
di Maurizio Encari
NC-346
13.10.2025
Analizzare l'opera di Shinji Sōmai significa immergersi in un universo cinematografico ossessionato da un'unica, grande, domanda esistenziale: come si diventa adulti in un mondo che sembra aver perso ogni punto di riferimento? Attraverso la sua breve ma folgorante carriera - composta da tredici film nell'arco di vent'anni, prima della prematura scomparsa - il regista ha affrontato questo interrogativo con uno stile unico, sognante e tragico, sospeso sulle ali di un'adolescenza o pre-adolescenza aperta ad un domani ricco di incognite.
I film Typhoon Club, P.P. Rider e Moving, pur appartenendo a generi e registri differenti, formano un trittico ideale per comprendere il suo sguardo, un'indagine in tre atti sulla magnifica e terribile transizione dalla giovinezza all'età adulta nel Giappone di fine millennio.
Il primo, fondamentale elemento unificante è lo sguardo autoriale, che si manifesta nel celebre uso del piano sequenza. La storia diventa un'esperienza, più importante di quanto viene effettivamente raccontato. Le sue lunghe inquadrature costringono lo spettatore a vivere il tempo e lo spazio insieme ai malcapitati personaggi, messi alle strette dalle proprie scelte e da una vita che li ha costretti a scegliere. Ma andiamo con ordine e scopriamo uno ad uno i tre titoli oggetto di questo articolo.

P.P. Rider (1983)
Nel corpus filmico, tanto coerente quanto seminale, di Shinji Sōmai, P.P. Rider rappresenta un'anomalia, un cortocircuito narrativo tanto sgangherato quanto vitale, che fonde l'avventura picaresca con i toni della commedia yakuza, dando vita a un oggetto cinematografico tanto assurdo quanto divertente. Un road movie dall'anima punk-rock che mette in scena, ancora una volta, la cronica assenza e l'inadeguatezza del mondo degli adulti e delle istituzioni.
La trama ha inizio con il rapimento di Jishu, il bullo di una scuola che viene sequestrato da una sgangherata banda di criminali, ma la sua ricca famiglia si rifiuta di pagare il riscatto. A mettersi sulle sue tracce sono tre compagni di classe, coloro che erano proprio vittima delle sue angherie, con l'intento di vendicarsi del loro "aguzzino" pima che questi venga ucciso da altri. Durante la loro missione i protagonisti troveranno l'improbabile aiuto di uno spiantato membro della yakuza, dando il via ad viaggio on the road attraverso il Paese, un'odissea paradossale dai toni tragicomici.
Si respira un senso di anarchia nel corso delle quasi due ore di visione, tra travestimenti e momenti di alta tensione, in un sottobosco criminale nel quale si addentrano questi ragazzini legati da un'amicizia indissolubile. Un film che celebra l'intraprendenza giovanile come unica forza in grado di portare ordine nel caos generato dal mondo dei grandi, tra divertimento e malinconia, con una colonna sonora che immerge pienamente lo spettatore nei toni disincantati di un racconto sui generis.

Typhoon Club (1985)
Typhoon Club non si limita a raccontare l'adolescenza e le sue contraddizioni, ma ne incarna lo spirito febbrile, il nichilismo disperato e la annosa ricerca di senso a tutto quel caos di emozioni e pulsioni. Un rito di passaggio brutale e catartico che rinchiude un gruppo di studenti dell'ultimo anno delle medie (che in Giappone, che ha classi diverse dalle nostre, è frequentato da ragazzi di quattordici-quindici anni) dentro le mura di una scuola, mentre fuori un devastante tifone si prepara a spazzare via ogni cosa. La tempesta in realtà non è che l'illuminante e dolorosa metafora del turbine emotivo che infuria nell'animo di questi ragazzi, abbandonati da un mondo adulto inetto e incapace di comprenderli.
Ci si avvicina a un senso di realtà dal taglio documentaristico, con la macchina da presa che si muove tra i corridoi come un fantasma, un testimone silenzioso che cattura frammenti di conversazioni, esplosioni di violenza, goffi approcci sessuali e profonde riflessioni esistenziali. Non c'è un vero protagonista; il fulcro del racconto è il gruppo, un organismo pulsante e schizofrenico che, in assenza di regole, regredisce a uno stato primordiale e almeno una sequenza raggiunge picchi di tensione altissimi.
Il crescendo di follia e liberazione è tra le più potenti e disturbanti parabole sul disagio giovanile mai portate sullo schermo. Spogliati delle loro uniformi e delle loro inibizioni, i ragazzi e le ragazze ballano nudi sotto la pioggia torrenziale, si confrontano con la morte e la sessualità in un carnevale disperato che è al contempo terrificante e magnifico.Typhoon Club è un'opera radicale, un pugno nello stomaco che rifiuta ogni facile consolazione ed è assunto giustamente a cult imperituro. È il ritratto di una gioventù che, per sentirsi viva, deve spingersi fino all'orlo dell'autodistruzione. Un capolavoro, capace di catturare come pochi altri l'essenza magnifica e terribile di quell'età in cui la fine del mondo sembra non solo possibile, ma auspicabile.

Moving (1993)
Dopo aver esplorato il caos collettivo dell'adolescenza, Shinji Sōmai sposta il suo sguardo ad altezza di bambino, mettendo al centro della vicenda, quale alpha e omega emotivo, il personaggio di Renko, una bambina di undici anni. Il film è un'immersione totale e senza filtri nel suo mondo, andato in frantumi in seguito alla decisione presa dai suoi genitori, ovvero quella di divorziare. Abbandonando la furia nichilista dei suoi lavori precedenti, il cineasta adotta un tono di dolente empatia per raccontare il terremoto emotivo della piccola, interpretata magnificamente dalla giovanissima Tomoko Tabata, che avrebbe poi fortunatamente continuato la sua carriera davanti alla macchina da presa.
La grandezza di Moving risiede nella coerenza con cui la narrazione sposa il punto di vista esclusivo della sua piccola protagonista. Il mondo degli adulti è un palcoscenico di liti e urla, di porte chiuse e di promesse infrante (e viceversa), un universo dalle regole arbitrarie e crudeli per lo sguardo infantile di una figlia che vorrebbe tutto tornasse come è sempre stato. Quel finale catartico, con la foresta che nasconde insidie e segreti per accompagnare alla definitiva rinascita, è ideale conclusione di un viaggio interiore avvenuto tra immensi dolori e piccole gioie. Un percorso di perdita dell'innocenza che segna il necessario passaggio a una nuova consapevolezza.
Un'opera di una sensibilità sconvolgente, un dramma familiare che assurge a racconto universale sulla fine dell'infanzia. Sōmai dimostra una padronanza assoluta del mezzo cinematografico, capace di raccontare il dolore più profondo con un grazia e tenerezza, lasciando lo spettatore ammutolito e commosso.

Shinji Sōmai
Temi e punti d'incontro
Come detto il tema della crescita è fondamentale in tutte le tre opere, che possiamo tranquillamente definire come atipici e struggenti coming-of-age in una terra quanto mai affascinante, ma ricca di contraddizioni, come quella nipponica. I giovani protagonisti di Sōmai sono orfani esistenziali, con la costante abdicazione degli adulti che costringe i giovani a una prematura assunzione di responsabilità, a creare codici morali alternativi e ad affrontare riti di passaggio crudi e crudeli.
Emerge spesso la centralità degli elementi atmosferici, e in particolare dell'acqua, come elemento catartico e trasformativo. Alcuni dei momenti culminanti dei tre film sono infatti legati ad essa, che sia la pioggia dalla quantità torrenziale come per il tifone di Typhoon Club ai fiumi che accompagnano la rocambolesca impresa di P.P. Rider, fino al lago chiarificatore di Moving. Per Sōmai, la natura è un'arena, pur se immersa in un contesto urbano a volte opprimente, dove i personaggi possono espletare il proprio destino, un luogo primordiale dove il caos della vita trova, per un istante, una forma rituale e un senso tutto.
Attraverso questo trittico il pubblico potrà (ri)scoprire non soltanto un innovatore del linguaggio cinematografico che ci ha lasciato troppo presto, ma anche un lucido e sensibile cronista della condizione giovanile, con storie dal sapore potenzialmente universale. Un cinema all'insegna di un caos ordinato, libero e irrefrnabile, un pedinamento ostinato di corpi in movimento che lottano, giorno per giorno, al fine di comprendere il proprio posto in un mondo che sembra ignorarli costantemente.
di Maurizio Encari
NC-346
13.10.2025
Analizzare l'opera di Shinji Sōmai significa immergersi in un universo cinematografico ossessionato da un'unica, grande, domanda esistenziale: come si diventa adulti in un mondo che sembra aver perso ogni punto di riferimento? Attraverso la sua breve ma folgorante carriera - composta da tredici film nell'arco di vent'anni, prima della prematura scomparsa - il regista ha affrontato questo interrogativo con uno stile unico, sognante e tragico, sospeso sulle ali di un'adolescenza o pre-adolescenza aperta ad un domani ricco di incognite.
I film Typhoon Club, P.P. Rider e Moving, pur appartenendo a generi e registri differenti, formano un trittico ideale per comprendere il suo sguardo, un'indagine in tre atti sulla magnifica e terribile transizione dalla giovinezza all'età adulta nel Giappone di fine millennio.
Il primo, fondamentale elemento unificante è lo sguardo autoriale, che si manifesta nel celebre uso del piano sequenza. La storia diventa un'esperienza, più importante di quanto viene effettivamente raccontato. Le sue lunghe inquadrature costringono lo spettatore a vivere il tempo e lo spazio insieme ai malcapitati personaggi, messi alle strette dalle proprie scelte e da una vita che li ha costretti a scegliere. Ma andiamo con ordine e scopriamo uno ad uno i tre titoli oggetto di questo articolo.

P.P. Rider (1983)
Nel corpus filmico, tanto coerente quanto seminale, di Shinji Sōmai, P.P. Rider rappresenta un'anomalia, un cortocircuito narrativo tanto sgangherato quanto vitale, che fonde l'avventura picaresca con i toni della commedia yakuza, dando vita a un oggetto cinematografico tanto assurdo quanto divertente. Un road movie dall'anima punk-rock che mette in scena, ancora una volta, la cronica assenza e l'inadeguatezza del mondo degli adulti e delle istituzioni.
La trama ha inizio con il rapimento di Jishu, il bullo di una scuola che viene sequestrato da una sgangherata banda di criminali, ma la sua ricca famiglia si rifiuta di pagare il riscatto. A mettersi sulle sue tracce sono tre compagni di classe, coloro che erano proprio vittima delle sue angherie, con l'intento di vendicarsi del loro "aguzzino" pima che questi venga ucciso da altri. Durante la loro missione i protagonisti troveranno l'improbabile aiuto di uno spiantato membro della yakuza, dando il via ad viaggio on the road attraverso il Paese, un'odissea paradossale dai toni tragicomici.
Si respira un senso di anarchia nel corso delle quasi due ore di visione, tra travestimenti e momenti di alta tensione, in un sottobosco criminale nel quale si addentrano questi ragazzini legati da un'amicizia indissolubile. Un film che celebra l'intraprendenza giovanile come unica forza in grado di portare ordine nel caos generato dal mondo dei grandi, tra divertimento e malinconia, con una colonna sonora che immerge pienamente lo spettatore nei toni disincantati di un racconto sui generis.

Typhoon Club (1985)
Typhoon Club non si limita a raccontare l'adolescenza e le sue contraddizioni, ma ne incarna lo spirito febbrile, il nichilismo disperato e la annosa ricerca di senso a tutto quel caos di emozioni e pulsioni. Un rito di passaggio brutale e catartico che rinchiude un gruppo di studenti dell'ultimo anno delle medie (che in Giappone, che ha classi diverse dalle nostre, è frequentato da ragazzi di quattordici-quindici anni) dentro le mura di una scuola, mentre fuori un devastante tifone si prepara a spazzare via ogni cosa. La tempesta in realtà non è che l'illuminante e dolorosa metafora del turbine emotivo che infuria nell'animo di questi ragazzi, abbandonati da un mondo adulto inetto e incapace di comprenderli.
Ci si avvicina a un senso di realtà dal taglio documentaristico, con la macchina da presa che si muove tra i corridoi come un fantasma, un testimone silenzioso che cattura frammenti di conversazioni, esplosioni di violenza, goffi approcci sessuali e profonde riflessioni esistenziali. Non c'è un vero protagonista; il fulcro del racconto è il gruppo, un organismo pulsante e schizofrenico che, in assenza di regole, regredisce a uno stato primordiale e almeno una sequenza raggiunge picchi di tensione altissimi.
Il crescendo di follia e liberazione è tra le più potenti e disturbanti parabole sul disagio giovanile mai portate sullo schermo. Spogliati delle loro uniformi e delle loro inibizioni, i ragazzi e le ragazze ballano nudi sotto la pioggia torrenziale, si confrontano con la morte e la sessualità in un carnevale disperato che è al contempo terrificante e magnifico.Typhoon Club è un'opera radicale, un pugno nello stomaco che rifiuta ogni facile consolazione ed è assunto giustamente a cult imperituro. È il ritratto di una gioventù che, per sentirsi viva, deve spingersi fino all'orlo dell'autodistruzione. Un capolavoro, capace di catturare come pochi altri l'essenza magnifica e terribile di quell'età in cui la fine del mondo sembra non solo possibile, ma auspicabile.

Linda Linda Linda (2005)
Moving (1993)
Dopo aver esplorato il caos collettivo dell'adolescenza, Shinji Sōmai sposta il suo sguardo ad altezza di bambino, mettendo al centro della vicenda, quale alpha e omega emotivo, il personaggio di Renko, una bambina di undici anni. Il film è un'immersione totale e senza filtri nel suo mondo, andato in frantumi in seguito alla decisione presa dai suoi genitori, ovvero quella di divorziare. Abbandonando la furia nichilista dei suoi lavori precedenti, il cineasta adotta un tono di dolente empatia per raccontare il terremoto emotivo della piccola, interpretata magnificamente dalla giovanissima Tomoko Tabata, che avrebbe poi fortunatamente continuato la sua carriera davanti alla macchina da presa.
La grandezza di Moving risiede nella coerenza con cui la narrazione sposa il punto di vista esclusivo della sua piccola protagonista. Il mondo degli adulti è un palcoscenico di liti e urla, di porte chiuse e di promesse infrante (e viceversa), un universo dalle regole arbitrarie e crudeli per lo sguardo infantile di una figlia che vorrebbe tutto tornasse come è sempre stato. Quel finale catartico, con la foresta che nasconde insidie e segreti per accompagnare alla definitiva rinascita, è ideale conclusione di un viaggio interiore avvenuto tra immensi dolori e piccole gioie. Un percorso di perdita dell'innocenza che segna il necessario passaggio a una nuova consapevolezza.
Un'opera di una sensibilità sconvolgente, un dramma familiare che assurge a racconto universale sulla fine dell'infanzia. Sōmai dimostra una padronanza assoluta del mezzo cinematografico, capace di raccontare il dolore più profondo con un grazia e tenerezza, lasciando lo spettatore ammutolito e commosso.

Shinji Sōmai
Temi e punti d'incontro
Come detto il tema della crescita è fondamentale in tutte le tre opere, che possiamo tranquillamente definire come atipici e struggenti coming-of-age in una terra quanto mai affascinante, ma ricca di contraddizioni, come quella nipponica. I giovani protagonisti di Sōmai sono orfani esistenziali, con la costante abdicazione degli adulti che costringe i giovani a una prematura assunzione di responsabilità, a creare codici morali alternativi e ad affrontare riti di passaggio crudi e crudeli.
Emerge spesso la centralità degli elementi atmosferici, e in particolare dell'acqua, come elemento catartico e trasformativo. Alcuni dei momenti culminanti dei tre film sono infatti legati ad essa, che sia la pioggia dalla quantità torrenziale come per il tifone di Typhoon Club ai fiumi che accompagnano la rocambolesca impresa di P.P. Rider, fino al lago chiarificatore di Moving. Per Sōmai, la natura è un'arena, pur se immersa in un contesto urbano a volte opprimente, dove i personaggi possono espletare il proprio destino, un luogo primordiale dove il caos della vita trova, per un istante, una forma rituale e un senso tutto.
Attraverso questo trittico il pubblico potrà (ri)scoprire non soltanto un innovatore del linguaggio cinematografico che ci ha lasciato troppo presto, ma anche un lucido e sensibile cronista della condizione giovanile, con storie dal sapore potenzialmente universale. Un cinema all'insegna di un caos ordinato, libero e irrefrnabile, un pedinamento ostinato di corpi in movimento che lottano, giorno per giorno, al fine di comprendere il proprio posto in un mondo che sembra ignorarli costantemente.