INT-38
25.06.2023
Blu Yoshimi, giovane attrice italiana emergente. Ha ottenuto il secondo nome dal leader spirituale Daisaku Ikeda. Esordisce alla tenerissima età di 8 anni in un ruolo televisivo, trova la notorietà recitando la parte di Claudia nel film Caos Calmo (2008), vicino a Nanni Moretti - protagonista del film - che, ricordandosi di lei, le assegna un piccolo ma significativo ruolo nel suo ultimo film: Il sol dell’avvenire (2023). Tanti ruoli secondari e la passione per il teatro, che la vede anche autrice e protagonista dello spettacolo L’isola che non c’è, presentato recentemente al Teatro Palladium di Roma, la sua città. E finalmente due ruoli da protagonista in Piuma (2016) e Likemeback (2018).
L’incontro avviene al Chakra Cafè, attorniati da piccioni e dall’atmosfera tipica di un locale trasteverino. Arriva stanca da alcune prove teatrali ma si dimostra subito un vulcano di propositi, idee, emozioni. Tra un prosecco e un ginger beer prende forma, più che un’intervista, un dialogo aperto, sostenibile, prolifico. Ci si rilassa ed è da quell’istante che Blu prende il sopravvento, raccontandosi a cuore aperto.
Comincerei dal tuo splendido nome: Blu. Blu come il mare? Ti dona una qualche forma di libertà il tuo nome? Il blu è un colore caldo, parafrasando un noto film che immagino tu abbia visto.
C’è un libertà in entrambi i miei nomi. Ho avvertito una certa indipendenza nel definirmi dal punto di vista del nome. Venivo presa in giro, sono stata chiamata Manga, Sashimi, come solitamente accade con le cose abbastanza uniche. Spesso mi mette in imbarazzo perché è come se ogni volta che mi nominano, dovessi cominciare a parlare di me stessa. Detto questo, a me piace molto parlare e confidarmi con le persone. Questo nome è stato da subito un simbolo, un forte segno d’individualità. Penso di essere stata una bambina con una forte personalità, una piccola adulta. Questa decisione me la ricordo come una vera decisione. “Io sono Blu Yoshimi”, mi sono detta. Inoltre, c’è anche un lato fortemente spirituale. Sono nata con i genitori entrambi buddhisti, membri dell’organizzazione di Daisaku Ikeda, e pratico questo credo sin dall’età di dodici anni. Mi piace che questa parte di me sia l’immagine che mi accompagna, che non sia separata tra la me attrice e la me essere umano. Due cose che convivono, com’è giusto che sia.
Hai cominciato da bambina. Chi o cosa ti ha spinto a recitare? E cosa provi quando sei sul set davanti la cinepresa o in scena su un palcoscenico?
Per quanto sia complesso, iniziare a lavorare da bambina, è un bagaglio enorme che poi ti porti appresso nella vita adulta. Sono figlia di un’attrice fenomenale e con lei sono cresciuta in maniera esponenziale. L’ho seguita tantissimo, nei backstage, negli esercizi. Lei ha fatto tanto metodo. Mi ricordo quei momenti là e i giorni di set. Cosa provo non lo decido io alla fine. Spesso si rivela una grande sorpresa, ma poi è come se ci fosse un grande Dio che mi sposta da una parte all’altra, e penso che infondo il lavoro dell’attrice sia proprio quello di mettersi al servizio di una storia. Questo per sottolineare che le storie sono fondamentali e bisogna essere dei buoni attori affinché il pubblico si identifichi con noi. Ho iniziato a scrivere qualche anno fa anche cose mie, recentemente ho portato al teatro Palladium un mio testo. Secondo me funziona molto la collaborazione autore-attori. Si tratta di uno scambio vicendevole piuttosto proficuo se impostato nella maniera giusta. Adesso sto facendo uno spettacolo con Silvio Orlando, Francesco Brandi e Francesca Botti, scritto da Pablo Ramón e intitolato I Ciarlatani. È un testo incredibile. I ruoli sono scritti benissimo e mi sento fortunata quando incontro autori di questo livello.
All’"azione" del regista cosa esattamente vibra in te? Riusciresti a descriverlo con una frase?
D’istinto ti direi la paura, ma il mio lavoro inizia molto prima dell’azione. Comincia quando leggo la sceneggiatura. Quindi, è come se fosse la continuazione di qualcos’altro. Io ci devo arrivare all’azione. Devo essere organizzata. Mi adatto a lui, per carità, però ci arrivo in maniera organica, come se fosse un procedimento in medias res. Likemeback ad esempio è uno di quei film in cui molte situazioni sono state catturate partendo da momenti off-cut. Lo abbiamo scritto progressivamente, tra un giorno e l’altro di set. La sceneggiatura inizialmente era di dodici pagine.
Qualche considerazione generica sul mestiere dell’attore e poi sul mestiere dell’attrice oggi in Italia.
Non possiamo essere generici, credo sia necessario essere specifici. Bisogna esserlo, altrimenti è un disastro. Principalmente si tratta di un lavoro per privilegiati, per tantissimi motivi. Dall’altra, è come se ci fosse una contraddizione costante, perché viene sottovalutato e visto come un gioco. Come se non ci fosse tanta cura per gli attori ma più per l’immagine dell’attore. Ho letto un’intervista bellissima di Valeria Bruni Tedeschi in cui diceva che gli attori sono degli esseri delicati, cui è richiesto di essere sempre esposti, poi però la gente si lamenta quando si rivelano più vulnerabili, quando come tutti gli esseri umani commettono degli errori. Ci possono essere grandi attrici, ma se continuiamo a raccontare per stereotipi tutto diventa più complicato. Ai provini ora mi stanno capitando dei ruoli più interessanti. Spesso capitano richieste degradanti. Tipo quella di dover essere carina e gentile. Quindi penso: cosa fa una ragazza carina, cosa le piace, cosa mangia, che pensa, come si relazione alle persone, cosa ha studiato? Si sveglia ed è carina. Ma non capisco cosa significhi. Altre volte: “Descrizione: la fidanzata di Mario”. Quindi? Chi è? Non ci aiutano nella preparazione. Alcuni provini sono stati emozionanti, ad esempio quello per il film Il Nido (2019). Credo siano un allenamento, indipendentemente dal fatto se si venga selezionati o meno. Prima di andare ad un provino penso sia importante, un’accortezza, andarmi a vedere dei film di quel regista, proprio per comprendere il suo percorso, la sua poetica, la sua visione.
La tua formazione cinefila e un aspetto che ha segnato in maniera decisiva il tuo percorso?
Sono propensa a vedere quei film che non vede nessuno. Ne parlo e nessuno sembra conoscerli. Ho un enorme problema di memoria, inoltre. Posso vedere un film tre volte e non mi ricordo poi alcuni passaggi importanti. Non posso parlare di cinema. E mi succede lo stesso con i libri. Ad ogni modo ho fatto il Dams e ho comunque visto molti film. Andavo al cinema con un taccuino e mi segnavo le cose che più mi colpivano. Come regista il primo che mi viene in mente è Kubrick. Il primo lavoro sul personaggio è stato a sedici anni su Lolita (1962). Il ruolo che mi ha segnato è quello ne Il Nido, che purtroppo ha avuto una distribuzione immeritata. Interpreto il mostro. E’ una storia a due e sembra una pièce teatrale. Lo abbiamo girato in spagnolo, ma è stato distribuito solo in italiano. Un film molto liberatorio. Una storia che indaga la manipolazione nel senso di violenza di genere. Un film nel quale si confondono i ruoli di carnefice e di vittima. Un lavoro catartico, una vera e propria sfida. Non è stato facile, perché con l’horror si rischia più facilmente di scivolare nella banalità.
Qualche nome di registi con i quali sogni di lavorare.
Phoebe Waller Bridge. L’autrice-attrice della serie tv Fleabag. Greta Gerwig, Noah Baumbach, Matteo Garrone. A me piacciono molto le opere prime, i registi giovani.
"Quindi mi stai suggerendo di tenerti in considerazione per il mio prossimo film”, mi viene d’istinto dire.
Assolutamente, sì.
Blu in prospettiva. Dove ti vedi? Come ti stai muovendo per compiere al meglio i tuoi propositi creativi?
Sto cercando di rimanere più possibile nel presente. Ho bisogno di lentezza. Vengo da due anni piuttosto tosti. Necessito di una lentezza interiore per fare quello di cui ho bisogno. Però in fin dei conti sono una biglia agitata, perché ho un sacco di progetti. Vorrei far tornare in scena il mio Peter Pan, scritto con Gemma Costa. Ho un corto in cantiere assieme a Simone Ruocco. Ho un soggetto per un lungo. Ho in mente un documentario su un progetto musicale messo in piedi dal mio ragazzo. Questa è la prima volta in cui mi trovo in un periodo di continuità lavorativa che mi permette di rimanere in allenamento costante. Però sono una persona talmente curiosa che avverto sempre la necessità di provare qualcosa di completamente diverso. Mi piacerebbe molto fare musical, perché canto ed è un mio sogno. Io amo il cinema d’autore ma ho bisogno d’immergermi e se possibile farei anche una commedia demenziale. Questa estate per la prima volta vado in Giappone. Vado alla ricerca di questa Yoshimi. Passo, passo è il motto di fondo.
Passo, passo, si fa molto e si arriva lontano.
INT-38
25.06.2023
Blu Yoshimi, giovane attrice italiana emergente. Ha ottenuto il secondo nome dal leader spirituale Daisaku Ikeda. Esordisce alla tenerissima età di 8 anni in un ruolo televisivo, trova la notorietà recitando la parte di Claudia nel film Caos Calmo (2008), vicino a Nanni Moretti - protagonista del film - che, ricordandosi di lei, le assegna un piccolo ma significativo ruolo nel suo ultimo film: Il sol dell’avvenire (2023). Tanti ruoli secondari e la passione per il teatro, che la vede anche autrice e protagonista dello spettacolo L’isola che non c’è, presentato recentemente al Teatro Palladium di Roma, la sua città. E finalmente due ruoli da protagonista in Piuma (2016) e Likemeback (2018).
L’incontro avviene al Chakra Cafè, attorniati da piccioni e dall’atmosfera tipica di un locale trasteverino. Arriva stanca da alcune prove teatrali ma si dimostra subito un vulcano di propositi, idee, emozioni. Tra un prosecco e un ginger beer prende forma, più che un’intervista, un dialogo aperto, sostenibile, prolifico. Ci si rilassa ed è da quell’istante che Blu prende il sopravvento, raccontandosi a cuore aperto.
Comincerei dal tuo splendido nome: Blu. Blu come il mare? Ti dona una qualche forma di libertà il tuo nome? Il blu è un colore caldo, parafrasando un noto film che immagino tu abbia visto.
C’è un libertà in entrambi i miei nomi. Ho avvertito una certa indipendenza nel definirmi dal punto di vista del nome. Venivo presa in giro, sono stata chiamata Manga, Sashimi, come solitamente accade con le cose abbastanza uniche. Spesso mi mette in imbarazzo perché è come se ogni volta che mi nominano, dovessi cominciare a parlare di me stessa. Detto questo, a me piace molto parlare e confidarmi con le persone. Questo nome è stato da subito un simbolo, un forte segno d’individualità. Penso di essere stata una bambina con una forte personalità, una piccola adulta. Questa decisione me la ricordo come una vera decisione. “Io sono Blu Yoshimi”, mi sono detta. Inoltre, c’è anche un lato fortemente spirituale. Sono nata con i genitori entrambi buddhisti, membri dell’organizzazione di Daisaku Ikeda, e pratico questo credo sin dall’età di dodici anni. Mi piace che questa parte di me sia l’immagine che mi accompagna, che non sia separata tra la me attrice e la me essere umano. Due cose che convivono, com’è giusto che sia.
Hai cominciato da bambina. Chi o cosa ti ha spinto a recitare? E cosa provi quando sei sul set davanti la cinepresa o in scena su un palcoscenico?
Per quanto sia complesso, iniziare a lavorare da bambina, è un bagaglio enorme che poi ti porti appresso nella vita adulta. Sono figlia di un’attrice fenomenale e con lei sono cresciuta in maniera esponenziale. L’ho seguita tantissimo, nei backstage, negli esercizi. Lei ha fatto tanto metodo. Mi ricordo quei momenti là e i giorni di set. Cosa provo non lo decido io alla fine. Spesso si rivela una grande sorpresa, ma poi è come se ci fosse un grande Dio che mi sposta da una parte all’altra, e penso che infondo il lavoro dell’attrice sia proprio quello di mettersi al servizio di una storia. Questo per sottolineare che le storie sono fondamentali e bisogna essere dei buoni attori affinché il pubblico si identifichi con noi. Ho iniziato a scrivere qualche anno fa anche cose mie, recentemente ho portato al teatro Palladium un mio testo. Secondo me funziona molto la collaborazione autore-attori. Si tratta di uno scambio vicendevole piuttosto proficuo se impostato nella maniera giusta. Adesso sto facendo uno spettacolo con Silvio Orlando, Francesco Brandi e Francesca Botti, scritto da Pablo Ramón e intitolato I Ciarlatani. È un testo incredibile. I ruoli sono scritti benissimo e mi sento fortunata quando incontro autori di questo livello.
All’"azione" del regista cosa esattamente vibra in te? Riusciresti a descriverlo con una frase?
D’istinto ti direi la paura, ma il mio lavoro inizia molto prima dell’azione. Comincia quando leggo la sceneggiatura. Quindi, è come se fosse la continuazione di qualcos’altro. Io ci devo arrivare all’azione. Devo essere organizzata. Mi adatto a lui, per carità, però ci arrivo in maniera organica, come se fosse un procedimento in medias res. Likemeback ad esempio è uno di quei film in cui molte situazioni sono state catturate partendo da momenti off-cut. Lo abbiamo scritto progressivamente, tra un giorno e l’altro di set. La sceneggiatura inizialmente era di dodici pagine.
Qualche considerazione generica sul mestiere dell’attore e poi sul mestiere dell’attrice oggi in Italia.
Non possiamo essere generici, credo sia necessario essere specifici. Bisogna esserlo, altrimenti è un disastro. Principalmente si tratta di un lavoro per privilegiati, per tantissimi motivi. Dall’altra, è come se ci fosse una contraddizione costante, perché viene sottovalutato e visto come un gioco. Come se non ci fosse tanta cura per gli attori ma più per l’immagine dell’attore. Ho letto un’intervista bellissima di Valeria Bruni Tedeschi in cui diceva che gli attori sono degli esseri delicati, cui è richiesto di essere sempre esposti, poi però la gente si lamenta quando si rivelano più vulnerabili, quando come tutti gli esseri umani commettono degli errori. Ci possono essere grandi attrici, ma se continuiamo a raccontare per stereotipi tutto diventa più complicato. Ai provini ora mi stanno capitando dei ruoli più interessanti. Spesso capitano richieste degradanti. Tipo quella di dover essere carina e gentile. Quindi penso: cosa fa una ragazza carina, cosa le piace, cosa mangia, che pensa, come si relazione alle persone, cosa ha studiato? Si sveglia ed è carina. Ma non capisco cosa significhi. Altre volte: “Descrizione: la fidanzata di Mario”. Quindi? Chi è? Non ci aiutano nella preparazione. Alcuni provini sono stati emozionanti, ad esempio quello per il film Il Nido (2019). Credo siano un allenamento, indipendentemente dal fatto se si venga selezionati o meno. Prima di andare ad un provino penso sia importante, un’accortezza, andarmi a vedere dei film di quel regista, proprio per comprendere il suo percorso, la sua poetica, la sua visione.
La tua formazione cinefila e un aspetto che ha segnato in maniera decisiva il tuo percorso?
Sono propensa a vedere quei film che non vede nessuno. Ne parlo e nessuno sembra conoscerli. Ho un enorme problema di memoria, inoltre. Posso vedere un film tre volte e non mi ricordo poi alcuni passaggi importanti. Non posso parlare di cinema. E mi succede lo stesso con i libri. Ad ogni modo ho fatto il Dams e ho comunque visto molti film. Andavo al cinema con un taccuino e mi segnavo le cose che più mi colpivano. Come regista il primo che mi viene in mente è Kubrick. Il primo lavoro sul personaggio è stato a sedici anni su Lolita (1962). Il ruolo che mi ha segnato è quello ne Il Nido, che purtroppo ha avuto una distribuzione immeritata. Interpreto il mostro. E’ una storia a due e sembra una pièce teatrale. Lo abbiamo girato in spagnolo, ma è stato distribuito solo in italiano. Un film molto liberatorio. Una storia che indaga la manipolazione nel senso di violenza di genere. Un film nel quale si confondono i ruoli di carnefice e di vittima. Un lavoro catartico, una vera e propria sfida. Non è stato facile, perché con l’horror si rischia più facilmente di scivolare nella banalità.
Qualche nome di registi con i quali sogni di lavorare.
Phoebe Waller Bridge. L’autrice-attrice della serie tv Fleabag. Greta Gerwig, Noah Baumbach, Matteo Garrone. A me piacciono molto le opere prime, i registi giovani.
"Quindi mi stai suggerendo di tenerti in considerazione per il mio prossimo film”, mi viene d’istinto dire.
Assolutamente, sì.
Blu in prospettiva. Dove ti vedi? Come ti stai muovendo per compiere al meglio i tuoi propositi creativi?
Sto cercando di rimanere più possibile nel presente. Ho bisogno di lentezza. Vengo da due anni piuttosto tosti. Necessito di una lentezza interiore per fare quello di cui ho bisogno. Però in fin dei conti sono una biglia agitata, perché ho un sacco di progetti. Vorrei far tornare in scena il mio Peter Pan, scritto con Gemma Costa. Ho un corto in cantiere assieme a Simone Ruocco. Ho un soggetto per un lungo. Ho in mente un documentario su un progetto musicale messo in piedi dal mio ragazzo. Questa è la prima volta in cui mi trovo in un periodo di continuità lavorativa che mi permette di rimanere in allenamento costante. Però sono una persona talmente curiosa che avverto sempre la necessità di provare qualcosa di completamente diverso. Mi piacerebbe molto fare musical, perché canto ed è un mio sogno. Io amo il cinema d’autore ma ho bisogno d’immergermi e se possibile farei anche una commedia demenziale. Questa estate per la prima volta vado in Giappone. Vado alla ricerca di questa Yoshimi. Passo, passo è il motto di fondo.
Passo, passo, si fa molto e si arriva lontano.