

Il più grande spettacolo del mondo,
recensione di Arturo Garavaglia
RV-04
03.01.2023
Si racconta che quando Orson Welles mise per la prima volta piede negli studi della RKO per girare Quarto Potere esclamò, riferendosi alle potenzialitĆ e alla grandezza del cinema: Ā«Ecco il più straordinario trenino elettrico che sia mai stato inventatoĀ». Una decina di anni dopo sarebbe stato proprio un treno giocattolo a far nascere la passione per la settima arte in uno dei più importanti registi della storia di Hollywood: Steven Spielberg. Al cinema le persone sono grandi, ma non bisogna avere paura. Ć tutta unāillusione, ĆØ falso movimento, sono solo 24 fotogrammi al secondo. Con queste parole in The Fabelmans il padre (Paul Dano) di Sam Fabelman ā perfetto alter ego del regista ā rassicura il bambino prima dellāingresso in sala per vedere Il più grande spettacolo del mondo di Cecil B. DeMille. Particolarmente impressionato dalla scena in cui unāauto viene travolta da un treno in corsa, il bambino chiede come regalo per Hanukkah un trenino elettrico. Da quel momento inizia a replicare lāincidente che ha visto nel film. Vuole controllare la forte emozione provata e incanalarla, sostiene la madre (Michelle Williams), che decide di donare la macchina da presa amatoriale del padre al bambino cosƬ da fargli riprendere quellāavvenimento catastrofico in modo tale da conservarlo per sempre e non dovere ogni volta distruggere i giocattoli. In Sammy nasce una passione che continuerĆ inalterata nonostante il passare degli anni eĀ i frequenti cambi di casa. Il suo amore per lāatto creativo del Ā fare cinema si dovrĆ scontrare con un contesto familiare percorso da tensioni sotterranee, ma, nonostante gli ostacoli, riuscirĆ a fare del suo sogno la propria vita.
Il cinema ĆØ il più grande naufragio con spettatore a cui lāessere umano abbia mai potuto assistere. Ricreare il sublime, convogliarlo, trasmetterlo: questo ĆØ il sogno di Sammy, questo ĆØ ciò che spinse Spielberg a entrare nellāindustria cinematografica e raccontare grandi storie in grado di far provare agli spettatori di diverse generazioni le stesse emozioni, lo stesso senso di magnificenza ā quello che in greco veniva chiamato deinos e incarnava in sĆ© il doppio significato di āterribileā e āstraordinarioā ā che provò lui da bambino andando al cinema. Del resto, ĆØ sempre con un treno, quello dei fratelli Lumiere, e con analoghe emozioni che la meraviglia del cinema viene convenzionalmente fatta nascere. La famiglia Fabelman ĆØ tutto il contrario di una āfamiglia delle fiabeā, anche se vista dallāesterno potrebbe apparirlo e il cognome richiamarlo. Eppure, oltre lāapparenza, si celano tensioni che allāocchio umano non traspaiono, ma che vengono invece colte dal cinema. Se lāimmagine cinematografica ĆØ la cristallizzazione di un punto di vista su un qualcosa, lāinquadratura ĆØ un occhio in grado di donare alla realtĆ un significato altro. In essa scava il discorso portato avanti dallāultima opera di Spielberg, come nel caso del film sul campeggio girato e montato da Sammy nel quale la macchina da presa buca il velo dellāesterioritĆ rivelando una relazione tra la madre e lo āzioā Bennie (Seth Rogen). Lāocchio della macchina da presa, e dunque lāocchio del regista, arrivano oltre quello umano. In questi termini, la scena della morte della nonna di Sam (Robin Bartlett) mostrata con uno zoom che sembra partire dallo sguardo del ragazzo e arrivare fino alla vena del collo della vecchia che sta per smettere di pulsare ĆØ esemplare.
Ma lāimmagine cinematografica, oltre a scovare la realtĆ , può plasmarla fino a ricrearla. Il ragazzo che interpreta il generale nel primo film girato da Sammy viene a tal punto coinvolto nella finzione da diventare āveramenteā un comandante che ha appena perso il proprio plotone, rimanendo assorbito in questo stato anche dopo lo stop alle riprese. Specularmente, il film sul āDitch Partyā nel quale lāambiguo Logan (Sam Rechner) viene rappresentato in maniera diversa da ciò che ĆØ realmente ci offre un altro esempio di come il cinema, partendo sempre da un reale ā che possiamo chiamare, genericamente, vita ā sia in grado di restituire una realtĆ fittizia. Lo sgomento di Logan per il ritratto di sĆ© che gli viene offerto dal cinema ĆØ emblematico. Ā«Quello non sono ioĀ», sostiene lo studente. Ancora più incisiva ĆØ però la risposta di Sammy: Ā«SƬ, però hai riconquistato la ragazzaĀ». In questo semplice scambio ĆØ racchiuso il senso del cinema e, per Spielberg, del fare cinema. Esso ĆØ il come-se in grado di far diventare la persona un personaggio senza nemmeno che questa si renda conto della metamorfosi. Ć il come-se, la finzione, in grado di influire sulla realtĆ e modificarla. Non sono solo le persone a essere più grandi sullo schermo. Ć tutto più grande. Il cinema ĆØ mito poichĆ© in esso ĆØ riprodotto, in grande, l'uomo. Spetta al regista, lāuomo che produce le fiabe, il fableman, far vivere questo sogno.
The Fabelmans ĆØ lāultima opera di un regista che anche raccontando una storia più piccola rispetto al suo solito mantiene intatta quella magnificenza, quella magia, quellāampiezza di orizzonti che sono state il perno della sua arte. Una lettera dāamore che incastonata nella cornice di un solido racconto di formazione non manca di essere anche un trattato sul potere del cinema e dellāimmagine cinematografica, sulla sua capacitĆ di intervenire sulla realtĆ e di restituirla nelle sue venature nascoste e possibili grazie allāocchio della macchina da presa. Un occhio che, sia esso rivelatore o creatore, produce sempre un significato, una storia. Con lāultimo film di Spielberg abbiamo la dimostrazione che il più grande spettacolo del mondo può proseguire. Il treno può continuare a correre.

Il più grande spettacolo del mondo,
recensione di Arturo Garavaglia
RV-04
03.01.2023
Si racconta che quando Orson Welles mise per la prima volta piede negli studi della RKO per girare Quarto Potere esclamò, riferendosi alle potenzialitĆ e alla grandezza del cinema: Ā«Ecco il più straordinario trenino elettrico che sia mai stato inventatoĀ». Una decina di anni dopo sarebbe stato proprio un treno giocattolo a far nascere la passione per la settima arte in uno dei più importanti registi della storia di Hollywood: Steven Spielberg. Al cinema le persone sono grandi, ma non bisogna avere paura. Ć tutta unāillusione, ĆØ falso movimento, sono solo 24 fotogrammi al secondo. Con queste parole in The Fabelmans il padre (Paul Dano) di Sam Fabelman ā perfetto alter ego del regista ā rassicura il bambino prima dellāingresso in sala per vedere Il più grande spettacolo del mondo di Cecil B. DeMille. Particolarmente impressionato dalla scena in cui unāauto viene travolta da un treno in corsa, il bambino chiede come regalo per Hanukkah un trenino elettrico. Da quel momento inizia a replicare lāincidente che ha visto nel film. Vuole controllare la forte emozione provata e incanalarla, sostiene la madre (Michelle Williams), che decide di donare la macchina da presa amatoriale del padre al bambino cosƬ da fargli riprendere quellāavvenimento catastrofico in modo tale da conservarlo per sempre e non dovere ogni volta distruggere i giocattoli. In Sammy nasce una passione che continuerĆ inalterata nonostante il passare degli anni eĀ i frequenti cambi di casa. Il suo amore per lāatto creativo del Ā fare cinema si dovrĆ scontrare con un contesto familiare percorso da tensioni sotterranee, ma, nonostante gli ostacoli, riuscirĆ a fare del suo sogno la propria vita.
Il cinema ĆØ il più grande naufragio con spettatore a cui lāessere umano abbia mai potuto assistere. Ricreare il sublime, convogliarlo, trasmetterlo: questo ĆØ il sogno di Sammy, questo ĆØ ciò che spinse Spielberg a entrare nellāindustria cinematografica e raccontare grandi storie in grado di far provare agli spettatori di diverse generazioni le stesse emozioni, lo stesso senso di magnificenza ā quello che in greco veniva chiamato deinos e incarnava in sĆ© il doppio significato di āterribileā e āstraordinarioā ā che provò lui da bambino andando al cinema. Del resto, ĆØ sempre con un treno, quello dei fratelli Lumiere, e con analoghe emozioni che la meraviglia del cinema viene convenzionalmente fatta nascere. La famiglia Fabelman ĆØ tutto il contrario di una āfamiglia delle fiabeā, anche se vista dallāesterno potrebbe apparirlo e il cognome richiamarlo. Eppure, oltre lāapparenza, si celano tensioni che allāocchio umano non traspaiono, ma che vengono invece colte dal cinema. Se lāimmagine cinematografica ĆØ la cristallizzazione di un punto di vista su un qualcosa, lāinquadratura ĆØ un occhio in grado di donare alla realtĆ un significato altro. In essa scava il discorso portato avanti dallāultima opera di Spielberg, come nel caso del film sul campeggio girato e montato da Sammy nel quale la macchina da presa buca il velo dellāesterioritĆ rivelando una relazione tra la madre e lo āzioā Bennie (Seth Rogen). Lāocchio della macchina da presa, e dunque lāocchio del regista, arrivano oltre quello umano. In questi termini, la scena della morte della nonna di Sam (Robin Bartlett) mostrata con uno zoom che sembra partire dallo sguardo del ragazzo e arrivare fino alla vena del collo della vecchia che sta per smettere di pulsare ĆØ esemplare.
Ma lāimmagine cinematografica, oltre a scovare la realtĆ , può plasmarla fino a ricrearla. Il ragazzo che interpreta il generale nel primo film girato da Sammy viene a tal punto coinvolto nella finzione da diventare āveramenteā un comandante che ha appena perso il proprio plotone, rimanendo assorbito in questo stato anche dopo lo stop alle riprese. Specularmente, il film sul āDitch Partyā nel quale lāambiguo Logan (Sam Rechner) viene rappresentato in maniera diversa da ciò che ĆØ realmente ci offre un altro esempio di come il cinema, partendo sempre da un reale ā che possiamo chiamare, genericamente, vita ā sia in grado di restituire una realtĆ fittizia. Lo sgomento di Logan per il ritratto di sĆ© che gli viene offerto dal cinema ĆØ emblematico. Ā«Quello non sono ioĀ», sostiene lo studente. Ancora più incisiva ĆØ però la risposta di Sammy: Ā«SƬ, però hai riconquistato la ragazzaĀ». In questo semplice scambio ĆØ racchiuso il senso del cinema e, per Spielberg, del fare cinema. Esso ĆØ il come-se in grado di far diventare la persona un personaggio senza nemmeno che questa si renda conto della metamorfosi. Ć il come-se, la finzione, in grado di influire sulla realtĆ e modificarla. Non sono solo le persone a essere più grandi sullo schermo. Ć tutto più grande. Il cinema ĆØ mito poichĆ© in esso ĆØ riprodotto, in grande, l'uomo. Spetta al regista, lāuomo che produce le fiabe, il fableman, far vivere questo sogno.
The Fabelmans ĆØ lāultima opera di un regista che anche raccontando una storia più piccola rispetto al suo solito mantiene intatta quella magnificenza, quella magia, quellāampiezza di orizzonti che sono state il perno della sua arte. Una lettera dāamore che incastonata nella cornice di un solido racconto di formazione non manca di essere anche un trattato sul potere del cinema e dellāimmagine cinematografica, sulla sua capacitĆ di intervenire sulla realtĆ e di restituirla nelle sue venature nascoste e possibili grazie allāocchio della macchina da presa. Un occhio che, sia esso rivelatore o creatore, produce sempre un significato, una storia. Con lāultimo film di Spielberg abbiamo la dimostrazione che il più grande spettacolo del mondo può proseguire. Il treno può continuare a correre.