INT-44
19.09.2023
Dopo il grande successo di Une sœur (2018), cortometraggio candidato all’Oscar nel 2020, la regista Delphine Girard ritorna ad esplorare le tematiche dell’abuso e del consenso attraverso il suo primo lungometraggio, Quitter la Nuit, una continuazione del suo precedente lavoro. Il film è stato presentato al Festival di Venezia nella sezione Giornate degli Autori e si è aggiudicato il Premio del Pubblico.
Une sœur si focalizzava sul personaggio di Aly, ragazza che una notte si ritrova in auto con Dary, individuo agitato e dal comportamento aggressivo. Sentendosi in pericolo e per cercare di salvarsi, Aly tenterà di mettersi in contatto con una centralinista raccontando all’uomo che la donna all’altro capo del telefono e sua sorella. L’aspetto da thriller e l’intensità del cortometraggio ci avevano impressionato ed eravamo curiosi di vedere come Girard avrebbe proseguito la storia. Quitter la Nuit, oltre a riutilizzare il cortometraggio nella parte iniziale, segue le vicende dei suoi tre protagonisti nelle settimane successive all’accaduto. Gli elementi che stupiscono maggiormente del film sono la scrittura complessa, piena di sfaccettature, dietro ad ogni personaggio e la rappresentazione realista del sistema giuridico.
Al Festival di Venezia abbiamo avuto l’occasione di incontrare Delphine Girard, che ci ha spiegato la metodologia con cui ha espanso i personaggi del cortometraggio, la rappresentazione dell’aggressore e come si può andare avanti dopo delle esperienze traumatiche.
Quitter la Nuit
Un paio di anni fa avevo visto il cortometraggio Une sœur (2018), mi aveva impressionato molto ed ero curioso di vedere come sarebbe stato il tuo primo lungometraggio. Quitter la Nuit è una continuazione del corto, puoi dirmi qualcosa su come si è evoluto questo progetto?
Non avevo pianificato di fare questo lungometraggio quando stavo lavorando al corto. Ma dopo aver presentato Une sœur, continuavo a pensare ai protagonisti della storia e a chiedermi cosa poteva essergli successo in seguito ai fatti narrati. Avevo questo pensiero fisso, e così ho deciso di compiere qualche ricerca. Ho iniziato a incontrare poliziotti e avvocati, ho seguito dei casi in tribunale e mi chiedevo continuamente come avrebbero reagito i miei personaggi. Questo è stato l’inizio del processo di scrittura. Poi ho pensato che volevo fare un film che non fosse un thriller pieno di tensione come il cortometraggio. Volevo fare qualcosa sul “dopo” e su come facciamo fatica a ritrovare una certa normalità dopo aver preso parte ad un evento traumatico. Come fai a tornare al lavoro come se nulla fosse successo? Come fai a dire a tua madre che forse andrai in carcere?
Vorrei parlare di Dary, hai creato un personaggio che si discosta dalla solita rappresentazione stereotipata del predatore. Noi sappiamo che ha stuprato la ragazza, ma credo ci sia un discorso più complesso dietro a questo personaggio.
Il cliché del predatore sessuale che siamo abituati a vedere nei film o nelle serie tv non esiste veramente. Forse uno o due casi. Ed è qui che la situazione diventa complicata, sarebbe più facile se queste persone fossero solamente dei “mostri”. Perché nella vita reale, tu puoi essere un perfetto cittadino, un grande lavoratore, ma puoi anche avere un problema con la violenza e con le donne. Volevo creare una storia che mostrasse sia la violenza, ma anche il lato più “umano” di Dary, dove si può capire, ma non scusare, la condizione in cui era quando ha agito. Ero curiosa anche di vedere come Dary avrebbe raccontato la sua versione e se avrebbe capito fino in fondo le azioni che aveva commesso. Ho parlato inoltre con diversi avvocati che hanno difeso aggressori e ho capito che non esiste solo la situazione colpevole -vittima, c’è sempre una dinamica più articolata dietro a questi casi.
Guillaume Duhesme (Dary) in Quitter la Nuit
Infatti all’inizio del film possiamo vedere Dary in uno stato di negazione, come anche il personaggio della madre. Mi ha colpito molto una frase che quest’ultima dice al figlio, “non gli hai detto che sei un pompiere?”, come se avere un lavoro ben visto potesse scusare delle gravi accuse. Ma allo stesso tempo, credo che ogni genitore si comporterebbe in quel modo.
Anche se non ha molte scene come i tre personaggi principali, la madre ricopre un ruolo fondamentale nella storia. Non ho mai visto un ragazzo dire a sua madre che deve andare in prigione per stupro. Ero curiosa di vedere come avrebbe reagito, ma poi ho pensato che un genitore non avrebbe mai visto il proprio figlio come un colpevole. Ovviamente lo avrebbe difeso e alimentato la sua bugia. È impossibile vedere i due lati della storia. Ho voluto creare un personaggio che mostrasse anche qualche dubbio nei confronti del figlio.
Puoi dirmi qualcosa sul personaggio di Anna invece? Come è stato lavorare con Veerle Baetens?
Per quanto riguarda Anna, avevo questa sensazione che lei avrebbe voluto essere parte della storia anche se il suo lavoro era finito. Volevo esplorare il modo in cui sarebbe stata in grado di andare oltre le istituzioni per essere lì, per Aly. Veerle la conosco da un po’ di anni, l’avevo incontrata per la prima volta su un set dove lavoravo come child coach per un bambino che interpretava suo figlio. Ho avuto l’occasione di vederla recitare per 26 giorni e mi sono innamorata dell’intensità con cui prepara i suoi ruoli. Quando stavo scrivendo il cortometraggio, sapevo che Veerle sarebbe stata perfetta per il ruolo. Il modo in cui riesce a trasmettere certe emozioni tramite l’intensità del suo sguardo è impressionante. Inoltre, mi ha fatto un grande regalo decidendo di partecipare anche al lungometraggio ed è stato un enorme piacere collaborare con lei ancora una volta.
Veerle Baetens (Anna) in Quitter la Nuit
Volevo chiederti anche del finale, dove si può vedere una specie di sorellanza. È importante avere il sostegno di qualcuno in queste situazioni e Aly lo trova attraverso le donne della sua famiglia, e non.
Per il finale mi sono chiesta cosa sarebbe rimasto ad Aly dopo che il sistema giuridico avrebbe messo la parola “fine” al suo caso. Cosa rimane? Cosa si deve fare? Bisogna sopravvivere e trovare gioia, cercare di andare avanti in qualche modo. Volevo che Aly trovasse un po’ di speranza alla fine della storia. Mi sono chiesta cosa avrei fatto io in una situazione problematica. L’essere in grado di raccontare la propria esperienza, condividerla con un gruppo ristretto e perché no, divertirsi e fare gli sciocchi, può davvero aiutare. Non cancella quello che è successo, ma aiuta ad andare avanti.
Quello del film può essere considerato un finale positivo per il personaggio di Aly?
In qualche modo, ma è complesso. Esplorando queste tematiche ho capito che la vita va avanti e questa può essere una buona o una cattiva cosa. Quando subisci un evento traumatico, c’è qualcosa di “crudele” nel dover andare al lavoro il giorno dopo, ad esempio. Bisogna andare avanti, non è facile, ma ad un certo punto, forse, si riesce a ritrovare un minimo di normalità.
La rappresentazione del personaggio di Aly non è per nulla mono dimensionale, possiamo vedere che all’inizio anche lei è in uno stato di negazione e ad un certo punto vuole anche ritirare le denunce.
È stato un personaggio impegnativo. Di solito si pensa che, quando una persona è vittima di un certo trauma, si comporterà per forza in un determinato modo. Parlando con Selma (Alaoui, interprete di Aly, n.d.r.) ho capito che il personaggio non avrebbe mai voluto essere sottoposto a molteplici interrogatori o esami medici. Non avrebbe mai accettato. Ha subito uno stupro e ora sta subendo ulteriori pressioni dal sistema giuridico. Dovrebbe essere il contrario, il sistema dovrebbe chiedersi innanzitutto cosa potrebbe fare per lei. Con Aly, non volevo creare la vittima “perfetta”, perché non esiste il concetto di vittima “perfetta”. Lei commette degli errori, però ha una sua voce e una certa dignità. È stato interessante parlare con il pubblico durante la première, perché lo spettatore diventa proprio come il sistema giuridico. Ci chiediamo il perché di certi comportamenti e pretendiamo una conclusione. Ma forse la conclusione che vogliamo noi non è quella di cui Aly ha bisogno.
Selma Alaoui (Aly) in Quitter la Nuit
La scena dell’aggressione mi ha colpito, soprattutto perché decidi di mostrare l’accaduto dal punto di vista di Dary, scelta molto interessante secondo me.
Mi fa piacere che tu l’abbia notato. Tutti i flashback nel film sono dal punto di vista di Aly, tranne questo. Durante la fase di montaggio ci siamo chiesti se era necessario mostrare la scena dell’aggressione, ma alla fine abbiamo deciso di inserirla per eliminare ogni possibile ambiguità o dubbio su Dary. Secondo me non ce n'era bisogno, più che altro perché già dalla prima scena puoi capire che c’è stata violenza. Ma qualcuno tra il pubblico potrebbe non coglierlo subito. Nella sceneggiatura, la scena era dal punto di vista di Dary perché il suo personaggio era l’unico che aveva bisogno di “vedere” o rivivere quella situazione. È un modo per Dary di capire la gravità di ciò che è successo.
Sei pronta ad immergerti in nuovi progetti?
Si, credo di essere pronta, ma non ho nulla di programmato per il momento. Avevo scritto dei soggetti tempo fa, ma non so ancora se li approfondirò. Questo progetto mi ha davvero scossa e in qualche modo cambiata. Inoltre, sono consapevole che riuscire a realizzare un lungometraggio è difficile, quindi, prima devo trovare qualcosa che mi appassioni pienamente. Ho lavorato un anno intero per completare il film e ho bisogno di staccare un po’ la spina per qualche mese, poi mi rimetterò al lavoro.
INT-44
19.09.2023
Dopo il grande successo di Une sœur (2018), cortometraggio candidato all’Oscar nel 2020, la regista Delphine Girard ritorna ad esplorare le tematiche dell’abuso e del consenso attraverso il suo primo lungometraggio, Quitter la Nuit, una continuazione del suo precedente lavoro. Il film è stato presentato al Festival di Venezia nella sezione Giornate degli Autori e si è aggiudicato il Premio del Pubblico.
Une sœur si focalizzava sul personaggio di Aly, ragazza che una notte si ritrova in auto con Dary, individuo agitato e dal comportamento aggressivo. Sentendosi in pericolo e per cercare di salvarsi, Aly tenterà di mettersi in contatto con una centralinista raccontando all’uomo che la donna all’altro capo del telefono e sua sorella. L’aspetto da thriller e l’intensità del cortometraggio ci avevano impressionato ed eravamo curiosi di vedere come Girard avrebbe proseguito la storia. Quitter la Nuit, oltre a riutilizzare il cortometraggio nella parte iniziale, segue le vicende dei suoi tre protagonisti nelle settimane successive all’accaduto. Gli elementi che stupiscono maggiormente del film sono la scrittura complessa, piena di sfaccettature, dietro ad ogni personaggio e la rappresentazione realista del sistema giuridico.
Al Festival di Venezia abbiamo avuto l’occasione di incontrare Delphine Girard, che ci ha spiegato la metodologia con cui ha espanso i personaggi del cortometraggio, la rappresentazione dell’aggressore e come si può andare avanti dopo delle esperienze traumatiche.
Quitter la Nuit
Un paio di anni fa avevo visto il cortometraggio Une sœur (2018), mi aveva impressionato molto ed ero curioso di vedere come sarebbe stato il tuo primo lungometraggio. Quitter la Nuit è una continuazione del corto, puoi dirmi qualcosa su come si è evoluto questo progetto?
Non avevo pianificato di fare questo lungometraggio quando stavo lavorando al corto. Ma dopo aver presentato Une sœur, continuavo a pensare ai protagonisti della storia e a chiedermi cosa poteva essergli successo in seguito ai fatti narrati. Avevo questo pensiero fisso, e così ho deciso di compiere qualche ricerca. Ho iniziato a incontrare poliziotti e avvocati, ho seguito dei casi in tribunale e mi chiedevo continuamente come avrebbero reagito i miei personaggi. Questo è stato l’inizio del processo di scrittura. Poi ho pensato che volevo fare un film che non fosse un thriller pieno di tensione come il cortometraggio. Volevo fare qualcosa sul “dopo” e su come facciamo fatica a ritrovare una certa normalità dopo aver preso parte ad un evento traumatico. Come fai a tornare al lavoro come se nulla fosse successo? Come fai a dire a tua madre che forse andrai in carcere?
Vorrei parlare di Dary, hai creato un personaggio che si discosta dalla solita rappresentazione stereotipata del predatore. Noi sappiamo che ha stuprato la ragazza, ma credo ci sia un discorso più complesso dietro a questo personaggio.
Il cliché del predatore sessuale che siamo abituati a vedere nei film o nelle serie tv non esiste veramente. Forse uno o due casi. Ed è qui che la situazione diventa complicata, sarebbe più facile se queste persone fossero solamente dei “mostri”. Perché nella vita reale, tu puoi essere un perfetto cittadino, un grande lavoratore, ma puoi anche avere un problema con la violenza e con le donne. Volevo creare una storia che mostrasse sia la violenza, ma anche il lato più “umano” di Dary, dove si può capire, ma non scusare, la condizione in cui era quando ha agito. Ero curiosa anche di vedere come Dary avrebbe raccontato la sua versione e se avrebbe capito fino in fondo le azioni che aveva commesso. Ho parlato inoltre con diversi avvocati che hanno difeso aggressori e ho capito che non esiste solo la situazione colpevole -vittima, c’è sempre una dinamica più articolata dietro a questi casi.
Guillaume Duhesme (Dary) in Quitter la Nuit
Infatti all’inizio del film possiamo vedere Dary in uno stato di negazione, come anche il personaggio della madre. Mi ha colpito molto una frase che quest’ultima dice al figlio, “non gli hai detto che sei un pompiere?”, come se avere un lavoro ben visto potesse scusare delle gravi accuse. Ma allo stesso tempo, credo che ogni genitore si comporterebbe in quel modo.
Anche se non ha molte scene come i tre personaggi principali, la madre ricopre un ruolo fondamentale nella storia. Non ho mai visto un ragazzo dire a sua madre che deve andare in prigione per stupro. Ero curiosa di vedere come avrebbe reagito, ma poi ho pensato che un genitore non avrebbe mai visto il proprio figlio come un colpevole. Ovviamente lo avrebbe difeso e alimentato la sua bugia. È impossibile vedere i due lati della storia. Ho voluto creare un personaggio che mostrasse anche qualche dubbio nei confronti del figlio.
Puoi dirmi qualcosa sul personaggio di Anna invece? Come è stato lavorare con Veerle Baetens?
Per quanto riguarda Anna, avevo questa sensazione che lei avrebbe voluto essere parte della storia anche se il suo lavoro era finito. Volevo esplorare il modo in cui sarebbe stata in grado di andare oltre le istituzioni per essere lì, per Aly. Veerle la conosco da un po’ di anni, l’avevo incontrata per la prima volta su un set dove lavoravo come child coach per un bambino che interpretava suo figlio. Ho avuto l’occasione di vederla recitare per 26 giorni e mi sono innamorata dell’intensità con cui prepara i suoi ruoli. Quando stavo scrivendo il cortometraggio, sapevo che Veerle sarebbe stata perfetta per il ruolo. Il modo in cui riesce a trasmettere certe emozioni tramite l’intensità del suo sguardo è impressionante. Inoltre, mi ha fatto un grande regalo decidendo di partecipare anche al lungometraggio ed è stato un enorme piacere collaborare con lei ancora una volta.
Veerle Baetens (Anna) in Quitter la Nuit
Volevo chiederti anche del finale, dove si può vedere una specie di sorellanza. È importante avere il sostegno di qualcuno in queste situazioni e Aly lo trova attraverso le donne della sua famiglia, e non.
Per il finale mi sono chiesta cosa sarebbe rimasto ad Aly dopo che il sistema giuridico avrebbe messo la parola “fine” al suo caso. Cosa rimane? Cosa si deve fare? Bisogna sopravvivere e trovare gioia, cercare di andare avanti in qualche modo. Volevo che Aly trovasse un po’ di speranza alla fine della storia. Mi sono chiesta cosa avrei fatto io in una situazione problematica. L’essere in grado di raccontare la propria esperienza, condividerla con un gruppo ristretto e perché no, divertirsi e fare gli sciocchi, può davvero aiutare. Non cancella quello che è successo, ma aiuta ad andare avanti.
Quello del film può essere considerato un finale positivo per il personaggio di Aly?
In qualche modo, ma è complesso. Esplorando queste tematiche ho capito che la vita va avanti e questa può essere una buona o una cattiva cosa. Quando subisci un evento traumatico, c’è qualcosa di “crudele” nel dover andare al lavoro il giorno dopo, ad esempio. Bisogna andare avanti, non è facile, ma ad un certo punto, forse, si riesce a ritrovare un minimo di normalità.
La rappresentazione del personaggio di Aly non è per nulla mono dimensionale, possiamo vedere che all’inizio anche lei è in uno stato di negazione e ad un certo punto vuole anche ritirare le denunce.
È stato un personaggio impegnativo. Di solito si pensa che, quando una persona è vittima di un certo trauma, si comporterà per forza in un determinato modo. Parlando con Selma (Alaoui, interprete di Aly, n.d.r.) ho capito che il personaggio non avrebbe mai voluto essere sottoposto a molteplici interrogatori o esami medici. Non avrebbe mai accettato. Ha subito uno stupro e ora sta subendo ulteriori pressioni dal sistema giuridico. Dovrebbe essere il contrario, il sistema dovrebbe chiedersi innanzitutto cosa potrebbe fare per lei. Con Aly, non volevo creare la vittima “perfetta”, perché non esiste il concetto di vittima “perfetta”. Lei commette degli errori, però ha una sua voce e una certa dignità. È stato interessante parlare con il pubblico durante la première, perché lo spettatore diventa proprio come il sistema giuridico. Ci chiediamo il perché di certi comportamenti e pretendiamo una conclusione. Ma forse la conclusione che vogliamo noi non è quella di cui Aly ha bisogno.
Selma Alaoui (Aly) in Quitter la Nuit
La scena dell’aggressione mi ha colpito, soprattutto perché decidi di mostrare l’accaduto dal punto di vista di Dary, scelta molto interessante secondo me.
Mi fa piacere che tu l’abbia notato. Tutti i flashback nel film sono dal punto di vista di Aly, tranne questo. Durante la fase di montaggio ci siamo chiesti se era necessario mostrare la scena dell’aggressione, ma alla fine abbiamo deciso di inserirla per eliminare ogni possibile ambiguità o dubbio su Dary. Secondo me non ce n'era bisogno, più che altro perché già dalla prima scena puoi capire che c’è stata violenza. Ma qualcuno tra il pubblico potrebbe non coglierlo subito. Nella sceneggiatura, la scena era dal punto di vista di Dary perché il suo personaggio era l’unico che aveva bisogno di “vedere” o rivivere quella situazione. È un modo per Dary di capire la gravità di ciò che è successo.
Sei pronta ad immergerti in nuovi progetti?
Si, credo di essere pronta, ma non ho nulla di programmato per il momento. Avevo scritto dei soggetti tempo fa, ma non so ancora se li approfondirò. Questo progetto mi ha davvero scossa e in qualche modo cambiata. Inoltre, sono consapevole che riuscire a realizzare un lungometraggio è difficile, quindi, prima devo trovare qualcosa che mi appassioni pienamente. Ho lavorato un anno intero per completare il film e ho bisogno di staccare un po’ la spina per qualche mese, poi mi rimetterò al lavoro.