INT-47
25.10.2023
Dopo 7 anni di pausa, lo scorso settembre, durante l’ottantesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, è stato presentato in concorso l’ultimo film della regista belga Fien Troch: Holly. Con alle spalle quattro lungometraggi e la vittoria, sempre a Venezia, come miglior regista nella sezione Orizzonti del 2016 per il film Home, Troch, da sempre legata alle tematiche del mondo giovanile, ritorna sul grande schermo con un’opera intrigante, e dai tratti horror, che ritrae la spaventosa realtà della vita. La storia ruota attorno ad una ragazza di quindici anni che, dopo aver predetto una tragedia che colpirà la sua scuola, comincia ad essere letteralmente perseguitata dalle persone della sua comunità che vedono in lei un dono soprannaturale.
Holly verrà presentato domani alla Festa del cinema di Roma, nella sezione Alice nella città. Abbiamo avuto l’occasione di intervistare Fien Troch e di discutere con lei della sua nuova opera e del suo approccio al mondo adolescenziale.
Come è andata a Venezia? Come è stato presentare il tuo film nel concorso ufficiale, dopo essere stata premiata nella sezione Orizzonti del 2016?
Ovviamente il mio grande obiettivo era quello di fare un passo avanti. Non è che Orizzonti non fosse sufficiente, ma puntavo a qualcosa di più. È forse un cliché, ma è stato un sogno che è diventato realtà. Fino a che non sono arrivata a Venezia non ho realizzato che le persone lo avrebbero visto e giudicato, quindi ero un po’ in tensione, ma allo stesso tempo ho provato a non dimenticare che il mio grande obiettivo era di arrivare lì e nessuno me lo avrebbe portato via, quindi, dopo la proiezione ho tirato un sospiro di sollievo.
Mi piace molto che tu abbia giocato sul termine Holy, chiamando la tua protagonista Holly. È nato prima il nome del personaggio o il suo dono “soprannaturale”?
Credo che il nome sia arrivato prima, ma già sapevo che sarebbe stata una ragazza speciale e la vicinanza del nome Holly con il termine Holy (santa) è qualcosa a cui ho riflettuto dopo. Holly per me è un nome che racchiude qualcosa di davvero dolce e innocente. Stavo cercando un personaggio con queste caratteristiche, solo dopo è diventata un’adolescente con poteri soprannaturali, vicini alla santità. È stato casuale.
Holly, racconta perfettamente come spesso non veniamo visti per ciò che siamo davvero ma per ciò che le persone vorrebbero che noi fossimo. Credi che questo sia un tema molto importante tra i giovani d’oggi? Qual è stata la necessità che ti ha portato a voler affrontare questa tematica?
Il bisogno di cui parli credo fosse quello di far riferimento alla complessità umana, non solo circoscritta agli adolescenti, ma, più in generale, a quando ci presentiamo agli altri e veniamo visti in un determinato modo, e, ovviamente, questa è una dinamica particolarmente rilevante quando si è giovani. Nel mio film precedente, Home, per esempio, il bisogno era quello di raccontare come gli adulti abbiano la costante necessità di giudicarti e insegnarti solo perché la società impone questo approccio, ma anche loro non sono perfetti…e poi c’è una sorta di mancanza di rispetto nel capire i giovani, e questo è davvero sbagliato perché loro sono il nostro futuro e se non vediamo il loro valore e li trattiamo con indifferenza sarà davvero dannoso per il mondo che stiamo costruendo. Non credo che Holly tratti questo aspetto ma, in certo senso, affronta la complessità nell'ascoltare, capire e prendersi cura degli altri, cercando di mettersi nei loro panni.
Ciò che vedo nei tuoi film è lo sguardo di una persona che vive quelle cose e le riesce a raccontare senza giudizio. Come riesci a guardare le nuove generazioni senza alcun filtro e a connetterti con loro? Svolgi delle ricerche che ti aiutano?
Se devo riconoscere un mio talento, credo sia quello di sapermi mettere nei panni di qualcun altro, una cosa molto utile quando sei una regista, ma anche nella vita reale. Credo di avere un vantaggio, ma alla fine anche io giudico le persone, solo che cerco di comprendere perché gli altri fanno ciò che fanno, anche le cose più orribili. Non significa che sono d’accordo con loro, ma credo ci sia sempre una ragione, non è tutto bianco o nero. Ricordo che mentre giravo il mio lavoro precedente, Home, avevo paura di fare un film che rappresentasse esclusivamente la mia visione del mondo adolescenziale, ma poi mi sono resa conto che è stato facilissimo ritornare con la mente a quei momenti, a quei sentimenti, e mi sono facilmente connessa a loro, perchè quando parli con i giovani con empatia, e capisci chi sono davvero, cosa vogliono, ti dimentichi di te stessa e condividi i medesimi stati d’animo. Se accetti quello che i giovani attori ti danno, metà del lavoro è fatto, ma se inizi a pensare come un regista “questo è quello che vorrei”, può funzionare, ma poi ti dimentichi com’è la realtà dell’essere adolescente e imponi a loro un immaginario fittizio.
Holly e Bart, il suo migliore amico affetto da un disturbo non esplicitato, sono come due facce della stessa medaglia. Anche se in modi diversi, Holly è amata dalle persone, mentre Bart ne viene respinto, entrambi vivono la stessa ingiustizia di essere visti per ciò che non sono. Bart, però, sente la necessità di avere Holly accanto per stare bene, e per questo la ricerca costantemente. Non credi che anche lui, in qualche modo, voglia Holly come amica solo per un suo bisogno personale e non in totale disinteresse?
È molto interessante perché per me Bart è l’unico che non vuole “una fetta della torta” come tutti gli altri, lui è puro, ma è vero quello che dici, che ciò che vuole è stare con lei perché è l’unica persona con cui si sente al sicuro e compreso, ma è una cosa reciproca. Bart non ha mai ingannato o fatto qualcosa di sbagliato nei confronti di Holly, ma, in un certo senso, ha bisogno di lei come tutti gli altri. La ragione per cui Holly accetta questa relazione è perché sa che lui non è mai nel torto intenzionalmente. È un’amicizia pura ma anche di necessità perché hanno bisogno l’uno dell’altro, non in modo egoistico come fanno gli altri personaggi del film.
Sai, ripensando al tuo film, non ho fatto a meno di riflettere che, per quanto siano due opere stilisticamente molto diverse, la prima scena di Holly mi ha indubbiamente rimandato ad Elephant (2003) di Gus Van Sant nel modo in cui segui i tuoi personaggi in un momento di quotidianità adolescenziale. Poi è indubbia la vicinanza tra i due film rispetto all’iniziale argomento della tragedia che colpisce una scuola. Anche in Home ho riscontrato dei momenti molto vicini a Paranoid Park (2007) quando per esempio John viene interrogato dal poliziotto, o all’inizio del film quando Lina parla con il preside.
Elephant non era una reference diretta per il mio film, ma sono una grande fan di Van Sant e credo che sia incredibile ciò che riesce a fare: raccontare gli adolescenti senza creare una distanza tra lui e loro. Non esplicita mai “io sono qui e sto raccontando questo”. Ricordo quando ho visto Elephant la prima volta, sono rimasta senza parole perché sembrava così giusto e onesto il modo in cui li stava raccontando. Riesce a mostrare la noia di quel mondo, quando a volte non sai cosa dire e rimani in silenzio, senza rendere accattivante la vita di tutti i giorni degli adolescenti, questo è quello che fanno di solito i giovani. È così reale, e puro.
Rispetto ad Home - dove il tuo stile ricorda quello documentaristico - in Holly prediligi una macchina ferma e inquadrature più studiate. Come si è evoluto il tuo stile e in base a cosa scegli come raccontare una storia?
Per ogni film che faccio non penso mai “cerco il mio stile e faccio questo film con questo stile”, rifletto solo su quale sia la scelta stilistica necessaria alla storia. L’unica cosa che sapevo di Holly è che non avrebbe avuto lo stesso stile di Home, volevo cercare un approccio diverso da quello documentaristico. Home è stato un progetto molto chiaro, avevamo solo un paio di regole su come girarlo, per Holly invece ho dovuto cercare un approccio realistico che, allo stesso tempo, permettesse allo spettatore di credere che ci fosse qualcosa di magico in lei senza marcare generi come il thriller o l’horror, quindi, è diventato un’unione di stili, che è stato rischioso per me, ma credo che funzioni per il suo personaggio.
Mi piacerebbe sapere come hai collaborato con il tuo compositore su Holly? Che suggerimenti gli hai dato? È stato un processo iniziato in scrittura o in montaggio?
Johnny, il compositore, ha letto il copione e ha iniziato a scrivere solo durante il montaggio. Lui è un musicista elettronico e mi ricordo che gli avevo suggerito di usare “piccole campane” e lui ha detto che stava pensando la stessa cosa, eravamo sulla stessa linea d’onda. Volevamo dare l’idea di una ragazza innocente e dolce ma creare anche l’impressione che ci fosse qualcosa di sbagliato, che stesse succedendo qualcosa. Abbiamo sperimentato molto, e lavorato tanto sul trovare le tracce giuste per mantenere questo equilibrio nel raccontare Holly.
Il casting e la scelta degli attori è un aspetto molto importante dei tuoi film. Come lavori in genere sul casting, e in particolare per Holly quanto tempo hai impiegato a trovare la tua protagonista?
Le basi per me sono avere un casting director che mi capisca subito e che riesca a trovare non un attore che interpreti un personaggio ma la persona che sto cercando. Sapevo chiaramente come doveva essere Holly ma allo stesso tempo volevo vedere cosa riuscivo a trovare durante il casting. Cathalina è stata incredibile nel suo provino e sapevo che se non fosse stata Holly, le avrei comunque dato una parte. Era estremamente normale, non aveva niente di speciale, ed era questa la sua forza, perché è come Holly: una ragazza normale che diventa speciale agli occhi degli altri durante il film.
I titoli dei tuoi ultimi tre film sono essenziali, Kid (2012), Home (2016) e Holly (2023).Come mai questa scelta? Pensi che insieme possano creare come una sorta di trilogia sull’adolescenza?
Innanzitutto, sono pessima nello scegliere i titoli, quindi finisco sempre per scegliere qualcosa di essenziale. Mi ricordo che per Home, ho riflettuto molto ma poi mi sono resa conto che era l’unico titolo che raccontasse a pieno quel film. Questi tre film potrebbero effettivamente ricordare una trilogia per questo focus sull’adolescenza, ma direi che ancora non è finita, sento l’urgenza di continuarla. Ho altri tre progetti in mente, e uno di questi è su un ragazzino, ma non voglio pensare “ho finito di raccontare quell’argomento, adesso passo ad altro”, voglio essere libera di cambiare o tornare su un focus così vasto come quello dei giovani. Ricordo che quando ho fatto Home ho pensato, “non voglio diventare la regista degli adolescenti”, ma poi ho sentito l’esigenza di raccontare un’altra storia con un adolescente. Non è qualcosa che scelgo, ma dipende da come mi sento, è come quando si dipinge e non ci si prefigge in partenza qualcosa, ma lo si fa spontaneamente. Il mio obiettivo ora è diventare più veloce nello scrivere e aumentare la mia creatività. Essere più proficua.
INT-47
25.10.2023
Dopo 7 anni di pausa, lo scorso settembre, durante l’ottantesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, è stato presentato in concorso l’ultimo film della regista belga Fien Troch: Holly. Con alle spalle quattro lungometraggi e la vittoria, sempre a Venezia, come miglior regista nella sezione Orizzonti del 2016 per il film Home, Troch, da sempre legata alle tematiche del mondo giovanile, ritorna sul grande schermo con un’opera intrigante, e dai tratti horror, che ritrae la spaventosa realtà della vita. La storia ruota attorno ad una ragazza di quindici anni che, dopo aver predetto una tragedia che colpirà la sua scuola, comincia ad essere letteralmente perseguitata dalle persone della sua comunità che vedono in lei un dono soprannaturale.
Holly verrà presentato domani alla Festa del cinema di Roma, nella sezione Alice nella città. Abbiamo avuto l’occasione di intervistare Fien Troch e di discutere con lei della sua nuova opera e del suo approccio al mondo adolescenziale.
Come è andata a Venezia? Come è stato presentare il tuo film nel concorso ufficiale, dopo essere stata premiata nella sezione Orizzonti del 2016?
Ovviamente il mio grande obiettivo era quello di fare un passo avanti. Non è che Orizzonti non fosse sufficiente, ma puntavo a qualcosa di più. È forse un cliché, ma è stato un sogno che è diventato realtà. Fino a che non sono arrivata a Venezia non ho realizzato che le persone lo avrebbero visto e giudicato, quindi ero un po’ in tensione, ma allo stesso tempo ho provato a non dimenticare che il mio grande obiettivo era di arrivare lì e nessuno me lo avrebbe portato via, quindi, dopo la proiezione ho tirato un sospiro di sollievo.
Mi piace molto che tu abbia giocato sul termine Holy, chiamando la tua protagonista Holly. È nato prima il nome del personaggio o il suo dono “soprannaturale”?
Credo che il nome sia arrivato prima, ma già sapevo che sarebbe stata una ragazza speciale e la vicinanza del nome Holly con il termine Holy (santa) è qualcosa a cui ho riflettuto dopo. Holly per me è un nome che racchiude qualcosa di davvero dolce e innocente. Stavo cercando un personaggio con queste caratteristiche, solo dopo è diventata un’adolescente con poteri soprannaturali, vicini alla santità. È stato casuale.
Holly, racconta perfettamente come spesso non veniamo visti per ciò che siamo davvero ma per ciò che le persone vorrebbero che noi fossimo. Credi che questo sia un tema molto importante tra i giovani d’oggi? Qual è stata la necessità che ti ha portato a voler affrontare questa tematica?
Il bisogno di cui parli credo fosse quello di far riferimento alla complessità umana, non solo circoscritta agli adolescenti, ma, più in generale, a quando ci presentiamo agli altri e veniamo visti in un determinato modo, e, ovviamente, questa è una dinamica particolarmente rilevante quando si è giovani. Nel mio film precedente, Home, per esempio, il bisogno era quello di raccontare come gli adulti abbiano la costante necessità di giudicarti e insegnarti solo perché la società impone questo approccio, ma anche loro non sono perfetti…e poi c’è una sorta di mancanza di rispetto nel capire i giovani, e questo è davvero sbagliato perché loro sono il nostro futuro e se non vediamo il loro valore e li trattiamo con indifferenza sarà davvero dannoso per il mondo che stiamo costruendo. Non credo che Holly tratti questo aspetto ma, in certo senso, affronta la complessità nell'ascoltare, capire e prendersi cura degli altri, cercando di mettersi nei loro panni.
Ciò che vedo nei tuoi film è lo sguardo di una persona che vive quelle cose e le riesce a raccontare senza giudizio. Come riesci a guardare le nuove generazioni senza alcun filtro e a connetterti con loro? Svolgi delle ricerche che ti aiutano?
Se devo riconoscere un mio talento, credo sia quello di sapermi mettere nei panni di qualcun altro, una cosa molto utile quando sei una regista, ma anche nella vita reale. Credo di avere un vantaggio, ma alla fine anche io giudico le persone, solo che cerco di comprendere perché gli altri fanno ciò che fanno, anche le cose più orribili. Non significa che sono d’accordo con loro, ma credo ci sia sempre una ragione, non è tutto bianco o nero. Ricordo che mentre giravo il mio lavoro precedente, Home, avevo paura di fare un film che rappresentasse esclusivamente la mia visione del mondo adolescenziale, ma poi mi sono resa conto che è stato facilissimo ritornare con la mente a quei momenti, a quei sentimenti, e mi sono facilmente connessa a loro, perchè quando parli con i giovani con empatia, e capisci chi sono davvero, cosa vogliono, ti dimentichi di te stessa e condividi i medesimi stati d’animo. Se accetti quello che i giovani attori ti danno, metà del lavoro è fatto, ma se inizi a pensare come un regista “questo è quello che vorrei”, può funzionare, ma poi ti dimentichi com’è la realtà dell’essere adolescente e imponi a loro un immaginario fittizio.
Holly e Bart, il suo migliore amico affetto da un disturbo non esplicitato, sono come due facce della stessa medaglia. Anche se in modi diversi, Holly è amata dalle persone, mentre Bart ne viene respinto, entrambi vivono la stessa ingiustizia di essere visti per ciò che non sono. Bart, però, sente la necessità di avere Holly accanto per stare bene, e per questo la ricerca costantemente. Non credi che anche lui, in qualche modo, voglia Holly come amica solo per un suo bisogno personale e non in totale disinteresse?
È molto interessante perché per me Bart è l’unico che non vuole “una fetta della torta” come tutti gli altri, lui è puro, ma è vero quello che dici, che ciò che vuole è stare con lei perché è l’unica persona con cui si sente al sicuro e compreso, ma è una cosa reciproca. Bart non ha mai ingannato o fatto qualcosa di sbagliato nei confronti di Holly, ma, in un certo senso, ha bisogno di lei come tutti gli altri. La ragione per cui Holly accetta questa relazione è perché sa che lui non è mai nel torto intenzionalmente. È un’amicizia pura ma anche di necessità perché hanno bisogno l’uno dell’altro, non in modo egoistico come fanno gli altri personaggi del film.
Sai, ripensando al tuo film, non ho fatto a meno di riflettere che, per quanto siano due opere stilisticamente molto diverse, la prima scena di Holly mi ha indubbiamente rimandato ad Elephant (2003) di Gus Van Sant nel modo in cui segui i tuoi personaggi in un momento di quotidianità adolescenziale. Poi è indubbia la vicinanza tra i due film rispetto all’iniziale argomento della tragedia che colpisce una scuola. Anche in Home ho riscontrato dei momenti molto vicini a Paranoid Park (2007) quando per esempio John viene interrogato dal poliziotto, o all’inizio del film quando Lina parla con il preside.
Elephant non era una reference diretta per il mio film, ma sono una grande fan di Van Sant e credo che sia incredibile ciò che riesce a fare: raccontare gli adolescenti senza creare una distanza tra lui e loro. Non esplicita mai “io sono qui e sto raccontando questo”. Ricordo quando ho visto Elephant la prima volta, sono rimasta senza parole perché sembrava così giusto e onesto il modo in cui li stava raccontando. Riesce a mostrare la noia di quel mondo, quando a volte non sai cosa dire e rimani in silenzio, senza rendere accattivante la vita di tutti i giorni degli adolescenti, questo è quello che fanno di solito i giovani. È così reale, e puro.
Rispetto ad Home - dove il tuo stile ricorda quello documentaristico - in Holly prediligi una macchina ferma e inquadrature più studiate. Come si è evoluto il tuo stile e in base a cosa scegli come raccontare una storia?
Per ogni film che faccio non penso mai “cerco il mio stile e faccio questo film con questo stile”, rifletto solo su quale sia la scelta stilistica necessaria alla storia. L’unica cosa che sapevo di Holly è che non avrebbe avuto lo stesso stile di Home, volevo cercare un approccio diverso da quello documentaristico. Home è stato un progetto molto chiaro, avevamo solo un paio di regole su come girarlo, per Holly invece ho dovuto cercare un approccio realistico che, allo stesso tempo, permettesse allo spettatore di credere che ci fosse qualcosa di magico in lei senza marcare generi come il thriller o l’horror, quindi, è diventato un’unione di stili, che è stato rischioso per me, ma credo che funzioni per il suo personaggio.
Mi piacerebbe sapere come hai collaborato con il tuo compositore su Holly? Che suggerimenti gli hai dato? È stato un processo iniziato in scrittura o in montaggio?
Johnny, il compositore, ha letto il copione e ha iniziato a scrivere solo durante il montaggio. Lui è un musicista elettronico e mi ricordo che gli avevo suggerito di usare “piccole campane” e lui ha detto che stava pensando la stessa cosa, eravamo sulla stessa linea d’onda. Volevamo dare l’idea di una ragazza innocente e dolce ma creare anche l’impressione che ci fosse qualcosa di sbagliato, che stesse succedendo qualcosa. Abbiamo sperimentato molto, e lavorato tanto sul trovare le tracce giuste per mantenere questo equilibrio nel raccontare Holly.
Il casting e la scelta degli attori è un aspetto molto importante dei tuoi film. Come lavori in genere sul casting, e in particolare per Holly quanto tempo hai impiegato a trovare la tua protagonista?
Le basi per me sono avere un casting director che mi capisca subito e che riesca a trovare non un attore che interpreti un personaggio ma la persona che sto cercando. Sapevo chiaramente come doveva essere Holly ma allo stesso tempo volevo vedere cosa riuscivo a trovare durante il casting. Cathalina è stata incredibile nel suo provino e sapevo che se non fosse stata Holly, le avrei comunque dato una parte. Era estremamente normale, non aveva niente di speciale, ed era questa la sua forza, perché è come Holly: una ragazza normale che diventa speciale agli occhi degli altri durante il film.
I titoli dei tuoi ultimi tre film sono essenziali, Kid (2012), Home (2016) e Holly (2023).Come mai questa scelta? Pensi che insieme possano creare come una sorta di trilogia sull’adolescenza?
Innanzitutto, sono pessima nello scegliere i titoli, quindi finisco sempre per scegliere qualcosa di essenziale. Mi ricordo che per Home, ho riflettuto molto ma poi mi sono resa conto che era l’unico titolo che raccontasse a pieno quel film. Questi tre film potrebbero effettivamente ricordare una trilogia per questo focus sull’adolescenza, ma direi che ancora non è finita, sento l’urgenza di continuarla. Ho altri tre progetti in mente, e uno di questi è su un ragazzino, ma non voglio pensare “ho finito di raccontare quell’argomento, adesso passo ad altro”, voglio essere libera di cambiare o tornare su un focus così vasto come quello dei giovani. Ricordo che quando ho fatto Home ho pensato, “non voglio diventare la regista degli adolescenti”, ma poi ho sentito l’esigenza di raccontare un’altra storia con un adolescente. Non è qualcosa che scelgo, ma dipende da come mi sento, è come quando si dipinge e non ci si prefigge in partenza qualcosa, ma lo si fa spontaneamente. Il mio obiettivo ora è diventare più veloce nello scrivere e aumentare la mia creatività. Essere più proficua.