La terra della discordia,
recensione di Diana Incorvaia
RV-14
28.04.2023
Una lotta senza esclusione di colpi tra uomo e animale è la sequenza d’apertura di As Bestas, ultimo film di Rodrigo Sorogoyen. Gli aloitadores, potendo contare solo sulla loro bruta forza fisica, catturano e dominano cavalli selvaggi a mani nude. In pochi istanti, senza ancora aver introdotto i protagonisti della vicenda, il regista spagnolo pone lo spettatore di fronte al cuore della storia che andrà a raccontare sullo schermo. La paura del diverso, il desiderio di conquista e sottomissione che conduce l’essere umano alla follia più bestiale e assoluta sono gli ingredienti di questo thriller tesissimo magistralmente girato da Sorogoyen, il quale si conferma essere una delle voci più interessanti del cinema europeo contemporaneo. Ambientato in un paesino tra le montagne della Galizia, As Bestas segue la vicenda di una coppia francese da poco trasferitasi in zona nel tentativo di cambiare vita e ritrovare un contatto con la natura. Il proposito di Antoine (Denis Ménochet) e Olga (Marina Foïs), questi i loro nomi, è quello di praticare un’agricoltura eco-sostenibile così da favorire il ripopolamento della zona. Benvoluti da buona parte della popolazione locale si trovano però a fronteggiare la sempre più marcata ostilità di due fratelli, Xan e Lorenzo. A essere preso di mira è soprattutto Antoine, in maniera particolare mentre si ritrova a bere calici nel bar del paesino. Il motivo alla base del clima di tensione è l’opposizione da parte di Antoine e Olga al progetto di installazione di pale eoliche nella zona. Innovazione che potrebbe portare grossi benefici economici agli abitanti, i quali però dovrebbero abbandonare definitivamente il villaggio. Ecco che allora torna il tema magistralmente ritratto nella sequenza iniziale. Quale spirito ottuso e prepotente può animare degli uomini convinti di poter soggiogare a mani nude un cavallo libero contro la sua volontà? Questo è il meccanismo entro cui la coppia francese si trova vittima. Sono stranieri e tanto basterebbe, ma sono anche educati, e quindi, pensano i fratelli, devono pagare la loro presunta superiorità. In più c’è la presa di posizione contraria all’accordo economico, motivo più che sufficiente per scatenare un estenuante e inquietante gioco al massacro tra gatto e topo: minacce, insulti, raccolti rovinati, sassi lanciati contro la loro proprietà e la costante paura che qualcuno possa aggredirli sono solo alcune delle disavventure che Antoine e Olga devono subire, fino al compiersi dell’irreparabile.
Innovazione contro tradizione: Rodrigo Sorogoyen ritrae questo eterno conflitto in un’unica inquadratura, senza stacchi, dei due uomini che parlano uno di fronte all'altro, ognuno emblema di valori opposti e visioni della vita inconciliabili. Il conflitto è estetico, oltre che morale. Antoine da una parte è un omone possente, colto e dalla gestualità composta, Xan invece è molto magro, scavato e respingente. La cultura e l’apertura di vedute si scontra con la durezza di una vita difficile, frustrante e meno idilliaca di quello che solitamente si pensa. Forte di una scrittura intelligente e di una capacità di scavare a fondo nella complessità dell’animo umano, As Bestas è l'inquieta rappresentazione di un duello all’ultimo sangue, la cui violenta energia attraversa le relazioni e i desideri dei personaggi.
Il regista spagnolo è impeccabile nella gestione di una tensione latente ma sempre percepibile, intessuta in ogni movimento di macchina. Sorogoyen si muove in maniera antitetica rispetto agli istinti bestiali dei suoi personaggi: mentre la tensione cresce la regia è misurata, volta al non mostrare, al non esplodere insieme alla furia degli uomini. Il risultato è un clima di sospensione, una dimensione limbica in cui altro non si può fare che trattenere il fiato. Un thriller che scardina i punti fondamentali del genere, attraendo lo spettatore in un vortice di adrenalina tanto intenso quanto glaciale. Poi, all’improvviso, si affaccia una luce, un cambio di ritmo narrativo, un respiro. Senza voler scendere nei dettagli della trama, Sorogoyen decide di virare il tono della narrazione introducendo il punto di vista di un personaggio fino a quel momento rimasto nelle retrovie, come a testimonianza dell’esistenza di un fuori campo da cui ripartire, una speranza nel buio, qualcosa di buono rimasto immune a quel circolo di cieca rabbia e violenza.
La terra della discordia,
recensione di Diana Incorvaia
RV-14
28.04.2023
Una lotta senza esclusione di colpi tra uomo e animale è la sequenza d’apertura di As Bestas, ultimo film di Rodrigo Sorogoyen. Gli aloitadores, potendo contare solo sulla loro bruta forza fisica, catturano e dominano cavalli selvaggi a mani nude. In pochi istanti, senza ancora aver introdotto i protagonisti della vicenda, il regista spagnolo pone lo spettatore di fronte al cuore della storia che andrà a raccontare sullo schermo. La paura del diverso, il desiderio di conquista e sottomissione che conduce l’essere umano alla follia più bestiale e assoluta sono gli ingredienti di questo thriller tesissimo magistralmente girato da Sorogoyen, il quale si conferma essere una delle voci più interessanti del cinema europeo contemporaneo. Ambientato in un paesino tra le montagne della Galizia, As Bestas segue la vicenda di una coppia francese da poco trasferitasi in zona nel tentativo di cambiare vita e ritrovare un contatto con la natura. Il proposito di Antoine (Denis Ménochet) e Olga (Marina Foïs), questi i loro nomi, è quello di praticare un’agricoltura eco-sostenibile così da favorire il ripopolamento della zona. Benvoluti da buona parte della popolazione locale si trovano però a fronteggiare la sempre più marcata ostilità di due fratelli, Xan e Lorenzo. A essere preso di mira è soprattutto Antoine, in maniera particolare mentre si ritrova a bere calici nel bar del paesino. Il motivo alla base del clima di tensione è l’opposizione da parte di Antoine e Olga al progetto di installazione di pale eoliche nella zona. Innovazione che potrebbe portare grossi benefici economici agli abitanti, i quali però dovrebbero abbandonare definitivamente il villaggio. Ecco che allora torna il tema magistralmente ritratto nella sequenza iniziale. Quale spirito ottuso e prepotente può animare degli uomini convinti di poter soggiogare a mani nude un cavallo libero contro la sua volontà? Questo è il meccanismo entro cui la coppia francese si trova vittima. Sono stranieri e tanto basterebbe, ma sono anche educati, e quindi, pensano i fratelli, devono pagare la loro presunta superiorità. In più c’è la presa di posizione contraria all’accordo economico, motivo più che sufficiente per scatenare un estenuante e inquietante gioco al massacro tra gatto e topo: minacce, insulti, raccolti rovinati, sassi lanciati contro la loro proprietà e la costante paura che qualcuno possa aggredirli sono solo alcune delle disavventure che Antoine e Olga devono subire, fino al compiersi dell’irreparabile.
Innovazione contro tradizione: Rodrigo Sorogoyen ritrae questo eterno conflitto in un’unica inquadratura, senza stacchi, dei due uomini che parlano uno di fronte all'altro, ognuno emblema di valori opposti e visioni della vita inconciliabili. Il conflitto è estetico, oltre che morale. Antoine da una parte è un omone possente, colto e dalla gestualità composta, Xan invece è molto magro, scavato e respingente. La cultura e l’apertura di vedute si scontra con la durezza di una vita difficile, frustrante e meno idilliaca di quello che solitamente si pensa. Forte di una scrittura intelligente e di una capacità di scavare a fondo nella complessità dell’animo umano, As Bestas è l'inquieta rappresentazione di un duello all’ultimo sangue, la cui violenta energia attraversa le relazioni e i desideri dei personaggi.
Il regista spagnolo è impeccabile nella gestione di una tensione latente ma sempre percepibile, intessuta in ogni movimento di macchina. Sorogoyen si muove in maniera antitetica rispetto agli istinti bestiali dei suoi personaggi: mentre la tensione cresce la regia è misurata, volta al non mostrare, al non esplodere insieme alla furia degli uomini. Il risultato è un clima di sospensione, una dimensione limbica in cui altro non si può fare che trattenere il fiato. Un thriller che scardina i punti fondamentali del genere, attraendo lo spettatore in un vortice di adrenalina tanto intenso quanto glaciale. Poi, all’improvviso, si affaccia una luce, un cambio di ritmo narrativo, un respiro. Senza voler scendere nei dettagli della trama, Sorogoyen decide di virare il tono della narrazione introducendo il punto di vista di un personaggio fino a quel momento rimasto nelle retrovie, come a testimonianza dell’esistenza di un fuori campo da cui ripartire, una speranza nel buio, qualcosa di buono rimasto immune a quel circolo di cieca rabbia e violenza.