NC-69
02.11.2021
Alice Rohrwacher, Pietro Marcello, Francesco Munzi: sei mani, una macchina da presa. Dalla sinergia di questi tre cineasti è nato Futura. Presentato alla Quinzaine des Réalisateurs dello scorso Festival di Cannes e poi pochi giorni fa alla Festa del Cinema di Roma, il documentario racconta le istanze di ragazzi e ragazze italiani tra i 15 e i 20 anni. Sono i divenenti, una categoria specifica individuata dal film, al quale i registi domandano: come t’immagini il futuro? Le risposte non sono per niente incoraggianti. Ne emerge che la generazione zero vive in un limbo, in bilico su un ponte fragile tra un passato poco conosciuto e un futuro che genera angoscia e delusione. Non è solo l’incertezza tipica di questa età a spaventare, quanto piuttosto la mancanza di slanci vitali, una costante rassegnazione e una consapevolezza della fine del mondo che non permettono di sognare e di sperare davvero in qualcosa di grande.
Ciò che davvero sorprende di questo esperimento cinematografico è il superamento dei concetti di individualità e di temporalità. Futura è la riscoperta di un approccio al cinema, un viaggio che anche Pasolini cinquantasei anni fa aveva intrapreso in Comizi d’amore. Un reportage crudo dove il regista annulla la sua individualità artistica al servizio della testimonianza del reale. Non un ritratto, ma un affresco nel quale i tre autori divengono strumenti per la voce altrui. E se Pasolini andava chiedendo di amore e sessualità, qui l’inchiesta si sposta sull’idea del futuro perché questa è l’urgenza del presente. In Futura l’idea di condivisione è doppiamente rafforzata dalla presenza di tre poetiche cinematografiche diverse che attraverso una vera comunanza sono riuscite nell’intento di restituire un lavoro organico sull’immaginario della nostra epoca. Un atto politico a tutti gli effetti perché capace di mettere un punto qui e ora, assumendosi il compito di testimoniare una fragilità e di immortalarla senza scendere a compromessi.
Il superamento del concetto di individualità non avviene poi solo dietro la macchina da presa, ma anche davanti: i ragazzi infatti sono sempre intervistati in gruppo, come a riaffermare che nessuno si salva da solo e che un futuro migliore è possibile solo a patto di costruirlo insieme. Anche la scelta del titolo è specchio di una volontà inclusiva senza alcuna distinzione di genere: futura è il neutro del participio futuro del verbo essere in latino. Sulla scia dell’opera pasoliniana, questo non è un prodotto destinato al consumo immediato: è un film di oggi ma non per oggi. Non sorprende infatti che la sua proiezione nelle sale sia durata solo tre giorni e in pochi cinema selezionati. È un archivio del presente destinato al futuro. Un film senza pretese se non quella di farsi istantanea dell'attualità e traccia per il domani.
Eppure l’opera sembra anche suggerire che non esiste futuro senza passato. Non solo per l’aspetto della pluralità nel processo creativo, ma anche per la scelta tecnica di girare interamente in pellicola. Evitando così ogni tipo di manipolazione offerta dal digitale, ai ragazzi non è stato dato alcun copione se non quello di essere spontanei e esprimere i loro sentimenti più impetuosi. La ricerca sociale e antropologica è venuta prima e insieme a quella estetica. A detta degli stessi autori, il loro sguardo è stato volutamente superficiale per rimanere il più neutrali possibile. Nel guardarlo a tratti il film può sembrare confuso, poco integro e, una volta terminato, incompiuto. Usciti dalla sala però si pensa solo ai volti di quei ragazzi e alle loro parole. Il messaggio colpisce potente e inderogabile. Futura è un segno da conservare e custodire, una testimonianza preziosa di ciò che siamo e ciò che forse diventeremo.
NC-69
02.11.2021
Alice Rohrwacher, Pietro Marcello, Francesco Munzi: sei mani, una macchina da presa. Dalla sinergia di questi tre cineasti è nato Futura. Presentato alla Quinzaine des Réalisateurs dello scorso Festival di Cannes e poi pochi giorni fa alla Festa del Cinema di Roma, il documentario racconta le istanze di ragazzi e ragazze italiani tra i 15 e i 20 anni. Sono i divenenti, una categoria specifica individuata dal film, al quale i registi domandano: come t’immagini il futuro? Le risposte non sono per niente incoraggianti. Ne emerge che la generazione zero vive in un limbo, in bilico su un ponte fragile tra un passato poco conosciuto e un futuro che genera angoscia e delusione. Non è solo l’incertezza tipica di questa età a spaventare, quanto piuttosto la mancanza di slanci vitali, una costante rassegnazione e una consapevolezza della fine del mondo che non permettono di sognare e di sperare davvero in qualcosa di grande.
Ciò che davvero sorprende di questo esperimento cinematografico è il superamento dei concetti di individualità e di temporalità. Futura è la riscoperta di un approccio al cinema, un viaggio che anche Pasolini cinquantasei anni fa aveva intrapreso in Comizi d’amore. Un reportage crudo dove il regista annulla la sua individualità artistica al servizio della testimonianza del reale. Non un ritratto, ma un affresco nel quale i tre autori divengono strumenti per la voce altrui. E se Pasolini andava chiedendo di amore e sessualità, qui l’inchiesta si sposta sull’idea del futuro perché questa è l’urgenza del presente. In Futura l’idea di condivisione è doppiamente rafforzata dalla presenza di tre poetiche cinematografiche diverse che attraverso una vera comunanza sono riuscite nell’intento di restituire un lavoro organico sull’immaginario della nostra epoca. Un atto politico a tutti gli effetti perché capace di mettere un punto qui e ora, assumendosi il compito di testimoniare una fragilità e di immortalarla senza scendere a compromessi.
Il superamento del concetto di individualità non avviene poi solo dietro la macchina da presa, ma anche davanti: i ragazzi infatti sono sempre intervistati in gruppo, come a riaffermare che nessuno si salva da solo e che un futuro migliore è possibile solo a patto di costruirlo insieme. Anche la scelta del titolo è specchio di una volontà inclusiva senza alcuna distinzione di genere: futura è il neutro del participio futuro del verbo essere in latino. Sulla scia dell’opera pasoliniana, questo non è un prodotto destinato al consumo immediato: è un film di oggi ma non per oggi. Non sorprende infatti che la sua proiezione nelle sale sia durata solo tre giorni e in pochi cinema selezionati. È un archivio del presente destinato al futuro. Un film senza pretese se non quella di farsi istantanea dell'attualità e traccia per il domani.
Eppure l’opera sembra anche suggerire che non esiste futuro senza passato. Non solo per l’aspetto della pluralità nel processo creativo, ma anche per la scelta tecnica di girare interamente in pellicola. Evitando così ogni tipo di manipolazione offerta dal digitale, ai ragazzi non è stato dato alcun copione se non quello di essere spontanei e esprimere i loro sentimenti più impetuosi. La ricerca sociale e antropologica è venuta prima e insieme a quella estetica. A detta degli stessi autori, il loro sguardo è stato volutamente superficiale per rimanere il più neutrali possibile. Nel guardarlo a tratti il film può sembrare confuso, poco integro e, una volta terminato, incompiuto. Usciti dalla sala però si pensa solo ai volti di quei ragazzi e alle loro parole. Il messaggio colpisce potente e inderogabile. Futura è un segno da conservare e custodire, una testimonianza preziosa di ciò che siamo e ciò che forse diventeremo.