Il lago dell'adolescenza,
recensione di Federico Mattioni
RV-22
30.06.2023
Bastien sta entrando nell’adolescenza. Chloé la sta abbandonando. Ma il sudore e il desiderio viaggiano sugli stessi binari. Peccato che la ragazza tenda a disorientare il desiderio di Bastien, flirtando con un ipotetico ex fidanzato e confondendo ulteriormente le aspettative. L’età è di quelle che contano. E segnano. Tredici e sedici anni. In Canada, più precisamente dalle parti del Falcon Lake nel Québec, durante una vacanza tra famiglie amiche i due adolescenti condividono la camera e cominciano a scoprirsi, mentre i racconti vacui di una leggenda che vuole il posto abitato dal fantasma di un ragazzo annegato nel lago prendono forma, giocoforza, esaltati dalla fantasia tipica dell’età.
Il film, diretto dall’attrice Charlotte Le Bon e liberamente adattato dalla graphic novel di Bastien Vivès Una sorella, è un esordio equilibrato tra tensione e desiderio, secondo un modello gotico flebilmente suggestionante come il vento da serate estive sulle rive di un lago. Una vicenda delicata di iniziazione sentimentale e sessuale, dove a mancare è il lato esibizionistico, con un pudore più adulto a fare da contrappunto sentimentale a una messa in scena candidamente partecipe nei riguardi delle esigenze più intime dei giovani e bravi protagonisti, ben interpretati da Joseph Engel e Sara Montpetit. I genitori, relegati al ruolo di figuranti, sono delle sagome che passano da un ambiente all’altro della casa vacanze, giustappunto per fungere da testimoni del coming of age in atto. Attorno alle placide acque del lago prende forma e movimento questa storia fatta di sguardi di sbieco intorno a focolari e feste nelle quali sbronzarsi, fare giochi stupidi e flirtare con semisconosciuti. Una iniziazione eccitante ma fuggevole e dolorosamente autentica nel suo svelarsi per quello che effettivamente vuole comunicare.
Bisogna necessariamente passare prima per l’inganno. Sembra essere un passo più corto di gambe agili per muoversi e correre incontro a un cuore che, tuttavia, batte all’impazzata. Sembra essere, a tratti, qualcosa da capogiro, anche se la regista su questo frangente decide di non esaltarne le vibrazioni, cinematograficamente intendendo. Le Bon si mantiene infatti volontariamente su una chiave più minimalista che nel complesso funziona ma che non regala i grandi picchi emotivi che una storia d’amore potrebbe e dovrebbe donare. Lo sguardo formale di Charlotte Le Bon inquadra paesaggio e figure umane con lo stesso identico cipiglio, una pulizia rigenerante nella cupezza paesaggistica, con in primo piano un taglio chiaramente naturalistico, in braccio al silvestre, nella cosciente consapevolezza che non possa esserci modalità migliore di trattare storia e personaggi di questa semplice, onesta perturbabilità emotiva. Quel che è chiaramente in corso d’opera è una metamorfosi. L’orizzonte è denso di nubi addensatesi nel caos ormonale dell’adolescenza. Oltre quell’orizzonte c’è del sole ma tarda a mostrarsi interamente perché attende lo svezzarsi di un’età che non è ancora adulta ma che del resto, non può essere per sempre bambina. E un fantasma nell’ombra a testimoniare un amore che forse è già in atto. Nel dubbio, meglio lasciarsi suggestionare da certi racconti, figure umane con lenzuola addosso inquadrate in 4:3. Scherzi infantili, tutto sommato. Di quelli da indagare di spalle alla verità, percorsa e rincorsa in un finale che, dopotutto, riesce a innalzare l’asticella.
Il lago dell'adolescenza,
recensione di Federico Mattioni
RV-22
30.06.2023
Bastien sta entrando nell’adolescenza. Chloé la sta abbandonando. Ma il sudore e il desiderio viaggiano sugli stessi binari. Peccato che la ragazza tenda a disorientare il desiderio di Bastien, flirtando con un ipotetico ex fidanzato e confondendo ulteriormente le aspettative. L’età è di quelle che contano. E segnano. Tredici e sedici anni. In Canada, più precisamente dalle parti del Falcon Lake nel Québec, durante una vacanza tra famiglie amiche i due adolescenti condividono la camera e cominciano a scoprirsi, mentre i racconti vacui di una leggenda che vuole il posto abitato dal fantasma di un ragazzo annegato nel lago prendono forma, giocoforza, esaltati dalla fantasia tipica dell’età.
Il film, diretto dall’attrice Charlotte Le Bon e liberamente adattato dalla graphic novel di Bastien Vivès Una sorella, è un esordio equilibrato tra tensione e desiderio, secondo un modello gotico flebilmente suggestionante come il vento da serate estive sulle rive di un lago. Una vicenda delicata di iniziazione sentimentale e sessuale, dove a mancare è il lato esibizionistico, con un pudore più adulto a fare da contrappunto sentimentale a una messa in scena candidamente partecipe nei riguardi delle esigenze più intime dei giovani e bravi protagonisti, ben interpretati da Joseph Engel e Sara Montpetit. I genitori, relegati al ruolo di figuranti, sono delle sagome che passano da un ambiente all’altro della casa vacanze, giustappunto per fungere da testimoni del coming of age in atto. Attorno alle placide acque del lago prende forma e movimento questa storia fatta di sguardi di sbieco intorno a focolari e feste nelle quali sbronzarsi, fare giochi stupidi e flirtare con semisconosciuti. Una iniziazione eccitante ma fuggevole e dolorosamente autentica nel suo svelarsi per quello che effettivamente vuole comunicare.
Bisogna necessariamente passare prima per l’inganno. Sembra essere un passo più corto di gambe agili per muoversi e correre incontro a un cuore che, tuttavia, batte all’impazzata. Sembra essere, a tratti, qualcosa da capogiro, anche se la regista su questo frangente decide di non esaltarne le vibrazioni, cinematograficamente intendendo. Le Bon si mantiene infatti volontariamente su una chiave più minimalista che nel complesso funziona ma che non regala i grandi picchi emotivi che una storia d’amore potrebbe e dovrebbe donare. Lo sguardo formale di Charlotte Le Bon inquadra paesaggio e figure umane con lo stesso identico cipiglio, una pulizia rigenerante nella cupezza paesaggistica, con in primo piano un taglio chiaramente naturalistico, in braccio al silvestre, nella cosciente consapevolezza che non possa esserci modalità migliore di trattare storia e personaggi di questa semplice, onesta perturbabilità emotiva. Quel che è chiaramente in corso d’opera è una metamorfosi. L’orizzonte è denso di nubi addensatesi nel caos ormonale dell’adolescenza. Oltre quell’orizzonte c’è del sole ma tarda a mostrarsi interamente perché attende lo svezzarsi di un’età che non è ancora adulta ma che del resto, non può essere per sempre bambina. E un fantasma nell’ombra a testimoniare un amore che forse è già in atto. Nel dubbio, meglio lasciarsi suggestionare da certi racconti, figure umane con lenzuola addosso inquadrate in 4:3. Scherzi infantili, tutto sommato. Di quelli da indagare di spalle alla verità, percorsa e rincorsa in un finale che, dopotutto, riesce a innalzare l’asticella.