenire presa di consapevolezza e accettazione del proprio isolamento. La situazione di partenza è sempre quella di un’insoddisfazione relazionale, che porta, dunque, a compiere una parabola di ricerca, mettendo i protagonisti a confronto con paradigmi risolutivi totalmente diversi gli uni dagli altri.
Un caso emblematico è quello di Le beau mariage, dove il motore dell’azione si palesa nella decisione, da parte della studentessa di belle arti Sabine preoccupata per un eterno nubilato, di forzare la ricerca di un marito dopo aver abbandonato una fragile relazione extra-matrimoniale con un artista sulla quarantina (ritorna anche qui, la scelta di Rohmer di mettere da parte questo tipo di personaggi). Il confronto di Sabine, quasi sempre conflittuale, con l’amica Clarisse la mette di fronte a una visione molto diversa dei rapporti interpersonali. Allo stesso modo, il cugino celibe che le presenta, giovane avvocato di successo di nome Edmond, dimostra altre priorità nella vita, a scapito della cecità di Sabine, disperata nel suo innamoramento auto-imposto. Se le premesse e il divertente scarto tra le parole e le azioni della protagonista sono tipiche della commedia, l’esito è piuttosto triste, e la distanza tra Sabine ed Edmond rimane completamente inconciliabile.
Un esempio in forma diversa, con uno scioglimento ben più lieto, si può trovare ne Le Rayon vert. Delphine, la giovane protagonista, trova rimedio alla sua solitudine solo dopo aver accettato la natura di questa condizione attraverso un casuale incontro in stazione segnato dalla lettura di Dostoevskij. Tramite un raffinato gioco di rimandi, che coinvolge il romanzo omonimo di Jules Verne, è proprio il raro fenomeno naturale che dà il titolo al film a rappresentare il dominio del caso nelle logiche relazionali, che, appunto, non fa altro che rimandare la risoluzione del problema. Un’interessante nota a parte la meritano i personaggi più giovani, che mettono in scena un’altra declinazione del tema dell’incomunicabilità generazionale. Ne La femme de l'aviateur, l’affabilità di François con Lucie, la ragazza incontrata al parco Buttes-Chamont durante il pedinamento dell’aviatore del titolo, viene annullata nel finale del film.
La questione, inoltre, assume tratti ben più approfonditi in Pauline à la plage, una commedia degli equivoci che mette in mostra le differenze tra ben tre generazioni. Pauline, la giovane quindicenne, sembra paradossalmente mostrare una maturità senz’altro superiore all’antropologo quarantenne Henri, che oltre ad aver ordito la trama di inganni che muove la storia del film, non si nega un evitabile tentativo di approccio proprio ai danni dall’adolescente, che lo respinge stranita. Ciò che segna la discrepanza, anche con la cugina Marion, è un uso sconvolgente dello strumento della menzogna. La conseguenza è, inevitabilmente, un percorso anti-formativo in Pauline, che esce totalmente sfiduciata dall’utilizzo della parola.
Oltre a al problema esistenziale-ontologico che viene sollevato, però, anche in una sintonia anacronistica con le riflessioni del poeta italiano Vittorio Sereni (la poesia Comunicazione interrotta ne è un esempio lampante), la questione ha anche un’attinenza alla contemporaneità degli anni ’80. Per analizzare questo aspetto diventa di fondamentale importanza valutare i luoghi di ambientazione dei film di Commedie e proverbi. Una grande critica che Rohmer muove al suo tempo è, infatti, l’artificiosità dei complessi residenziali suburbani, come quelli di Marne-la-Vallée presenti in Les nuits de la pleine lune o quelli di Cergy-Pontoise di L'ami de mon amie. Gli spazi naturali diventano dei simulacri: la presenza d’acqua è ridotta a fontane in strutture di cemento e quella degli alberi è limitata a esigue superfici. Ciò che ne consegue è una struttura labirintica antisociale in cui i personaggi sono abbandonati nella confusione e nell’isolamento. In generale, dunque, le situazioni dei film del ciclo mettono in luce un’inconsapevolezza cronica della costituzione della vita di un tessuto di relazioni, in cui è impossibile fare delle proprie scelte morali un vincolo anche per gli altri.
di Matteo Burburan
NC-264
11.01.2025
Qualcuno li ha giudicati troppo banali per via della loro forma da "commedia romantica" e per la grande rottura con i film precedenti, altri invece li hanno spesso etichettati come troppo noiosi a causa del loro impianto estremamente teatrale. Nonostante i pareri critici di appassionati o detrattori, i film della saga Comedies et Proverbes (Commedie e Proverbi) , dell’immortale regista francese Éric Rohmer, rappresentano una pietra miliare del cinema degli anni Ottanta e ne cementificano proprio alcuni aspetti, figli di quel periodo, per via della messa in scena di particolarissimi esempi umani. Prima però di chiarire questi aspetti cardine, occorre fare alcune premesse in modo da delineare un quadro comprensivo su queste pellicole.
Rohmer era solito realizzare film raggruppati attorno a nuclei tematici che vengono definiti cicli. Il primo di questi, composto da sei film è Sei racconti morali, a qui seguono 2 pellicole “a se stanti”, il ciclo oggetto di indagine in questo articolo e un ultimo gruppo di 4 film denominato I racconti delle quattro stagioni. Ma procediamo con ordine e chiariamo il titolo di questa raccolta, esso deriva dallo scrittore Alfred de Musset, che lo utilizzò per pubblicare un’antologia delle proprie opere teatrali, recanti titoli simili a brevi aforismi: “Proverbes” designava infatti nella seconda metà del XVIII secolo un genere di dramma molto alla moda. Questi sei film, che sono, in ordine cronologico, La femme de l'aviateur (La moglie dell’aviatore, 1980), Le beau mariage (Il bel matrimonio, 1982), Pauline à la plage (Pauline alla spiaggia, 1982), Les nuits de la pleine lune (Le notti della luna piena, 1984), Le Rayon vert (Il raggio verde, 1986) e L'ami de mon amie (L’amico della mia amica, 1987), sono tendenzialmente delle commedie che pongono nel loro epicentro tematico un proverbio sviluppato all'interno della loro trama. Emerge, perciò, da questi due elementi un forte nesso e un'interessante riflessione sulla funzione della cultura popolare, che era stata, forse per una certa boria, evitata dal regista nella sua produzione precedente.
Questi titoli non descrivono più le situazioni in cui sono inseriti i personaggi - come era stato in precedenza per Ma nuit chez Maud (La mia notte con Maud, 1969) o L'amour l'après-midi (L’amore il pomeriggio, 1972) - ma, come osserva Giancarlo Zappoli nel volume monografico dedicato al cineasta francese, rappresentano un "giochino cinefilo" sui generi, in cui a ogni film corrisponde un’aspettativa non mantenuta su un film di serie B: La femme de l'aviateur suggerirebbe un film romantico-avventuroso, Le beau mariage una commedia, Pauline à la plage un film sensuale di ambientazione balneare, Les nuits de la pleine lune un horror, Le Rayon vert un film fantascientifico e L'ami de mon amie un film erotico.
Questo scarto è segnato, senz’altro, anche dall’adozione della pellicola 16mm, che Rohmer sceglie per La femme de l'aviateur e Le rayon vert e che torna a usare dopo i suoi cortometraggi dei primi anni ’60. Il cinema del regista è sempre stato caratterizzato da un forte tono intimistico, ma nei titoli di questo ciclo l’intromissione quasi voyeuristica nella vita privata dei suoi personaggi viene amplificata e l’uso di questo (economico) formato che ne enfatizza, ancor di più, la dimensione "domestica". I grandi discorsi filosofici ed estetici portati avanti dagli artisti e intellettuali dei film precedenti vengono sostituiti dalle questioni pratiche di una nuova categoria rappresentata perlopiù da studenti e impiegati. Gli ambienti bohémien di Saint-Germain de Prés mostrati ne Le signe du lion (Il segno del Leone, 1959), e quelli lussuosi di Saint Tropez in La collectionneuse (La collezionista, 1967) o di Annecy ne Le genou de Claire (Il ginocchio di Claire, 1970), lasciano spazio ai condomini popolari di Cergy-Pontoise e Marne-la Vallée, mostrati in L'ami de mon amie e Les nuits de la pleine lune, o ai minuscoli monolocali di Parigi di La femme de l'aviateur.
Quello su cui viene messo l’accento nella riflessione di Rohmer in queste pellicole, però, è l’aspetto di costruzione delle relazioni sociali, in particolare quelle tra uomo e donna. Queste vengono senz’altro caratterizzate da un hinc et nunc, ovvero la Francia degli anni ’80, con i suoi necessari orizzonti d’attesa e i suoi costumi, ma hanno anche un certo grado di universalità. I film, infatti, rimangono estremamente ancorati ai proverbi da cui partono e che provengono da una lunga tradizione popolare, dal medioevo di Chretien de Troyes o dalla fine Ottocento di Arthur Rimbaud. Inoltre, la natura teatrale di queste opere, con scene lunghe e fittamente dialogate, fa sì che le situazioni in cui i vari personaggi si trovano possano essere, cambiando ambientazione, ritrovabili anche nella Grecia di Euripide.
Il punto di vista privilegiato, curiosamente, non è quello maschile, genere sessuale che infatti non trova particolare compassione: i ruoli di protagonista sono riservati a personaggi femminili nei primi anni dell’età adulta (con l’esclusione della protagonista quindicenne di Pauline à la plage, anche se la scena viene condivisa con la più matura Marion) alle prese con intricati dilemmi amorosi. Dunque, pur rappresentando questa monotematicità, le donne di queste opere sintetizzano una grande varietà di caratteri e sono poste in situazioni che mettono in dubbio le loro certezze, morali e sociali, in modo completamente diverso le une dalle altre. I rapporti tra i personaggi, soprattutto quelli sentimentali, al centro delle premesse narrative dei vari film, per altro, sono affidati al caso e quasi secondo una suggestiva struttura combinatoria, a un numero illimitato di variazioni.
Compaiono, infatti, personaggi fidanzati che tentano di uscire dalla loro relazione, come Anne in La femme de l'aviateur o Louise e Octave in Les nuits de la pleine lune, e altri, invece, che cercano programmaticamente una storia sentimentale. Tutte queste protagoniste si trovano in condizioni differenti, c'è chi è sposata, chi invece è semplicemente fidanzata o chi è coinvolta in tradimenti o in rapporti extraconiugali. La stessa varietà si può trovare per il secondo novero di personaggi, che oscillano dalla Sabine di Le beau mariage - per cui la personale solitudine esistenziale può trovare una soluzione solo nell’affannata ricerca di un marito - fino alla necessità di omologazione sociale di Delphine in Le Rayon vert, che le impone il costume della vacanza di coppia, subendo, per altro, il confronto con la ben più sciolta Lena, a totale agio in un viaggio in solitaria.
Ammettendo che la varietà, proprio per sua natura, non basta per accomunare questa serie di film, in realtà, c’è una questione che viene sollevata pressoché in tutti i rapporti umani di Comedies et Proverbes: ed è il grande problema dell’impossibilità di una comunicazione. È, infatti, proprio questo che dà avvio a tutti i percorsi di non-formazione che i personaggi, in questo caso sia maschili che femminili, intraprendono. Il topos ottocentesco, poi diventato norma di genere, dell’ingresso in società dei giovani protagonisti (ci si riferisce, per esempio, al Wilhelm Meister di Goethe) viene qui ribaltato per divenire presa di consapevolezza e accettazione del proprio isolamento. La situazione di partenza è sempre quella di un’insoddisfazione relazionale, che porta, dunque, a compiere una parabola di ricerca, mettendo i protagonisti a confronto con paradigmi risolutivi totalmente diversi gli uni dagli altri.
Un caso emblematico è quello di Le beau mariage, dove il motore dell’azione si palesa nella decisione, da parte della studentessa di belle arti Sabine preoccupata per un eterno nubilato, di forzare la ricerca di un marito dopo aver abbandonato una fragile relazione extra-matrimoniale con un artista sulla quarantina (ritorna anche qui, la scelta di Rohmer di mettere da parte questo tipo di personaggi). Il confronto di Sabine, quasi sempre conflittuale, con l’amica Clarisse la mette di fronte a una visione molto diversa dei rapporti interpersonali. Allo stesso modo, il cugino celibe che le presenta, giovane avvocato di successo di nome Edmond, dimostra altre priorità nella vita, a scapito della cecità di Sabine, disperata nel suo innamoramento auto-imposto. Se le premesse e il divertente scarto tra le parole e le azioni della protagonista sono tipiche della commedia, l’esito è piuttosto triste, e la distanza tra Sabine ed Edmond rimane completamente inconciliabile.
Un esempio in forma diversa, con uno scioglimento ben più lieto, si può trovare ne Le Rayon vert. Delphine, la giovane protagonista, trova rimedio alla sua solitudine solo dopo aver accettato la natura di questa condizione attraverso un casuale incontro in stazione segnato dalla lettura di Dostoevskij. Tramite un raffinato gioco di rimandi, che coinvolge il romanzo omonimo di Jules Verne, è proprio il raro fenomeno naturale che dà il titolo al film a rappresentare il dominio del caso nelle logiche relazionali, che, appunto, non fa altro che rimandare la risoluzione del problema. Un’interessante nota a parte la meritano i personaggi più giovani, che mettono in scena un’altra declinazione del tema dell’incomunicabilità generazionale. Ne La femme de l'aviateur, l’affabilità di François con Lucie, la ragazza incontrata al parco Buttes-Chamont durante il pedinamento dell’aviatore del titolo, viene annullata nel finale del film.
La questione, inoltre, assume tratti ben più approfonditi in Pauline à la plage, una commedia degli equivoci che mette in mostra le differenze tra ben tre generazioni. Pauline, la giovane quindicenne, sembra paradossalmente mostrare una maturità senz’altro superiore all’antropologo quarantenne Henri, che oltre ad aver ordito la trama di inganni che muove la storia del film, non si nega un evitabile tentativo di approccio proprio ai danni dall’adolescente, che lo respinge stranita. Ciò che segna la discrepanza, anche con la cugina Marion, è un uso sconvolgente dello strumento della menzogna. La conseguenza è, inevitabilmente, un percorso anti-formativo in Pauline, che esce totalmente sfiduciata dall’utilizzo della parola.
Oltre a al problema esistenziale-ontologico che viene sollevato, però, anche in una sintonia anacronistica con le riflessioni del poeta italiano Vittorio Sereni (la poesia Comunicazione interrotta ne è un esempio lampante), la questione ha anche un’attinenza alla contemporaneità degli anni ’80. Per analizzare questo aspetto diventa di fondamentale importanza valutare i luoghi di ambientazione dei film di Commedie e proverbi. Una grande critica che Rohmer muove al suo tempo è, infatti, l’artificiosità dei complessi residenziali suburbani, come quelli di Marne-la-Vallée presenti in Les nuits de la pleine lune o quelli di Cergy-Pontoise di L'ami de mon amie. Gli spazi naturali diventano dei simulacri: la presenza d’acqua è ridotta a fontane in strutture di cemento e quella degli alberi è limitata a esigue superfici. Ciò che ne consegue è una struttura labirintica antisociale in cui i personaggi sono abbandonati nella confusione e nell’isolamento. In generale, dunque, le situazioni dei film del ciclo mettono in luce un’inconsapevolezza cronica della costituzione della vita di un tessuto di relazioni, in cui è impossibile fare delle proprie scelte morali un vincolo anche per gli altri.