Preghiere e sussurri
recensione di Lorenzo Nuzzo
RV-83
18.12.2024
Niente come la morte Santa del Papa può smascherare il dramma profano degli uomini, così simili, tutti, nelle loro narcise aspirazioni. Cardinali, eminenze dai contorni antichi: giocano a scacchi col tempo, tra l’austerità dei luoghi e quel che resta del sacro.
Quindi poco o nulla, perché Edward Berger, lucido regista del dissacrante, cerca la fine dell’umanità negli eventi secolari. In Im Westen nichts Neues (Niente di nuovo sul fronte occidentale, 2022) aveva svuotato la guerra di promesse lasciando cumuli di corpi spenti, così in Conclave (in uscita nelle sale domani, giovedì 19 dicembre) rigetta un’altra massa uniforme nel buio vaticano di un potere senza patria né nome.
“Il trono della Santa Sede è vacante", annuncia il cardinale Tremblay con la solenne angoscia di parole che, da sole, riscrivono destini. E sarà tutto sulle spalle del Decano Lawrence di Ralph Fiennes - lui che ha nel volto scalfita l’indulgenza dei fattori - l’onere di riunire i centootto cardinali nel Conclave che eleggerà il Papa. Un suffragio serratissimo nella claustrofobia barocca della Cappella Sistina; mentre in città, ordigni sul filo dell’Apocalisse minacciano Roma di una Guerra Santa.
“C’è stata una bomba in piazza Barberini” si vocifera all’alba di un’elezione papale che pare tanto una chiamata alle armi, tra l’affanno del montaggio e la musicalità di violini che suonano un pericolo a pochi passi. Così i cardinali, compassati come una milizia, si avvicinano, nelle nere tuniche, alla curia come fosse una trincea, con la paura accorta di chi sente già il fiato del nemico.
È una guerra vaticana quella orchestrata da Berger nel suo Conclave - adattamento dell’omonimo romanzo di Robert Harris - che si fa allegoria politica (ancor prima che spirituale) di una battaglia sul tramonto della fede e il dominio delle idee. A regnare è l’armonia del partitismo, con liberali e conservatori che siedono in tavolate lontane, mentre studiano l’uno gli umori dell’altro. Sperano ognuno nel primo passo falso o, chissà, in qualche scandalo (ri)affiorato tra vecchie carte pontificie.
Neanche la facciata (precaria) della fraternità riempie gli abissi tra la nostalgia del Cardinale Tedesco (Sergio Castellitto) e le utopie dell’Eminenza Bellini (Stanley Tucci). Il primo fantastica su guerre mai vissute e rimpiange i tempi andati della liturgia latina – “Abissus Abissum Invocat” recita nel terrore di un altro papato riformista – il secondo, integro nella sua severa modernità, dichiara ed elegge una nuova idea di Chiesa. Crede nel liberalismo della tolleranza: verso altre fedi, opinioni o sessualità. Niente di più lontano dai sermoni assoluti dell’Eminenza Tedesco.
Allora, ecco, che le parole del professor Kantorek sulla “guerra come una partita a scacchi” in Niente di nuovo sul fronte occidentale, risuonano nel gioco delle parti di Conclave, lungo i ribaltamenti degli scrutini papali, segregati nel silenzio di scure fumate.
Solo le suore, sorelle invisibili, guidate da Madre Agnes (Isabella Rossellini), assistono alla caduta dei Padri. E il volto di Rossellini è così vivido nella rabbia matriarcale che scoperchia il vaso di Pandora. Per pochi sono le briciole della sua stoica misericordia: come l’eminenza Benitez, ultimo dei cardinali nominato in pectore dal Papa prima di morire. Si affaccia alla curia con la fatica del pellegrino e lo spaesamento del viaggiatore; clemente ed estraneo in ogni posto, tra i fuochi Islamici di Kabul e tra la maestosità intatta dei palazzi vaticani.
Sembra così simile a una campagna elettorale questo Conclave che sotto la pelle del dramma liturgico ha l’ossatura del cinema di denuncia figlio della New Hollywood. Cupo e verboso, butta giù il castello kafkiano della Santa Sede proprio come gli instancabili giornalisti del Washington Post mettevano in ginocchio la Casa Bianca in All the President's Men (Tutti gli uomini del presidente, 1976). Stavolta lo scandalo Watergate si gioca tra le mura vaticane, tra cospirazioni e sgambetti ai fratelli-nemici.
Certo, il Conclave di Berger non avrà il freddo pittorialismo del thriller politico di Alan J. Pakula, ma il gusto delle accuse pesanti quello sì; tanto che la caccia alle streghe del Decano Lawrence non è poi così diversa dalla sterminata inchiesta porta a porta di Dustin Hoffmann e Robert Redford. Piccoli ma affamati cronisti d’assalto, scelgono la parola scritta e ne fanno l’arma più affilata del dopoguerra americano.
“Dì tutta la verità ma dilla obliqua” recita un verso di Emily Dickinson, citato dallo sceneggiatore Peter Straughan per parlare di Conclave. E il film di Berger non è altro che un mosaico di verità oblique che crede ancora nel domani della Chiesa.
Preghiere e sussurri
recensione di Lorenzo Nuzzo
RV-83
18.12.2024
Niente come la morte Santa del Papa può smascherare il dramma profano degli uomini, così simili, tutti, nelle loro narcise aspirazioni. Cardinali, eminenze dai contorni antichi: giocano a scacchi col tempo, tra l’austerità dei luoghi e quel che resta del sacro.
Quindi poco o nulla, perché Edward Berger, lucido regista del dissacrante, cerca la fine dell’umanità negli eventi secolari. In Im Westen nichts Neues (Niente di nuovo sul fronte occidentale, 2022) aveva svuotato la guerra di promesse lasciando cumuli di corpi spenti, così in Conclave (in uscita nelle sale domani, giovedì 19 dicembre) rigetta un’altra massa uniforme nel buio vaticano di un potere senza patria né nome.
“Il trono della Santa Sede è vacante", annuncia il cardinale Tremblay con la solenne angoscia di parole che, da sole, riscrivono destini. E sarà tutto sulle spalle del Decano Lawrence di Ralph Fiennes - lui che ha nel volto scalfita l’indulgenza dei fattori - l’onere di riunire i centootto cardinali nel Conclave che eleggerà il Papa. Un suffragio serratissimo nella claustrofobia barocca della Cappella Sistina; mentre in città, ordigni sul filo dell’Apocalisse minacciano Roma di una Guerra Santa.
“C’è stata una bomba in piazza Barberini” si vocifera all’alba di un’elezione papale che pare tanto una chiamata alle armi, tra l’affanno del montaggio e la musicalità di violini che suonano un pericolo a pochi passi. Così i cardinali, compassati come una milizia, si avvicinano, nelle nere tuniche, alla curia come fosse una trincea, con la paura accorta di chi sente già il fiato del nemico.
È una guerra vaticana quella orchestrata da Berger nel suo Conclave - adattamento dell’omonimo romanzo di Robert Harris - che si fa allegoria politica (ancor prima che spirituale) di una battaglia sul tramonto della fede e il dominio delle idee. A regnare è l’armonia del partitismo, con liberali e conservatori che siedono in tavolate lontane, mentre studiano l’uno gli umori dell’altro. Sperano ognuno nel primo passo falso o, chissà, in qualche scandalo (ri)affiorato tra vecchie carte pontificie.
Neanche la facciata (precaria) della fraternità riempie gli abissi tra la nostalgia del Cardinale Tedesco (Sergio Castellitto) e le utopie dell’Eminenza Bellini (Stanley Tucci). Il primo fantastica su guerre mai vissute e rimpiange i tempi andati della liturgia latina – “Abissus Abissum Invocat” recita nel terrore di un altro papato riformista – il secondo, integro nella sua severa modernità, dichiara ed elegge una nuova idea di Chiesa. Crede nel liberalismo della tolleranza: verso altre fedi, opinioni o sessualità. Niente di più lontano dai sermoni assoluti dell’Eminenza Tedesco.
Allora, ecco, che le parole del professor Kantorek sulla “guerra come una partita a scacchi” in Niente di nuovo sul fronte occidentale, risuonano nel gioco delle parti di Conclave, lungo i ribaltamenti degli scrutini papali, segregati nel silenzio di scure fumate.
Solo le suore, sorelle invisibili, guidate da Madre Agnes (Isabella Rossellini), assistono alla caduta dei Padri. E il volto di Rossellini è così vivido nella rabbia matriarcale che scoperchia il vaso di Pandora. Per pochi sono le briciole della sua stoica misericordia: come l’eminenza Benitez, ultimo dei cardinali nominato in pectore dal Papa prima di morire. Si affaccia alla curia con la fatica del pellegrino e lo spaesamento del viaggiatore; clemente ed estraneo in ogni posto, tra i fuochi Islamici di Kabul e tra la maestosità intatta dei palazzi vaticani.
Sembra così simile a una campagna elettorale questo Conclave che sotto la pelle del dramma liturgico ha l’ossatura del cinema di denuncia figlio della New Hollywood. Cupo e verboso, butta giù il castello kafkiano della Santa Sede proprio come gli instancabili giornalisti del Washington Post mettevano in ginocchio la Casa Bianca in All the President's Men (Tutti gli uomini del presidente, 1976). Stavolta lo scandalo Watergate si gioca tra le mura vaticane, tra cospirazioni e sgambetti ai fratelli-nemici.
Certo, il Conclave di Berger non avrà il freddo pittorialismo del thriller politico di Alan J. Pakula, ma il gusto delle accuse pesanti quello sì; tanto che la caccia alle streghe del Decano Lawrence non è poi così diversa dalla sterminata inchiesta porta a porta di Dustin Hoffmann e Robert Redford. Piccoli ma affamati cronisti d’assalto, scelgono la parola scritta e ne fanno l’arma più affilata del dopoguerra americano.
“Dì tutta la verità ma dilla obliqua” recita un verso di Emily Dickinson, citato dallo sceneggiatore Peter Straughan per parlare di Conclave. E il film di Berger non è altro che un mosaico di verità oblique che crede ancora nel domani della Chiesa.