NC-62
07.10.2021
Justine ha appena 13 anni, il viso coperto di brufoli e un look da maschiaccio. Ha una sorella più grande che non potrebbe essere più distante da lei e per la quale prova un sentimento misto di ammirazione e repulsione. A scuola frequenta un gruppetto di soli amici maschi e non esita a prendere parte a qualche battuta o considerazione misogina pur di sentirsi accettata. Un giorno uno strano mal di stomaco la costringe a letto. Nessuno capisce di cosa si tratti, persino il medico liquida tutto come una banale influenza intestinale. Ma Justine continua a sentirsi diversa, come se il suo corpo stesse prendendo vita propria e lei non potesse controllarlo.
Junior è il primo cortometraggio della regista francese Julia Ducournau, classe 1983, e dentro c’è già tutta la sua poetica. La rappresentazione del momento della pubertà, passaggio cruciale nella vita di ognuno, offre alla regista il terreno perfetto per affrontare lo scenario di una battaglia tra corpo e mente. Da una parte il senso di inadeguatezza di Justine che la spinge a reprimere la propria femminilità, dall’altra il corpo che scalpita e reclama la sua esistenza. Raramente sullo schermo questo passaggio è stato rappresentato in maniera così fisica e in Junior Julia Ducournau riesce a manipolare il genere per approfondire la crisi d’identità di Justine. La scelta di filtrare questo racconto attraverso la lente del body-horror è fondamentale, in quanto nessun’altra forma stilistica riuscirebbe a cogliere in maniera più adeguata quanto possa essere inquietante, fastidiosa e destabilizzante quella sensazione di non poter controllare il cambiamento dei nostri corpi.
C’è un fil rouge nella filmografia di Julia Ducournau inscrivibile alla dimensione dell’adolescenza intesa come momento di transizione, cambiamento di sé, sangue e orrore. Qui trova spazio anche Raw (titolo originale Grave), folgorante lungometraggio d’esordio della regista francese presentato alla Settimana Internazionale della Critica di Cannes nel 2016 e purtroppo mai distribuito nelle sale italiane. Protagonista ancora una volta è Garance Marillier, la Justine di Junior, nei panni di un’altra (guarda caso) Justine. Raw, titolo più che azzeccato, è un film crudo in tutti i suoi aspetti, dalle scelte della messa in scena al simbolismo della carne come strumento di violenza. Vegetariana e cresciuta in una famiglia che non concepisce maltrattamenti sugli animali, Justine si sente umiliata quando è costretta, insieme ad altre matricole iscritte come lei alla facoltà di veterinaria, a dover ingerire della carne cruda di coniglio. La scoperta della carne, del suo odore e del suo sapore, diventa metafora e cuore pulsante del percorso di crescita di Justine.
Raw non è un film sul cannibalismo, o almeno non solo. Il film di Julia Ducournau è una potentissima riflessione sull’essere donna e in particolare sull’essere donna in un momento delicato e fondamentale come il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Justine è costantemente divisa tra razionalità ed istinto animale: da una parte ci sono la famiglia, la società, le regole e tutto quello che comportano, dall’altra il suo vero essere. La sua incontenibile fame di carne umana va di pari passo con la scoperta della propria sessualità. L’incontenibile istinto di Justine sfocia nel cannibalismo e si scontra con il sistema di valori che le è stato inculcato e di cui tutta la società è vittima. Nonostante non ne abbia l’aspetto, Raw è un film estremamente delicato che pianta le sue radici sulla dolcezza e la disperazione della giovane protagonista. Un gioiello della filmografia francese contemporanea, riscoperto da molti a seguito della assai discussa Palma d’Oro alla regista per il suo ultimo film Titane.
L’ultimo film di Julia Ducournau ha senz’altro polarizzato l’opinione di pubblico e critica. E questo già di per sé dice molto. Racchiudere in poche parole il senso di Titane non è impresa semplice, soprattutto perché sotto l’estetica fiammante e accattivante si nasconde davvero molto molto di più. No, Titane non è un film su una ragazza messa incinta da una Cadillac, come l’ha ironicamente (forse nemmeno tanto) definito Nanni Moretti su Twitter. L’ultimo film di Julia Ducournau è piuttosto un film sull’amore, o meglio, sulla necessità di amare e sul dramma scatenato dall’impossibilità di farlo. Nella complessa struttura di Titane ad intrecciarsi indissolubilmente sono i destini di due personaggi: quello di Alexia, interpretato magnificamente dalla straordinaria Agathe Roussell, e quello di Vincent, interpretato da un non meno convincente Vincent Lindon. Ma andiamo con ordine.
A seguito di un grave incidente d’auto fatto col padre quando era bambina, Alexia ha una placca di titano inserita nella nuca e un rapporto con le macchine molto stravagante. Di lavoro fa la ballerina, si esibisce in un salone di automobili e le sue sensualissime performance le attirano molte attenzioni indesiderate. Al fascino di una Cadillac fiammante però, Alexia non sa resistere, e dopo un rapporto sessuale completo (sì, proprio con la macchina) rimane incinta. Carne, sangue, olio di motore e corpi martoriati non sono altro che il vestito meravigliosamente confezionato che riveste il cuore pulsante di Titane. Prima di ogni altra cosa Alexia è una figlia che non ha mai conosciuto l’affetto del padre, sempre del tutto insofferente nei suoi riguardi. Forse è questo il motivo per cui non riesce a tollerare che qualcuno possa amarla e uccide chiunque anche solo ci provi.
Vincent al contrario è un uomo distrutto per la perdita del figlio e la speranza di poter ricoprire ancora qualcuno d’amore incondizionato è l’unica cosa che lo mantiene in vita. Alexia e Vincent sono due esseri umani complementari. Entrambi sono convinti che non sopravviveranno alle loro esistenze, eppure il loro incontro darà vita ad un percorso di guarigione reciproco che li condurrà verso una speranza nuova. Sotto la veste del body-horror Titane è un film d’amore di un’intensità straziante. Julia Ducournau dirige questo viaggio on the road di Alexia alla ricerca di sé stessa e all’insegna della libertà. Libertà assoluta che la regista rivendica in ogni scelta portata avanti in Titane, tanto da renderne impossibile la classificazione. Horror, fiaba nera, thriller, dramma, nessuna di queste categorie si adatta a contenere il cinema di Julia Ducournau. Sia Raw che Titane sono in continuo movimento, così come i suoi personaggi e i loro corpi. Julia Ducournau incarna la voce e l’essenza della nascita di un nuovo concetto di autore del cinema francese. La nascita, proprio come nel finale di Titane, di un’umanità nuova, magari mostruosa, ma non per questo meno autentica.
NC-62
07.10.2021
Justine ha appena 13 anni, il viso coperto di brufoli e un look da maschiaccio. Ha una sorella più grande che non potrebbe essere più distante da lei e per la quale prova un sentimento misto di ammirazione e repulsione. A scuola frequenta un gruppetto di soli amici maschi e non esita a prendere parte a qualche battuta o considerazione misogina pur di sentirsi accettata. Un giorno uno strano mal di stomaco la costringe a letto. Nessuno capisce di cosa si tratti, persino il medico liquida tutto come una banale influenza intestinale. Ma Justine continua a sentirsi diversa, come se il suo corpo stesse prendendo vita propria e lei non potesse controllarlo.
Junior è il primo cortometraggio della regista francese Julia Ducournau, classe 1983, e dentro c’è già tutta la sua poetica. La rappresentazione del momento della pubertà, passaggio cruciale nella vita di ognuno, offre alla regista il terreno perfetto per affrontare lo scenario di una battaglia tra corpo e mente. Da una parte il senso di inadeguatezza di Justine che la spinge a reprimere la propria femminilità, dall’altra il corpo che scalpita e reclama la sua esistenza. Raramente sullo schermo questo passaggio è stato rappresentato in maniera così fisica e in Junior Julia Ducournau riesce a manipolare il genere per approfondire la crisi d’identità di Justine. La scelta di filtrare questo racconto attraverso la lente del body-horror è fondamentale, in quanto nessun’altra forma stilistica riuscirebbe a cogliere in maniera più adeguata quanto possa essere inquietante, fastidiosa e destabilizzante quella sensazione di non poter controllare il cambiamento dei nostri corpi.
C’è un fil rouge nella filmografia di Julia Ducournau inscrivibile alla dimensione dell’adolescenza intesa come momento di transizione, cambiamento di sé, sangue e orrore. Qui trova spazio anche Raw (titolo originale Grave), folgorante lungometraggio d’esordio della regista francese presentato alla Settimana Internazionale della Critica di Cannes nel 2016 e purtroppo mai distribuito nelle sale italiane. Protagonista ancora una volta è Garance Marillier, la Justine di Junior, nei panni di un’altra (guarda caso) Justine. Raw, titolo più che azzeccato, è un film crudo in tutti i suoi aspetti, dalle scelte della messa in scena al simbolismo della carne come strumento di violenza. Vegetariana e cresciuta in una famiglia che non concepisce maltrattamenti sugli animali, Justine si sente umiliata quando è costretta, insieme ad altre matricole iscritte come lei alla facoltà di veterinaria, a dover ingerire della carne cruda di coniglio. La scoperta della carne, del suo odore e del suo sapore, diventa metafora e cuore pulsante del percorso di crescita di Justine.
Raw non è un film sul cannibalismo, o almeno non solo. Il film di Julia Ducournau è una potentissima riflessione sull’essere donna e in particolare sull’essere donna in un momento delicato e fondamentale come il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Justine è costantemente divisa tra razionalità ed istinto animale: da una parte ci sono la famiglia, la società, le regole e tutto quello che comportano, dall’altra il suo vero essere. La sua incontenibile fame di carne umana va di pari passo con la scoperta della propria sessualità. L’incontenibile istinto di Justine sfocia nel cannibalismo e si scontra con il sistema di valori che le è stato inculcato e di cui tutta la società è vittima. Nonostante non ne abbia l’aspetto, Raw è un film estremamente delicato che pianta le sue radici sulla dolcezza e la disperazione della giovane protagonista. Un gioiello della filmografia francese contemporanea, riscoperto da molti a seguito della assai discussa Palma d’Oro alla regista per il suo ultimo film Titane.
L’ultimo film di Julia Ducournau ha senz’altro polarizzato l’opinione di pubblico e critica. E questo già di per sé dice molto. Racchiudere in poche parole il senso di Titane non è impresa semplice, soprattutto perché sotto l’estetica fiammante e accattivante si nasconde davvero molto molto di più. No, Titane non è un film su una ragazza messa incinta da una Cadillac, come l’ha ironicamente (forse nemmeno tanto) definito Nanni Moretti su Twitter. L’ultimo film di Julia Ducournau è piuttosto un film sull’amore, o meglio, sulla necessità di amare e sul dramma scatenato dall’impossibilità di farlo. Nella complessa struttura di Titane ad intrecciarsi indissolubilmente sono i destini di due personaggi: quello di Alexia, interpretato magnificamente dalla straordinaria Agathe Roussell, e quello di Vincent, interpretato da un non meno convincente Vincent Lindon. Ma andiamo con ordine.
A seguito di un grave incidente d’auto fatto col padre quando era bambina, Alexia ha una placca di titano inserita nella nuca e un rapporto con le macchine molto stravagante. Di lavoro fa la ballerina, si esibisce in un salone di automobili e le sue sensualissime performance le attirano molte attenzioni indesiderate. Al fascino di una Cadillac fiammante però, Alexia non sa resistere, e dopo un rapporto sessuale completo (sì, proprio con la macchina) rimane incinta. Carne, sangue, olio di motore e corpi martoriati non sono altro che il vestito meravigliosamente confezionato che riveste il cuore pulsante di Titane. Prima di ogni altra cosa Alexia è una figlia che non ha mai conosciuto l’affetto del padre, sempre del tutto insofferente nei suoi riguardi. Forse è questo il motivo per cui non riesce a tollerare che qualcuno possa amarla e uccide chiunque anche solo ci provi.
Vincent al contrario è un uomo distrutto per la perdita del figlio e la speranza di poter ricoprire ancora qualcuno d’amore incondizionato è l’unica cosa che lo mantiene in vita. Alexia e Vincent sono due esseri umani complementari. Entrambi sono convinti che non sopravviveranno alle loro esistenze, eppure il loro incontro darà vita ad un percorso di guarigione reciproco che li condurrà verso una speranza nuova. Sotto la veste del body-horror Titane è un film d’amore di un’intensità straziante. Julia Ducournau dirige questo viaggio on the road di Alexia alla ricerca di sé stessa e all’insegna della libertà. Libertà assoluta che la regista rivendica in ogni scelta portata avanti in Titane, tanto da renderne impossibile la classificazione. Horror, fiaba nera, thriller, dramma, nessuna di queste categorie si adatta a contenere il cinema di Julia Ducournau. Sia Raw che Titane sono in continuo movimento, così come i suoi personaggi e i loro corpi. Julia Ducournau incarna la voce e l’essenza della nascita di un nuovo concetto di autore del cinema francese. La nascita, proprio come nel finale di Titane, di un’umanità nuova, magari mostruosa, ma non per questo meno autentica.