di Omar Franini
NC-91
16.03.2022
Si spengono oggi 69 candeline per l’iconica Isabelle Huppert, attrice francese, protagonista del panorama cinematografico internazionale per più di 40 anni. Ma come ha raggiunto tale successo e perché viene ora riconosciuta come una delle migliori di sempre? Ma soprattutto, come è riuscita la Huppert a mantenere uno standard così alto durante la sua longeva carriera? Cerchiamo qui di seguito di rispondere a queste domande ripercorrendo brevemente la sua carriera.
Riconosciuta in tutto il mondo per i suoi ruoli di personaggi metodici e glaciali, spesso privi di una moralità, come ne La Pianista di Michael Haneke e Elle di Paul Verhoeven, Isabelle Huppert è riuscita a reinventarsi costantemente nel corso degli ultimi decenni. L’attrice probabilmente affiderebbe il proprio successo alla visione dei cineasti con cui ha collaborato e a quel “particolare tipo di linguaggio silenzioso tra registi e attori”, come spiega lei stessa in un’intervista a Variety. L’attore non è un artista ma solamente un “interprete” che cerca di portare in scena la visione artistica del regista. Quest’ultima frase fa emergere la volontà dell’attrice di voler lavorare, ogniqualvolta ne ha l’opportunità, con una grande varietà di registi, che l’hanno di fatto portata al successo.
I primi anni della sua illustre carriera sono stati caratterizzati da ruoli secondari in opere di prestigiosi autori, quali Otto Preminger, Claude Sautet, Bertrand Blier e Bertrand Tavernier. Verso la fine degli anni ‘70, tuttavia, arriva la consacrazione dell’attrice grazie a due ruoli da protagonista, il primo ne La Merlettaia di Claude Goretta e il secondo in Violette Noziére di Claude Chabrol, che marca l’inizio di un sodalizio che conta ben sette collaborazioni. Queste due performance hanno da subito mostrato l’enorme versatilità dell’attrice: ne La Merlettaia, la Huppert, che interpreta una timida ragazza che rimane infatuata di un ricco studente che si approfitterà di lei, è in grado di trasmettere lo stato malinconico della protagonista attraverso i propri occhi; in Violette Noziére, invece, osserviamo il primo ruolo cinico per l’attrice, che, interpretando una giovane prostituta che appartiene alla piccola borghesia e del suo rapporto “complicato” con i genitori, è riuscita a vincere il premio per la miglior performance femminile a Cannes nel 1978.
Il grande talento della Huppert viene da subito captato da Hollywood e in particolare da Michael Cimino, regista de Il Cacciatore, il quale le offre un ruolo importante nel kolossal I Cancelli del Cielo (1980). La produzione travagliata e l’insuccesso al botteghino bloccano tuttavia il successo americano per la Huppert, che, dal canto suo, si mantiene occupata con numerosi progetti in Europa, tra cui l’Italia. Gli anni ‘80, infatti, si presentano per lei come un periodo estremamente prolifico in cui riesce a intraprendere molte collaborazioni, tra cui quelle con Maurice Pialat in Loulou (1980), Márta Mészáros in Due Donne Un Erede (1980), Joseph Losey in La Truite (1982), Andrzej Wajda in Dostoevskij - I demoni (1987) e con gli italiani Mauro Bolognini in La storia vera della signora dalle camelie (1981) e Marco Ferrerei in La Storia di Piera (1983).
Nel 1988, Isabelle Huppert vince la prima Coppa Volpi della sua carriera grazie alla sua straordinaria performance in Un Affare di Donne di Claude Chabrol, dove interpreta una donna che trova l’opportunità di cambiare vita grazie alla propria attività illegale di aborti in casa. La peculiarità del film risiede proprio nella caratterizzazione amorale della protagonista: la donna compie queste azioni non tanto per solidarietà nei confronti delle donne in difficoltà o per il bene della propria famiglia, ma unicamente per cercare una via di fuga dalla propria condizione sociale. Gli anni ‘90, come il decennio precedente, vede Isabelle Huppert collaborare con molti nuovi cineasti come Werner Schroeter in Malina (1991), Benoît Jacquot in L'école de la chair (1998) e i Fratelli Taviani in Le Affinità Selettive (1996). Il sodalizio con Chabrol le porta altre due incredibili performance in Madame Bovary (1991) e Il buio nella mente (1995) con cui si aggiudica la seconda Coppa Volpi al Festival di Venezia, condivisa con la coprotagonista Sandrine Bonnaire.
Già ad inizio 2000, Isabelle Huppert aveva acquisito lo status di essere una delle più grandi attrici della propria generazione e nel 2001 regala al pubblico la sua interpretazione migliore ne La Pianista di Michael Haneke. L’attrice interpreta la fredda e cinica Erika Kohut, una donna che nasconde dietro questo lato rigido la frustrazione e la repressione sessuale. Tutto cambierà dopo l’incontro con Walter, un attraente studente con un grande talento nel suonare Schubert, l’autore preferito di Erika. Quello che ne segue è un ritratto complesso dove la Huppert e Haneke mettono in scena un personaggio tanto spregevole e problematico, quanto fragile. Sempre dagli anni 2000 vanno ricordate le grandiosi performance della Huppert nel musical 8 Donne e un mistero (2002) di François Ozon, nel dramma imperialista White Material (2009) di Claire Denis e nel dramma claustrofobico Home (2009) di Ursula Meier.
A partire dal 2010, La Huppert torna a lavorare insieme al regista francese Michael Haneke, dapprima in Amour, miglior film straniero agli Oscar del 2013, in cui l’attenzione viene catalizzata dai protagonisti interpretati da Jean-Louis Trintignant e Emmanuelle Riva, e poi in Happy End (2017), film corale in cui la sua performance risalta tra le altre.
È però con Elle (2016) di Paul Verhoeven e la sua performance composta da lunghe pause scandite da intensi sguardi ed espressioni corrucciate, che l’attrice riesce ad essere nominata agli Oscar e vincere il premio come miglior attrice in un film drammatico ai Golden Globe del 2017, tornando così a farsi amare dal grande pubblico e da Hollywood.
Il personaggio di Elle, una donna controcorrente, determinata e intimidatoria, che super subendo uno stupro, prende in mano la propria vita manipolando l’uomo che le ha fatto violenza, appare totalmente in contrato con quello di Le cose che verranno (2016) della regista Mia Hansen-Løve, in cui un’insegnante di mezza età si vede travolgere da cambiamenti familiari improvvisi che le fanno perdere la bussola della propria quotidianità, portandola a riscoprirsi come persona.
Degna di nota è in definitiva il suo essersi messa in gioco approcciandosi e adattandosi ai lavori di autori non occidentali, dalla visione ben definita entro cui l’attrice riesce però a modellarsi perfettamente e coerentemente. I riferimenti principali sono Brillante Mendoza, il regista filippino insieme a cui l’Huppert a fatto Captive (2012) e il regista coreano Hong Sang-soo, nel suo In Another Country (2012).
di Omar Franini
NC-91
16.03.2022
Si spengono oggi 69 candeline per l’iconica Isabelle Huppert, attrice francese, protagonista del panorama cinematografico internazionale per più di 40 anni. Ma come ha raggiunto tale successo e perché viene ora riconosciuta come una delle migliori di sempre? Ma soprattutto, come è riuscita la Huppert a mantenere uno standard così alto durante la sua longeva carriera? Cerchiamo qui di seguito di rispondere a queste domande ripercorrendo brevemente la sua carriera.
Riconosciuta in tutto il mondo per i suoi ruoli di personaggi metodici e glaciali, spesso privi di una moralità, come ne La Pianista di Michael Haneke e Elle di Paul Verhoeven, Isabelle Huppert è riuscita a reinventarsi costantemente nel corso degli ultimi decenni. L’attrice probabilmente affiderebbe il proprio successo alla visione dei cineasti con cui ha collaborato e a quel “particolare tipo di linguaggio silenzioso tra registi e attori”, come spiega lei stessa in un’intervista a Variety. L’attore non è un artista ma solamente un “interprete” che cerca di portare in scena la visione artistica del regista. Quest’ultima frase fa emergere la volontà dell’attrice di voler lavorare, ogniqualvolta ne ha l’opportunità, con una grande varietà di registi, che l’hanno di fatto portata al successo.
I primi anni della sua illustre carriera sono stati caratterizzati da ruoli secondari in opere di prestigiosi autori, quali Otto Preminger, Claude Sautet, Bertrand Blier e Bertrand Tavernier. Verso la fine degli anni ‘70, tuttavia, arriva la consacrazione dell’attrice grazie a due ruoli da protagonista, il primo ne La Merlettaia di Claude Goretta e il secondo in Violette Noziére di Claude Chabrol, che marca l’inizio di un sodalizio che conta ben sette collaborazioni. Queste due performance hanno da subito mostrato l’enorme versatilità dell’attrice: ne La Merlettaia, la Huppert, che interpreta una timida ragazza che rimane infatuata di un ricco studente che si approfitterà di lei, è in grado di trasmettere lo stato malinconico della protagonista attraverso i propri occhi; in Violette Noziére, invece, osserviamo il primo ruolo cinico per l’attrice, che, interpretando una giovane prostituta che appartiene alla piccola borghesia e del suo rapporto “complicato” con i genitori, è riuscita a vincere il premio per la miglior performance femminile a Cannes nel 1978.
Il grande talento della Huppert viene da subito captato da Hollywood e in particolare da Michael Cimino, regista de Il Cacciatore, il quale le offre un ruolo importante nel kolossal I Cancelli del Cielo (1980). La produzione travagliata e l’insuccesso al botteghino bloccano tuttavia il successo americano per la Huppert, che, dal canto suo, si mantiene occupata con numerosi progetti in Europa, tra cui l’Italia. Gli anni ‘80, infatti, si presentano per lei come un periodo estremamente prolifico in cui riesce a intraprendere molte collaborazioni, tra cui quelle con Maurice Pialat in Loulou (1980), Márta Mészáros in Due Donne Un Erede (1980), Joseph Losey in La Truite (1982), Andrzej Wajda in Dostoevskij - I demoni (1987) e con gli italiani Mauro Bolognini in La storia vera della signora dalle camelie (1981) e Marco Ferrerei in La Storia di Piera (1983).
Nel 1988, Isabelle Huppert vince la prima Coppa Volpi della sua carriera grazie alla sua straordinaria performance in Un Affare di Donne di Claude Chabrol, dove interpreta una donna che trova l’opportunità di cambiare vita grazie alla propria attività illegale di aborti in casa. La peculiarità del film risiede proprio nella caratterizzazione amorale della protagonista: la donna compie queste azioni non tanto per solidarietà nei confronti delle donne in difficoltà o per il bene della propria famiglia, ma unicamente per cercare una via di fuga dalla propria condizione sociale. Gli anni ‘90, come il decennio precedente, vede Isabelle Huppert collaborare con molti nuovi cineasti come Werner Schroeter in Malina (1991), Benoît Jacquot in L'école de la chair (1998) e i Fratelli Taviani in Le Affinità Selettive (1996). Il sodalizio con Chabrol le porta altre due incredibili performance in Madame Bovary (1991) e Il buio nella mente (1995) con cui si aggiudica la seconda Coppa Volpi al Festival di Venezia, condivisa con la coprotagonista Sandrine Bonnaire.
Già ad inizio 2000, Isabelle Huppert aveva acquisito lo status di essere una delle più grandi attrici della propria generazione e nel 2001 regala al pubblico la sua interpretazione migliore ne La Pianista di Michael Haneke. L’attrice interpreta la fredda e cinica Erika Kohut, una donna che nasconde dietro questo lato rigido la frustrazione e la repressione sessuale. Tutto cambierà dopo l’incontro con Walter, un attraente studente con un grande talento nel suonare Schubert, l’autore preferito di Erika. Quello che ne segue è un ritratto complesso dove la Huppert e Haneke mettono in scena un personaggio tanto spregevole e problematico, quanto fragile. Sempre dagli anni 2000 vanno ricordate le grandiosi performance della Huppert nel musical 8 Donne e un mistero (2002) di François Ozon, nel dramma imperialista White Material (2009) di Claire Denis e nel dramma claustrofobico Home (2009) di Ursula Meier.
A partire dal 2010, La Huppert torna a lavorare insieme al regista francese Michael Haneke, dapprima in Amour, miglior film straniero agli Oscar del 2013, in cui l’attenzione viene catalizzata dai protagonisti interpretati da Jean-Louis Trintignant e Emmanuelle Riva, e poi in Happy End (2017), film corale in cui la sua performance risalta tra le altre.
È però con Elle (2016) di Paul Verhoeven e la sua performance composta da lunghe pause scandite da intensi sguardi ed espressioni corrucciate, che l’attrice riesce ad essere nominata agli Oscar e vincere il premio come miglior attrice in un film drammatico ai Golden Globe del 2017, tornando così a farsi amare dal grande pubblico e da Hollywood.
Il personaggio di Elle, una donna controcorrente, determinata e intimidatoria, che super subendo uno stupro, prende in mano la propria vita manipolando l’uomo che le ha fatto violenza, appare totalmente in contrato con quello di Le cose che verranno (2016) della regista Mia Hansen-Løve, in cui un’insegnante di mezza età si vede travolgere da cambiamenti familiari improvvisi che le fanno perdere la bussola della propria quotidianità, portandola a riscoprirsi come persona.
Degna di nota è in definitiva il suo essersi messa in gioco approcciandosi e adattandosi ai lavori di autori non occidentali, dalla visione ben definita entro cui l’attrice riesce però a modellarsi perfettamente e coerentemente. I riferimenti principali sono Brillante Mendoza, il regista filippino insieme a cui l’Huppert a fatto Captive (2012) e il regista coreano Hong Sang-soo, nel suo In Another Country (2012).