NC-179
16.12.2023
Lo scorso ottobre è approdato in Italia il nuovo capitolo della saga di Saw - L’enigmista che con Saw X giunge alla sua decimo lungometraggio, un traguardo sicuramente notevole che non molti franchise hanno avuto la fortuna di raggiungere, soprattutto nel genere horror. Oltre a Saw, il record delle dieci apparizioni è stato battuto dalle saghe di Venerdì 13, con all’attivo undici pellicole, Halloween e Hellraiser, che proprio nel 2022 hanno raggiunto rispettivamente tredici e undici film. Personaggi come Jason Voorhees, Michael Myers, Pinhead, come anche Freddy Krueger da Nightmare, Leatherface da Non aprite quella porta o Ghostface da Scream, sono icone di quella serie di franchise nati fra gli anni ‘70 e ‘90 che oramai hanno raggiunto un livello tale di fama da aver trasceso la nicchia degli appassionati del brivido ed esser diventati elementi fondamentali della cultura pop contemporanea.
Non bisogna considerare però queste grandi saghe horror come un semplice fasto del passato, lontane dalla realtà produttiva contemporanea, perché proprio ultimamente sono più vive che mai. Halloween e Hellraiser non sono infatti gli unici ad aver fatto ritorno sugli schermi di recente, ma anche Scream, La casa, Non aprite quella porta e persino L’esorcista. Stiamo forse assistendo ad un'ondata di nostalgia? Si prospetta una nuova valanga di remake come è stato intorno agli anni ‘10 del Duemila? Andiamo a scoprirlo facendo una rapida analisi dei maggiori ritorni sul grande e (purtroppo) piccolo schermo delle grandi saghe horror in questi ultimi anni.
Halloween
Il franchise che fece da apripista per lo slasher moderno ancora una volta segna il punto di partenza per una nuova tendenza del genere: ispirandosi alle operazioni svolte da altre saghe di grande successo come Jurassic Park e Star Wars con i relativi Jurassic World (2015) e Star Wars - Il risveglio della Forza (2015), con Halloween (2018), primo capitolo della trilogia di David Gordon Green, anche Michael Myers decide di tornare sulla scena attraverso quello che oggi possiamo definire un requel, ossia una pellicola che allo stesso tempo è un remake e un sequel del film capostipite di una saga. Un vero e proprio ritorno alla struttura dell’originale e contemporaneamente un suo ammodernamento che non tiene assolutamente conto dei precedenti sequel, spin-off e reboot realizzati, e Halloween è la prima saga horror a compiere questa operazione.
Volgere l’attenzione alla trama renderà più chiaro il processo: quarant’anni dopo gli avvenimenti del primo film, pochi giorni prima di Halloween, durante il suo trasferimento da una struttura psichiatrica a un’altra, Michael Myers riesce a fuggire e a tornare nella cittadina di Haddonfield per dare il via a una nuova serie di omicidi; nel mentre, l’ormai anziana Laurie Strode (protagonista del primo film del 1978 e interpretata ancora da Jamie Lee Curtis), che ha trascorso la sua vita a prepararsi al possibile ritorno di Michael Myers, decide di affrontare una volta per tutte l’uomo nero per proteggere la figlia Judy e la nipote Allyson.
Già solamente con questi pochi elementi possiamo rintracciare dei forti richiami all’originale film di John Carpenter: la fuga di Michael durante un trasferimento, la concomitanza temporale con la notte di Halloween, Jamie Lee Curtis come protagonista destinata allo scontro finale con il killer. Il personaggio di Laurie risulta tuttavia ben diverso: non è più la giovane babysitter spaventata che cerca di sopravvivere, ma una donna armata fino ai denti e decisa ad affrontare a muso duro l’incubo che l’ha tormentata per tutta la vita, arrivando finanche a compromettere i rapporti con la propria famiglia pur di poterne garantire la sicurezza (viene infatti spiegato come Laurie abbia perso la custodia della figlia in giovane età proprio a causa della sua educazione improntata al combattimento).
Un altro importante cambiamento apportato dal regista Green riguarda l'efferatezza di Michael, le cui uccisioni risultano molto più violente ed esplicite di quanto non lo fossero in Carpenter. Questo elemento verrà ancora più marcato nel sequel Halloween Kills (2021), in cui Michael Myers darà il meglio di sé raggiungendo un totale di trentuno uccisioni (numerologia non casuale). Parlando di Halloween Kills, questo è il capitolo in cui inizia ad emergere l’interpretazione poetica di Green: il film segue infatti il comportamento dell’intera popolazione di Haddonfield che, a seguito dei primi omicidi di Myers, decide nella stessa notte di dargli la caccia, andando quindi oltre la normale giurisdizione e dando origine ad una vera e propria isteria giustizialista di massa all’estrema ricerca di un colpevole su cui riversare il proprio dolore. È proprio in questa pellicola, inoltre, che Michael Myers viene elevato non solo a omicida seriale guidato da una furia cieca, ma a vera e propria incarnazione della violenza generata dalla frustrazione e dalla paura: una esplicitazione del suo storico essere il puro male.
Giungiamo quindi al capitolo conclusivo della trilogia di Green, Halloween Ends (2022), che prova con poco coraggio ad evolvere la metafora sostenuta nel film precedente. La storia è qui ambientata quattro anni dopo Halloween Kills e segue la vicenda di Corey Cunningham, un ragazzo che, a seguito di un incidente, ha ucciso il bambino a cui stava facendo da babysitter. Scontata la pena in carcere, Corey cerca di tornare alla normalità, ma è sotto continuo attacco della popolazione che non è in grado di dimenticare ciò che ha fatto. La sua vita prenderà una svolta imprevista nel momento in cui si troverà a confrontarsi parallelamente con Allyson da una parte e Michael Myers dall’altra.
Questo film è forse il più interessante di Green in quanto a intenti poetici, poiché vorrebbe riuscire a trascendere il personaggio di Michael Myers dalla sua persona fisica e trasformarlo in una sorta di maschera, simbolo di un male che può nascere in qualunque persona a partire dalla frustrazione e dall’odio. Il problema maggiore è tuttavia proprio quello di non riuscire ad andare fino in fondo, poiché cerca di conciliare la presenza di Michael e la propria poetica senza ottenere un risultato convincente, creando un prodotto che zoppica proprio come Michael nel suo nascondiglio. Quel che indubbiamente però traspare da questa trilogia è il desiderio di Green di rinvigorire (o bisognerebbe dire rinverdire) una saga storica cercando una nuova interpretazione che non si limiti a delle fantasiose trovate nelle modalità di esecuzione delle vittime. Ripartendo da una struttura consolidata, il regista sfrutta il requel per reinterpretare, anche poeticamente, un personaggio pluriadattato come Michael Myers. Ma questa operazione è svolta solo da David Gordon Green o è una tendenza comune al giorno d’oggi?
Non aprite quella porta
Nona pellicola della saga avviata da Tobe Hooper nel 1974, Non aprite quella porta (2022) di David Blue Garcia viene distribuito direttamente su Netflix, non avendo la possibilità di essere fruito in sala. È un’operazione che potrebbe sembrare singolare data la fama del franchise, ma risulta purtroppo in linea con la distribuzione di nuovi capitoli di saghe le cui precedenti pellicole non hanno riscosso un grande successo, come ad esempio i recenti Prey (2022) dal mondo di Predator e Hellraiser (2022), entrambi distribuiti direttamente sulla piattaforma Hulu.
Anche nel caso di Garcia ci troviamo di fronte a un requel, che si pone quindi in successione diretta con il Non aprite quella porta di Hooper e tenta di emulare l’operazione svolta da Halloween (2018). La trama ruota attorno a un gruppo di ragazzi che ha rilevato la proprietà di un paesino della provincia texana per fondare una nuova piccola società idealista. Al loro arrivo trovano nel vecchio orfanotrofio la precedente proprietaria assieme a un omone, Leatherface, presentato come uno dei suoi orfanelli. Assieme alla polizia, i ragazzi sfrattano i due, causando alla signora un crepacuore mortale. Leatherface perde quindi ogni freno e cerca vendetta contro tutti coloro che hanno portato alla morte la donna che si è presa cura di lui.
Plot interessante, ma quali sono i collegamenti con l’opera originale? Il film si apre con un breve riassunto degli eventi del ‘74 e un accenno al fatto che Sally Hardesty, l’unica sopravvissuta a quelle vicende, abbia trascorso la sua vita a cercare Leatherface per vendicarsi. Presentata così, quest’ultima non sembrerebbe molto diversa dalla Laurie di Halloween, ma ci sono differenze fondamentali che minano l’efficacia di questo cameo: in primis, nel film originale Sally era interpretata da Marilyn Burns, mentre in questo nuovo capitolo, a causa della scomparsa dell’attrice, è interpretata da Olwen Fouéré; in secundis, diversamente da Laurie - che è stata nel corso degli anni protagonista di ben quattro pellicole del franchise prima del requel di Green - Sally è stata protagonista solamente del film di Hooper, non rendendo possibile nel pubblico quell’attaccamento ad un personaggio storico ricorrente; in tertiis, Sally è presente in pochissime scene, approfondita al minimo e collaterale alla risoluzione della trama. Per tali ragioni, l’effetto nostalgia che il personaggio di Sally voleva ricreare viene quindi reso impossibile.
La pellicola soffre inoltre di una brevità eccessiva: esclusi i titoli di coda, infatti, raggiunge a mala pena l’ora e un quarto, durata che risulta non solo inferiore alla media del genere (90-120 min. circa), ma che non concede neppure il tempo materiale per poter approfondire personaggi e tematiche. Questo comporta una necessaria semplificazione, quando non banalizzazione, di temi anche socialmente scottanti, come le stragi con armi da fuoco nelle scuole in cui una delle protagoniste, Lila, è stata coinvolta. Il focus del film sembra invece essere l’effettivo massacro a cui il titolo originale Texas Chainsaw Massacre rimanda, con un’evidente dedizione verso la realizzazione delle scene più cruente (la strage nel pullman è uno spettacolo per gli appassionati dello splatter).
Pare dunque che Garcia con il suo Non aprite quella porta abbia utilizzato il brand per riportare sullo schermo quel sottogenere dell’horror in cui domina una violenza quasi gratuita, ma che ai fan di vecchia data lascia l’amaro in bocca per un’occasione sprecata di rivedere non solo il proprio beniamino fare a pezzi persone con la motosega ma anche una salace e ben costruita critica sociale.
Scream
Riportare al cinema la saga di Scream dopo la morte di Wes Craven era un’operazione veramente difficile. I primi quattro film diretti dal creatore di Nightmare non erano semplici film dell’orrore, ma dei veri e propri saggi critici sul genere horror veicolati attraverso il cinema stesso. Ogni capitolo non era solo uno slasher alla Halloween (al quale Craven rende esplicito omaggio nel primo Scream mostrandone alcune scene da un televisore), ma un’operazione di analisi e confronto con i meccanismi del genere. Per un nuovo capitolo era quindi necessario trovare sia un nuovo team di produzione sia una nuova tipologia di horror con cui potersi confrontare…e quale occasione migliore per realizzare un requel! Ecco quindi poste le premesse per l’uscita di Scream (2022) per la regia del duo composto da Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett. La struttura narrativa ancora una volta si rifà a quella classica della saga: un nuovo assassino travestito da Ghostface semina il terrore nella cittadina di Woodsboro traendo diretta ispirazione dagli omicidi raccontati in Scream (1996).
Con una nuova storia che segue le orme dell’originale e coinvolge un nuovo cast supportato da personaggi storici della serie, Scream (2022) studia e in un certo senso canonizza le regole di questa nuova generazione di horror, oltre a fornirne un’effettiva definizione (il termine requel utilizzato finora è infatti preso proprio da questa pellicola, che lo utilizza in coppia al termine lega-sequel per indicare proprio la tipologia di film qui trattata). Come nel caso di Halloween, gli attori storici nuovamente sullo schermo (Neve Campbell nei panni di Sidney Prescott, Courteney Cox in quelli di Gale Weathers e David Arquette come Dewey Riley) hanno avuto modo di essere pienamente sviluppati nel corso delle passate pellicole e la loro nuova scrittura ha la duplice funzione di effetto nostalgia e motore narrativo, il che li rende ancora una volta perfettamente apprezzabili pur recitando per la quinta volta quasi lo stesso copione. Risultano inoltre particolarmente oculati e mai pacchiani gli omaggi al cinema di Craven e ai suoi modelli: i due esempi più lampanti sono il cognome delle due sorelle protagoniste, Tara e Sam Carpenter (come il regista John), e la ricreazione della scena sopracitata di Halloween in TV, qui sostituito con la messa in scena metacinematografica degli avvenimenti del primo Scream.
Ma l’operazione di Bettinelli-Olpin e Gillett non finisce qui, in quanto il duo è regista anche dell’ultimo sequel, Scream VI (2023). La trama principale è molto simile alla precedente, con un nuovo Ghostface che semina il terrore attorno alle protagoniste Sam e Tara, non più però in una località circoscritta come Woodsboro, ma in pieno centro urbano, a New York. Tale scelta, assieme alla frase di Ghostface “Chi se ne frega dei film!”, assolutamente in controtendenza con la cinefilia dei killer precedenti, potrebbe sembrare un tradimento della formula classica della saga, ma una volta giunti al termine della pellicola ci si rende conto di essere stati presi in giro (altra caratteristica del franchise): Scream VI è un requel al quadrato, in quanto non solo è sequel di un requel, ma si rifà principalmente a Scream 2 e si ricollega al contempo a tutti i capitoli precedenti della saga, andando in controtendenza piena con la strategia dei requel finora citati e trattati. I due registi si dimostrano dunque perfettamente in linea con la poetica e la modalità d’esecuzione di Craven, mantenendo ancora una volta alta la reputazione di Ghostface.
Un’epoca di requel?
Allo stato attuale il panorama horror si sta popolando sempre più di requel che tentano di riportare in auge franchise storici spesso in declino o abbandonati da tempo, come il più recente L’esorcista - Il credente (2023) sempre di David Gordon Green. Ma non solo: i requel iniziano a inserirsi nelle saghe più recenti, come è stato Spiral - L’eredità di Saw (2021) per la saga di Saw - L’enigmista e, come abbiamo visto, non solamente nel genere strettamente horror (un esempio affine è Ghostbusters: Legacy del 2021). Non bisogna però credere che sia una modalità comune a tutti: il recente Hellraiser (2022) di David Bruckner ha saputo sapientemente dare prova di come non sia necessario legarsi al capostipite per ridare linfa vitale a una saga, creando invece un reboot che rielabora le estetiche di Clive Barker per reinterpretarle in maniera innovativa ed estremamente rispettosa dell’originale.
In conclusione, film come Halloween (2018), Non aprite quella porta (2022) e Scream (2022) hanno dimostrato come la tecnica del requel stia sempre più diventando una realtà produttiva consolidata all’interno del genere e, dato il successo commerciale di queste pellicole, potremmo riflettere sui nostri gusti narrativi, su quali siano le storie che ci piace vivere ancora e ancora. Forse ci stiamo avviando a un tipo di spettacolo come quello greco antico, in cui si utilizzavano storie già note al pubblico per reinventarle e dire qualcosa di nuovo. Ci attende un’epoca di requel? Non poniamo limiti alle possibilità, ma speriamo che la smettano di utilizzare i titoli delle opere originali per i nuovi adattamenti.
NC-179
16.12.2023
Lo scorso ottobre è approdato in Italia il nuovo capitolo della saga di Saw - L’enigmista che con Saw X giunge al suo decimo lungometraggio, un traguardo sicuramente notevole che non molti franchise hanno avuto la fortuna di raggiungere, soprattutto nel genere horror. Oltre a Saw, il record delle dieci apparizioni è stato battuto dalle saghe di Venerdì 13, con all’attivo undici pellicole, Halloween e Hellraiser, che proprio nel 2022 hanno raggiunto rispettivamente tredici e undici film. Personaggi come Jason Voorhees, Michael Myers, Pinhead, come anche Freddy Krueger da Nightmare, Leatherface da Non aprite quella porta o Ghostface da Scream, sono icone di quella serie di franchise nati fra gli anni ‘70 e ‘90 che oramai hanno raggiunto un livello tale di fama da aver trasceso la nicchia degli appassionati del brivido ed esser diventati elementi fondamentali della cultura pop contemporanea.
Non bisogna considerare però queste grandi saghe horror come un semplice fasto del passato, lontane dalla realtà produttiva contemporanea, perché proprio ultimamente sono più vive che mai. Halloween e Hellraiser non sono infatti gli unici ad aver fatto ritorno sugli schermi di recente, ma anche Scream, La casa, Non aprite quella porta e persino L’esorcista. Stiamo forse avendo una nuova ondata di nostalgia? Si prospetta una nuova valanga di remake come è stato intorno agli anni ‘10 del Duemila? Andiamo quindi a scoprirlo facendo una rapida analisi dei maggiori ritorni sul grande e (purtroppo) piccolo schermo delle grandi saghe horror in questi ultimi anni.
Halloween
Il franchise che fece da apripista per lo slasher moderno ancora una volta segna il punto di partenza per una nuova tendenza del genere: ispirandosi alle operazioni svolte da altre saghe di grande successo come Jurassic Park e Star Wars con i relativi Jurassic World (2015) e Star Wars - Il risveglio della Forza (2015), con Halloween (2018), primo capitolo della trilogia di David Gordon Green, anche Michael Myers decide di tornare sulla scena attraverso quello che oggi possiamo definire un requel, ossia una pellicola che allo stesso tempo è un remake e un sequel del film capostipite di una saga. Un vero e proprio ritorno alla struttura dell’originale e contemporaneamente un suo ammodernamento che non tiene assolutamente conto dei precedenti sequel, spin-off e reboot realizzati, e Halloween è la prima saga horror a compiere questa operazione.
Volgere l’attenzione alla trama renderà più chiaro il processo: quarant’anni dopo gli avvenimenti del primo film, pochi giorni prima di Halloween, durante il suo trasferimento da una struttura psichiatrica a un’altra, Michael Myers riesce a fuggire e a tornare nella cittadina di Haddonfield per dare il via a una nuova serie di omicidi; nel mentre, l’ormai anziana Laurie Strode (protagonista del primo film del 1978 e interpretata ancora da Jamie Lee Curtis), che ha trascorso la sua vita a prepararsi al possibile ritorno di Michael Myers, decide di affrontare una volta per tutte l’uomo nero per proteggere la figlia Judy e la nipote Allyson.
Già solamente con questi pochi elementi possiamo rintracciare dei forti richiami all’originale film di John Carpenter: la fuga di Michael durante un trasferimento, la concomitanza temporale con la notte di Halloween, Jamie Lee Curtis come protagonista destinata allo scontro finale con il killer. Il personaggio di Laurie risulta tuttavia ben diverso: non è più la giovane babysitter spaventata che cerca di sopravvivere, ma una donna armata fino ai denti e decisa ad affrontare a muso duro l’incubo che l’ha tormentata per tutta la vita, arrivando finanche a compromettere i rapporti con la propria famiglia pur di poterne garantire la sicurezza (viene infatti spiegato come Laurie abbia perso la custodia della figlia in giovane età proprio a causa della sua educazione improntata al combattimento).
Un altro importante cambiamento apportato dal regista Green riguarda l'efferatezza di Michael, le cui uccisioni risultano molto più violente ed esplicite di quanto non lo fossero in Carpenter. Questo elemento verrà ancora più marcato nel sequel Halloween Kills (2021), in cui Michael Myers darà il meglio di sé raggiungendo un totale di trentuno uccisioni (numerologia non casuale). Parlando di Halloween Kills, questo è il capitolo in cui inizia ad emergere l’interpretazione poetica di Green: il film segue infatti il comportamento dell’intera popolazione di Haddonfield che, a seguito dei primi omicidi di Myers, decide nella stessa notte di dargli la caccia, andando quindi oltre la normale giurisdizione e dando origine ad una vera e propria isteria giustizialista di massa all’estrema ricerca di un colpevole su cui riversare il proprio dolore.
È proprio in questa pellicola, inoltre, che Michael Myers viene elevato non solo a omicida seriale guidato da una furia cieca, ma a vera e propria incarnazione della violenza generata dalla frustrazione e dalla paura: una esplicitazione del suo storico essere il puro male. Giungiamo quindi al capitolo conclusivo della trilogia di Green, Halloween Ends (2022), che prova con poco coraggio ad evolvere la metafora sostenuta nel film precedente. La storia è qui ambientata quattro anni dopo Halloween Kills e segue la vicenda di Corey Cunningham, un ragazzo che, a seguito di un incidente, ha ucciso il bambino a cui stava facendo da babysitter. Scontata la pena in carcere, Corey cerca di tornare alla normalità, ma è sotto continuo attacco della popolazione che non è in grado di dimenticare ciò che ha fatto. La sua vita prenderà una svolta imprevista nel momento in cui si troverà a confrontarsi parallelamente con Allyson da una parte e Michael Myers dall’altra.
Questo film è forse il più interessante di Green in quanto a intenti poetici, poiché vorrebbe riuscire a trascendere il personaggio di Michael Myers dalla sua persona fisica e trasformarlo in una sorta di maschera, simbolo di un male che può nascere in qualunque persona a partire dalla frustrazione e dall’odio. Il problema maggiore è tuttavia proprio quello di non riuscire ad andare fino in fondo, poiché cerca di conciliare la presenza di Michael e la propria poetica senza ottenere un risultato convincente, creando un prodotto che zoppica proprio come Michael nel suo nascondiglio. Quel che indubbiamente però traspare da questa trilogia è il desiderio di Green di rinvigorire (o bisognerebbe dire rinverdire) una saga storica cercando una nuova interpretazione che non si limiti a delle fantasiose trovate nelle modalità di esecuzione delle vittime. Ripartendo da una struttura consolidata, il regista sfrutta il requel per reinterpretare, anche poeticamente, un personaggio pluriadattato come Michael Myers. Ma questa operazione è svolta solo da David Gordon Green o è una tendenza comune al giorno d’oggi?
Non aprite quella porta
Nona pellicola della saga avviata da Tobe Hooper nel 1974, Non aprite quella porta (2022) di David Blue Garcia viene distribuito direttamente su Netflix, non avendo la possibilità di essere fruito in sala. È un’operazione che potrebbe sembrare singolare data la fama del franchise, ma risulta purtroppo in linea con la distribuzione di nuovi capitoli di saghe le cui precedenti pellicole non hanno riscosso un grande successo, come ad esempio i recenti Prey (2022) dal mondo di Predator e Hellraiser (2022), entrambi distribuiti direttamente sulla piattaforma Hulu.
Anche nel caso di Garcia ci troviamo di fronte a un requel, che si pone quindi in successione diretta con il Non aprite quella porta di Hooper e tenta di emulare l’operazione svolta da Halloween (2018). La trama ruota attorno a un gruppo di ragazzi che ha rilevato la proprietà di un paesino della provincia texana per fondare una nuova piccola società idealista. Al loro arrivo trovano nel vecchio orfanotrofio la precedente proprietaria assieme a un omone, Leatherface, presentato come uno dei suoi orfanelli. Assieme alla polizia, i ragazzi sfrattano i due, causando alla signora un crepacuore mortale. Leatherface perde quindi ogni freno e cerca vendetta contro tutti coloro che hanno portato alla morte la donna che si è presa cura di lui.
Plot interessante, ma quali sono i collegamenti con l’opera originale? Il film si apre con un breve riassunto degli eventi del ‘74 e un accenno al fatto che Sally Hardesty, l’unica sopravvissuta a quelle vicende, abbia trascorso la sua vita a cercare Leatherface per vendicarsi. Presentata così, quest’ultima non sembrerebbe molto diversa dalla Laurie di Halloween, ma ci sono differenze fondamentali che minano l’efficacia di questo cameo: in primis, nel film originale Sally era interpretata da Marilyn Burns, mentre in questo nuovo capitolo, a causa della scomparsa dell’attrice, è interpretata da Olwen Fouéré; in secundis, diversamente da Laurie - che è stata nel corso degli anni protagonista di ben quattro pellicole del franchise prima del requel di Green - Sally è stata protagonista solamente del film di Hooper, non rendendo possibile nel pubblico quell’attaccamento ad un personaggio storico ricorrente; in tertiis, Sally è presente in pochissime scene, approfondita al minimo e collaterale alla risoluzione della trama. Per tali ragioni, l’effetto nostalgia che il personaggio di Sally voleva ricreare viene quindi reso impossibile.
La pellicola soffre inoltre di una brevità eccessiva: esclusi i titoli di coda, infatti, raggiunge a mala pena l’ora e un quarto, durata che risulta non solo inferiore alla media del genere (90-120 min. circa), ma che non concede neppure il tempo materiale per poter approfondire personaggi e tematiche. Questo comporta una necessaria semplificazione, quando non banalizzazione, di temi anche socialmente scottanti, come le stragi con armi da fuoco nelle scuole in cui una delle protagoniste, Lila, è stata coinvolta. Il focus del film sembra invece essere l’effettivo massacro a cui il titolo originale Texas Chainsaw Massacre rimanda, con un’evidente dedizione verso la realizzazione delle scene più cruente (la strage nel pullman è uno spettacolo per gli appassionati dello splatter).
Pare dunque che Garcia con il suo Non aprite quella porta abbia utilizzato il brand per riportare sullo schermo quel sottogenere dell’horror in cui domina una violenza quasi gratuita, ma che ai fan di vecchia data lascia l’amaro in bocca per un’occasione sprecata di rivedere non solo il proprio beniamino fare a pezzi persone con la motosega ma anche una salace e ben costruita critica sociale.
Scream
Riportare al cinema la saga di Scream dopo la morte di Wes Craven era un’operazione veramente difficile. I primi quattro film diretti dal creatore di Nightmare non erano semplici film dell’orrore, ma dei veri e propri saggi critici sul genere horror veicolati attraverso il cinema stesso. Ogni capitolo non era solo uno slasher alla Halloween (al quale Craven rende esplicito omaggio nel primo Scream mostrandone alcune scene da un televisore), ma un’operazione di analisi e confronto con i meccanismi del genere. Per un nuovo capitolo era quindi necessario trovare sia un nuovo team di produzione sia una nuova tipologia di horror con cui potersi confrontare…e quale occasione migliore per realizzare un requel! Ecco quindi poste le premesse per l’uscita di Scream (2022) per la regia del duo composto da Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett. La struttura narrativa ancora una volta si rifà a quella classica della saga: un nuovo assassino travestito da Ghostface semina il terrore nella cittadina di Woodsboro traendo diretta ispirazione dagli omicidi raccontati in Scream (1996).
Con una nuova storia che segue le orme dell’originale e coinvolge un nuovo cast supportato da personaggi storici della serie, Scream (2022) studia e in un certo senso canonizza le regole di questa nuova generazione di horror, oltre a fornirne un’effettiva definizione (il termine requel utilizzato finora è infatti preso proprio da questa pellicola, che lo utilizza in coppia al termine lega-sequel per indicare proprio la tipologia di film qui trattata). Come nel caso di Halloween, gli attori storici nuovamente sullo schermo (Neve Campbell nei panni di Sidney Prescott, Courteney Cox in quelli di Gale Weathers e David Arquette come Dewey Riley) hanno avuto modo di essere pienamente sviluppati nel corso delle passate pellicole e la loro nuova scrittura ha la duplice funzione di effetto nostalgia e motore narrativo, il che li rende ancora una volta perfettamente apprezzabili pur recitando per la quinta volta quasi lo stesso copione. Risultano inoltre particolarmente oculati e mai pacchiani gli omaggi al cinema di Craven e ai suoi modelli: i due esempi più lampanti sono il cognome delle due sorelle protagoniste, Tara e Sam Carpenter (come il regista John), e la ricreazione della scena sopracitata di Halloween in TV, qui sostituito con la messa in scena metacinematografica degli avvenimenti del primo Scream.
Ma l’operazione di Bettinelli-Olpin e Gillett non finisce qui, in quanto il duo è regista anche dell’ultimo sequel, Scream VI (2023). La trama principale è molto simile alla precedente, con un nuovo Ghostface che semina il terrore attorno alle protagoniste Sam e Tara, non più però in una località circoscritta come Woodsboro, ma in pieno centro urbano, a New York. Tale scelta, assieme alla frase di Ghostface “Chi se ne frega dei film!”, assolutamente in controtendenza con la cinefilia dei killer precedenti, potrebbe sembrare un tradimento della formula classica della saga, ma una volta giunti al termine della pellicola ci si rende conto di essere stati presi in giro (altra caratteristica del franchise): Scream VI è un requel al quadrato, in quanto non solo è sequel di un requel, ma si rifà principalmente a Scream 2 e si ricollega al contempo a tutti i capitoli precedenti della saga, andando in controtendenza piena con la strategia dei requel finora citati e trattati. I due registi si dimostrano dunque perfettamente in linea con la poetica e la modalità d’esecuzione di Craven, mantenendo ancora una volta alta la reputazione di Ghostface.
Un’epoca di requel?
Allo stato attuale il panorama horror si sta popolando sempre più di requel che tentano di riportare in auge franchise storici spesso in declino o abbandonati da tempo, come il più recente L’esorcista - Il credente (2023) sempre di David Gordon Green. Ma non solo: i requel iniziano a inserirsi nelle saghe più recenti, come è stato Spiral - L’eredità di Saw (2021) per la saga di Saw - L’enigmista e, come abbiamo visto, non solamente nel genere strettamente horror (un esempio affine è Ghostbusters: Legacy del 2021). Non bisogna però credere che sia una modalità comune a tutti: il recente Hellraiser (2022) di David Bruckner ha saputo sapientemente dare prova di come non sia necessario legarsi al capostipite per ridare linfa vitale a una saga, creando invece un reboot che rielabora le estetiche di Clive Barker per reinterpretarle in maniera innovativa ed estremamente rispettosa dell’originale.
In conclusione, film come Halloween (2018), Non aprite quella porta (2022) e Scream (2022) hanno dimostrato come la tecnica del requel stia sempre più diventando una realtà produttiva consolidata all’interno del genere e, dato il successo commerciale di queste pellicole, potremmo riflettere sui nostri gusti narrativi, su quali siano le storie che ci piace vivere ancora e ancora. Forse ci stiamo avviando a un tipo di spettacolo come quello greco antico, in cui si utilizzavano storie già note al pubblico per reinventarle e dire qualcosa di nuovo. Ci attende un’epoca di requel? Non poniamo limiti alle possibilità, ma speriamo che la smettano di utilizzare i titoli delle opere originali per i nuovi adattamenti.