
NC-321
12.07.2025
Negli uomini, dalla notte dei tempi, è insita l’attitudine innata nel creare storie di qualsiasi tipologia, capaci di far divertire, riflettere e anche, in qualche modo, di rendere uno scopo ludico, a seconda del mezzo usato per narrarle. Il cinema, in questo senso, ha sempre riflesso una certa dimensione fantasmagorica, che però negli ultimi tempi sembra gradualmente svanire, sopraffatta da un eccesso di razionalità, di risposte, di spiegazioni fornite a enigmi che, proprio nel restare irrisolti, trovavano parte del loro fascino. In rari casi, tuttavia, assistiamo ancora a un cinema capace di affabulare, dove la disseminazione del significato non è fine a se stessa né puro esercizio ermeneutico, ma elemento strutturale di un esperimento narrativo più ampio, che coinvolge la stessa iper-testualità della Settima Arte. È questo il caso di Trenque Lauquen (2022), opera-monstre di Laura Citarella, ennesimo tassello del mosaico del Pampero Cine, universo narrativo argentino nato nei primi anni Duemila e già determinante per il presente e il futuro del cinema.
Trenque Lauquen prende il suo nome dalla città/laguna che funge da sfondo - più mentale che geografico - per la vicenda che coinvolge Laura (Laura Paredes), una botanica che, scoprendo casualmente una corrispondenza amorosa in biblioteca, si immerge in un mistero legato alla laguna locale e scompare senza lasciare traccia. Fin dall’inizio della ricerca condotta da Rafael (Rafael Spregelburd), ex fidanzato, e da Ezequiel (Ezequiel Pierri), collega e complice, il mondo messo in scena da Citarella rivela la sua natura non-lineare: un mondo costruito per aperture e digressioni, in cui ogni nodo narrativo ne genera altri, in una proliferazione inarrestabile di possibilità. Ogni evento raccontato rimanda a un altro, aprendo piste narrative che non si chiudono mai del tutto, che lasciano che lo spettatore si perda inesorabilmente nel fascino dell’enigma narrativo, come se si trovasse all’interno di un labirinto di “borgesiana” memoria. Il film si configura come una matrioska narrativa, dove flashback, voice-over, dissolvenze e transizioni si sovrappongono e si intersecano, disegnando una cartografia interiore, una mappa stratificata del racconto.

Laura Citarella al lavoro sul set

Ogni personaggio di Trenque Lauquen diventa vettore discorsivo, un punto d’innesto per storie che si diramano centrifugamente attorno a un epicentro sempre mobile, sempre sfuggente. L’enigma iniziale non è che un artificio generativo: ogni risposta ottenuta si apre su un’altra domanda, ogni svolta apre un nuovo sentiero. L’opera intera diventa dunque un caso, che riflette la letterarietà dell’intero sistema cinematografico argentino odierno, che sembra voler azzerare le coordinate classiche del racconto per restituire allo spettatore un ruolo attivo, interpretante, coinvolto a pieno nell’esplorazione di un universo che si lascia abitare solo attraversandolo. Le prove della scomparsa di Laura - i ritagli di giornale, le lettere, le fotografie di cui lo stesso racconto è costituito - non sono semplici indizi, ma frammenti di nuovi racconti, fessure da cui emergono ulteriori mondi. Il film di Laura Citarella è un’ulteriore astrazione del grande romanzo, dove ogni sequenza è un nodo testuale che si apre a interpretazioni, digressioni e rimandi mentali e dove lo spettatore è chiamato a ricomporne attivamente i tasselli, come se sfogliasse un archivio parziale, una collezione di storie incomplete, lettere perdute, incontri frammentari.
È proprio per questa struttura multi-strato che l’opera trova il suo parallelo più immediato non nel cinema, ma nella letteratura e in particolare nel meta-libro S. Ship of Theseus (2013), ideato da J.J. Abrams e scritto da Doug Dorst. S. Ship of Theseus è un esperimento editoriale in cui ad essere importante non è il contenuto, quanto il contenitore. Il romanzo, firmato da un autore fittizio e denominato a sua volta Ship Of Theseus, è contenuto in una scatola nera priva di riferimenti agli autori reali, e al suo interno il lettore trova annotazioni ai margini, lettere, cartoline e mappe. Il testo è solo uno dei piani possibili. Come in Trenque Lauquen, chi fruisce dell’opera deve muoversi su più livelli, intrecciando senso, para-testo e meta-narrazione, in un’operazione tanto ludica quanto interpretativa.

In un’epoca segnata in modo indissolubile dalla rete di comunicazioni che si crea in modo più facile rispetto al passato, dalla post-verità che sfalsa i fatti raccontati distorcendoli e dalla moltiplicazione dei punti di vista che non garantisce una riconducibilità univoca alle soluzioni del racconto, Trenque Lauquen non si propone come spiegazione del mondo, ma come modo di stare al suo interno, attraversandolo. Il cinema del Pampero Cine non si pone come risposta, ma come strumento di navigazione. Non importa arrivare ad un esito garantito ed effettivo e ad una prova di realtà, quanto piuttosto mettere in moto un percorso.
Anche per questo motivo, il finale dell’opera di Laura Citarella non presenta una vera e propria risoluzione, ma semplicemente constata il fascino del mistero, l’irresistibile attrazione per una narrazione fatta di specchi, di biforcazioni, di mappe incomplete in cui perdersi. In altre parole, Trenque Lauquen ci consegna e ci ricorda quello che è sempre stato lo scopo primario della Settima Arte: quello di far divertire e di farci smarrire in mondi che altrimenti non saremmo mai stati capaci di immaginare.
NC-321
12.07.2025

Laura Citarella al lavoro sul set
Negli uomini, dalla notte dei tempi, è insita l’attitudine innata nel creare storie di qualsiasi tipologia, capaci di far divertire, riflettere e anche, in qualche modo, di rendere uno scopo ludico, a seconda del mezzo usato per narrarle. Il cinema, in questo senso, ha sempre riflesso una certa dimensione fantasmagorica, che però negli ultimi tempi sembra gradualmente svanire, sopraffatta da un eccesso di razionalità, di risposte, di spiegazioni fornite a enigmi che, proprio nel restare irrisolti, trovavano parte del loro fascino. In rari casi, tuttavia, assistiamo ancora a un cinema capace di affabulare, dove la disseminazione del significato non è fine a se stessa né puro esercizio ermeneutico, ma elemento strutturale di un esperimento narrativo più ampio, che coinvolge la stessa iper-testualità della Settima Arte. È questo il caso di Trenque Lauquen (2022), opera-monstre di Laura Citarella, ennesimo tassello del mosaico del Pampero Cine, universo narrativo argentino nato nei primi anni Duemila e già determinante per il presente e il futuro del cinema.
Trenque Lauquen prende il suo nome dalla città/laguna che funge da sfondo - più mentale che geografico - per la vicenda che coinvolge Laura (Laura Paredes), una botanica che, scoprendo casualmente una corrispondenza amorosa in biblioteca, si immerge in un mistero legato alla laguna locale e scompare senza lasciare traccia. Fin dall’inizio della ricerca condotta da Rafael (Rafael Spregelburd), ex fidanzato, e da Ezequiel (Ezequiel Pierri), collega e complice, il mondo messo in scena da Citarella rivela la sua natura non-lineare: un mondo costruito per aperture e digressioni, in cui ogni nodo narrativo ne genera altri, in una proliferazione inarrestabile di possibilità. Ogni evento raccontato rimanda a un altro, aprendo piste narrative che non si chiudono mai del tutto, che lasciano che lo spettatore si perda inesorabilmente nel fascino dell’enigma narrativo, come se si trovasse all’interno di un labirinto di “borgesiana” memoria. Il film si configura come una matrioska narrativa, dove flashback, voice-over, dissolvenze e transizioni si sovrappongono e si intersecano, disegnando una cartografia interiore, una mappa stratificata del racconto.

Ogni personaggio di Trenque Lauquen diventa vettore discorsivo, un punto d’innesto per storie che si diramano centrifugamente attorno a un epicentro sempre mobile, sempre sfuggente. L’enigma iniziale non è che un artificio generativo: ogni risposta ottenuta si apre su un’altra domanda, ogni svolta apre un nuovo sentiero. L’opera intera diventa dunque un caso, che riflette la letterarietà dell’intero sistema cinematografico argentino odierno, che sembra voler azzerare le coordinate classiche del racconto per restituire allo spettatore un ruolo attivo, interpretante, coinvolto a pieno nell’esplorazione di un universo che si lascia abitare solo attraversandolo. Le prove della scomparsa di Laura - i ritagli di giornale, le lettere, le fotografie di cui lo stesso racconto è costituito - non sono semplici indizi, ma frammenti di nuovi racconti, fessure da cui emergono ulteriori mondi. Il film di Laura Citarella è un’ulteriore astrazione del grande romanzo, dove ogni sequenza è un nodo testuale che si apre a interpretazioni, digressioni e rimandi mentali e dove lo spettatore è chiamato a ricomporne attivamente i tasselli, come se sfogliasse un archivio parziale, una collezione di storie incomplete, lettere perdute, incontri frammentari.
È proprio per questa struttura multi-strato che l’opera trova il suo parallelo più immediato non nel cinema, ma nella letteratura e in particolare nel meta-libro S. Ship of Theseus (2013), ideato da J.J. Abrams e scritto da Doug Dorst. S. Ship of Theseus è un esperimento editoriale in cui ad essere importante non è il contenuto, quanto il contenitore. Il romanzo, firmato da un autore fittizio e denominato a sua volta Ship Of Theseus, è contenuto in una scatola nera priva di riferimenti agli autori reali, e al suo interno il lettore trova annotazioni ai margini, lettere, cartoline e mappe. Il testo è solo uno dei piani possibili. Come in Trenque Lauquen, chi fruisce dell’opera deve muoversi su più livelli, intrecciando senso, para-testo e meta-narrazione, in un’operazione tanto ludica quanto interpretativa.

In un’epoca segnata in modo indissolubile dalla rete di comunicazioni che si crea in modo più facile rispetto al passato, dalla post-verità che sfalsa i fatti raccontati distorcendoli e dalla moltiplicazione dei punti di vista che non garantisce una riconducibilità univoca alle soluzioni del racconto, Trenque Lauquen non si propone come spiegazione del mondo, ma come modo di stare al suo interno, attraversandolo. Il cinema del Pampero Cine non si pone come risposta, ma come strumento di navigazione. Non importa arrivare ad un esito garantito ed effettivo e ad una prova di realtà, quanto piuttosto mettere in moto un percorso.
Anche per questo motivo, il finale dell’opera di Laura Citarella non presenta una vera e propria risoluzione, ma semplicemente constata il fascino del mistero, l’irresistibile attrazione per una narrazione fatta di specchi, di biforcazioni, di mappe incomplete in cui perdersi. In altre parole, Trenque Lauquen ci consegna e ci ricorda quello che è sempre stato lo scopo primario della Settima Arte: quello di far divertire e di farci smarrire in mondi che altrimenti non saremmo mai stati capaci di immaginare.