INT-84
20.01.2025
Nonostante la Germania sia una terra ricca di grandi attori, di rado questi riescono a spiccare il volo e costruirsi una carriera cinematografica internazionale, ma questo trend sta cambiando negli ultimi anni, basti pensare al successo di interpreti del calibro di Nina Hoss, Sandra Hüller e Franz Rogowski. Raramente il nome di Lars Eidinger viene accostato ai nomi appena citati, eppure la recente filmografia dell’attore vanta non solo collaborazioni con alcuni dei più grandi cineasti tedeschi ma anche con registi rinomati come Noah Baumbach, in White Noise (2022), e Olivier Assayas, nella serie Irma Vep (2022), due progetti dove Eidinger ha rubato la scena grazie alla sua presenza eccentrica e grottesca.
Tra tutte le grandi interpretazioni che ha portato sullo schermo, però, una supera le altre di gran lunga, ed è quella in Sterben (2024) di Matthias Glasner. Il film, presentato alla Berlinale lo scorso anno e vincitore del premio alla Miglior Sceneggiatura, racconta le cronache dei Lunies, famiglia disfunzionale caratterizzata da dipendenze, depressione e soprattutto astio reciproco. Il nucleo familiare è formato dalla cinica matriarca Lissy (Corinna Harfouch), il marito morente Gerd (Hans-Uwe Bauer) e i due figli Tom (Lars Eidinger), un direttore d’orchestra che sta lavorando insieme al suo amico Bernard (Robert Gwisdek) su un brano intitolato “sterben”, ovvero “morire”, e Eileen (Lilith Stangenberg), la pecora nera della famiglia, una donna alcolizzata che conduce una relazione tossica con Sebastian (Ronald Zehrfeld), un dentista spostato. Sterben è stato presentato in anteprima al Trieste Film Festival e uscirà prossimamente nelle sale italiane grazie a Satine Film.
La struggente e tragica interpretazione di Eidinger è stata lodata unanimemente dalla critica e dal pubblico, e lo scorso dicembre, l’interprete è stato candidato al premio di Miglior attore agli European Film Awards.
Abbiamo avuto il piacere di incontrare Lars Eidinger, che ci ha raccontato del suo metodo di recitazione, di come il mondo del teatro lo renda più “vivo” ed infine delle varie collaborazioni con autori come Matthias Glasner, Tom Tykwer e Olivier Assayas.
Lars Eidinger durante il tour promozionale di Sterben (2024) in Germania
Vorrei iniziare chiedendoti del tuo primo incontro con Matthias Glasner.
È avvenuto nel 2020, durante il lockdown, ci eravamo incontrati per una camminata vicino ad un lago a Berlino. Avevo letto già la sceneggiatura e durante questa passeggiata Matthias mi ha raccontato che il film rappresenta la sua storia e narra di eventi realmente accaduti nella sua vita. Io dovevo interpretare lui, o meglio, uno dei suoi alter ego. In poche parole, era lui la reference principale per il personaggio di Tom. Mentre parlavamo, Matthias ha detto una frase che mi ha sorpreso leggermente, ovvero che stava cercando degli attori che avessero un “funny bone” (spiccato senso dell’umorismo, n.d.r.). All’inizio forse mi aveva sorpreso per via della sceneggiatura e della storia.
Nelle tragedie c'è sempre una componente umoristica. Ad esempio, quando racconto delle tristi vicende agli amici, spesso ci troviamo a ridere, perché insieme alla tragedia è inevitabilmente presente un’aspetto comico. Credo fosse proprio quello l’intento di Matthias.
Ad essere sincero, mi irrita il fatto che la gente ha iniziato a categorizzare il cinema a seconda del genere. In Germania utilizziamo questo termine che conoscerai di sicuro, tragikomödie (tragicommedia, n.d.r.), perché è così la vita. C’è sempre dello humor, anche nelle situazioni tristi e viceversa.
C’è stato qualche aspetto particolare che ti ha colpito del personaggio di Tom mentre leggevi la sceneggiatura di Sterben? Cosa ti affascina di questi personaggi “tragici”? Anche perché non è la prima volta che porti sullo schermo un ruolo del genere.
Non saprei a dire il vero. Non ricevo molte offerte per ruoli più comici e sembrerà un cliché, ma noi tedeschi non siamo riconosciuti per il nostro humor (l’attore ride, n.d.r.). Quando ricevo una sceneggiatura, cerco sempre di seguire il mio istinto e capire se il personaggio che devo interpretare risulti stimolante da un punto di vista creativo. Devo trovare quel qualcosa che mi spinga ad accettare il ruolo, che sfidi le mie capacità attoriali e che mi faccia desiderare di essere in quel film. Non pongo troppa attenzione sul regista o su chi saranno gli altri membri del cast. La storia che voglio raccontare ha la priorità su tutto. E credo sia lo stesso con le commedie; se leggo una sceneggiatura e non rido, o non ne capisco la comicità, non potrò mai accettare di partecipare a un film del genere. Dipende anche dal tipo di umorismo credo, sono un grande estimatore delle commedie francesi per dirti, è uno humor assurdo, in qualche modo poetico e non cinico.
Nonostante i tuoi grandi ruoli nel cinema, continui a recitare anche a teatro, hai una particolare preferenza tra questi due mondi?
Sono molto fortunato di avere la possibilità di scegliere tra i due e penso che sia raro al giorno d’oggi trovare attori in grado di eccellere in entrambi i cambi. Sto cercando di ritagliarmi più spazio per recitare a teatro, ma è sempre più difficile per via del fitto calendario cinematografico. Entrambi i mondi sono strettamente connessi e credo che il teatro sia fondamentale per la mia carriera cinematografica; quando vedo il final cut di alcuni film, riesco a intravedere una certa influenza data dai personaggi che interpreto a teatro. Nel senso che di solito, quando giro un film, mi capita di avere dei periodi di libertà e ne approfitto per prendere parte a delle pièce teatrali, e queste hanno sempre un impatto sui miei ruoli cinematografici. I personaggi teatrali che interpreto solitamente sono figure classiche che hanno avuto un forte impatto sul mondo del cinema e della drammaturgia, come Amleto o Riccardo III. Quindi, se devo analizzare i due mestieri e dare una risposta più filosofica, direi che preferisco il teatro. Mi rende più “vivo” e se ci pensi, l’atto stesso di “vivere” è per lo più una questione di lasciare andare le cose, di voltare pagina e continuare, perché la morte non ci aspetta solo alla fine della nostra vita, è sempre presente accanto a noi. Quindi, ogni momento rappresenta qualcosa di fugace e che scompare dopo poco tempo. Girare un film, o anche il semplice atto di fare un video è un modo di opporsi a questo fenomeno cercando di far rivivere determinati attimi per sempre. Ma la vita non è qualcosa di duraturo, non si può pensare sempre a preservare il momento, ma a contrario bisogna viverlo e donarlo agli altri. Per questo preferisco il teatro, so che tutto quello che faccio sparirà una volta finito lo spettacolo. Sento una certa pressione quando so che qualcosa verrà registrato, perché in qualche modo non ho un’influenza diretta sul pubblico che mi sta ascoltando o guardando. Non ho un contatto immediato con l’audience, so che il film che sto girando sarà per un pubblico futuro. Nella lingua tedesca esiste una parola, unterhaltung, che significa intrattenimento, ma viene usata anche per intendere una conversazione, e penso che la recitazione sia proprio una forma di comunicazione tra gli attori e il pubblico. Questo è quello che mi affascina del mondo del teatro, questa costante interazione con il pubblico.
Lars Eidinger e Corinna Harfouch in una delle sequenze chiave di Sterben (2024)
Cosa puoi dirmi della collaborazione con Corinna Harfouch in Sterben? Volevo anche chiederti della struggente scena dove i vostri personaggi esprimono i loro “amore" reciproco, come vi siete preparati per la sequenza? Quante volte l’avete girata?
Conosco Corinna da molto tempo. Abbiamo lavorato insieme per la prima volta nel 2003 nella piece teatrale Phaedra’s Love di Sarah Kane, dove lei interpretava Fedra mentre io ero il figlio Hippolytus. Poi abbiamo collaborato per la prima volta sul grande schermo nel film Was bleibt (2012) di Hans-Christian Schmid. Hanno tradotto il titolo originale in inglese con “Home for the Weekend”, una traduzione davvero strana perché il vero significato del titolo è “What lasts”, ovvero “quello che rimane”. Anche questa volta abbiamo interpretato una madre e un figlio. È un film piuttosto triste che parla della depressione del personaggio interpretato da Corinna. Entrambi lavoriamo bene insieme perché abbiamo un metodo di recitazione simile e credo di aver imparato molto da lei durante le varie fasi di rehearsal a teatro, mi ha mostrato l’indole coraggiosa di un’artista che non ha paura di fallire. È una qualità che apprezzo molto in lei e questo mi porta anche a rispondere alla tua seconda domanda. Non ci siamo preparati molto per la scena, non abbiamo fatto rehearsal, siamo arrivati sul set e semplicemente abbiamo recitato le nostre battute. E quello che vedi sullo schermo era la prima ripresa (aspetto confermato dal regista, n.d.r.), abbiamo provato a rifare la scena altre due volte, ma non siamo riusciti a ricreare quell’intensità emotiva. All’inizio la sequenza doveva durare venti minuti, ma credo che Matthias nella fase di montaggio l’abbia ridotta a quindici. Ora che ci penso, non mi ero reso conto dell’importanza di quella scena, forse perché abbiamo girato davvero tanto materiale e per dirti, il primo cut del del film durava sulle sei ore. Forse è per questo che sono riuscito a recitare quella scena senza pressione, sapere a priori che sarebbe stata una delle sequenze più importanti del film mi avrebbe reso nervoso durante il giorno delle riprese. La consideravo una scena qualsiasi, sapevo che c’erano molte battute e della sua lunga durata, ma pensavo che in fase di montaggio sarebbero rimasti solo tipo cinque minuti. Quello che Matthias ha fatto è stato davvero coraggioso e sono grato che abbia inserito una sequenza così lunga nel film. Inoltre, non credo che io e Corinna avremmo avuto lo stesso successo se ci fossimo preparati, è come un’ étude della recitazione dove abbiamo capito l’impatto di certe parole sui nostri personaggi sul momento e questo ci ha aiutato a creare questa situazione di disagio tra madre e figlio. Questo metodo di “non preparazione” è diventato il mio mantra, la mia filosofia. Di solito insegnano l’importanza della fase di reserhal nelle scuole di recitazione e come questa protegga gli attori una volta di fronte alla telecamera… io la penso al contrario, le persone devono essere a “nudo”, mostrare la propria vulnerabilità e vivere quel momento. Ed è questo quello hai visto nella scena tra me e Corinna in Sterben.
Il mese prossimo tornerai alla Berlinale con Das licht, opera di apertura del festival diretta da Tom Tykwer, puoi darmi qualche anticipazione sul film e sul personaggio che interpreterai?
È interessante perché, come Sterben, anche Das licht sarà un film che avrà degli elementi autobiografici del regista e parlerà della sua famiglia. Non interpreterò un regista ma qualcuno che lavora per una compagnia pubblicitaria, ed è anche questa una similitudine con Sterben, solo che in quella situazione interpreto un conduttore d’orchestra invece che un regista. Mi ricordo che durante una delle nostre conversazioni sul film, Matthias Glasner aveva detto che voleva fare un film il più personale possibile per far sì che questo risultasse il più “universale” possibile. E credo che anche Tom Tykwer abbia avuto la stessa idea. Il film sarà incentrato su questo nucleo famigliare e sul rapporto che il mio personaggio ha con la moglie (interpretata da Nicolette Krebitz, n.d.r.), che rispecchia proprio quello tra Tom e sua moglie. Inoltre queste dinamiche famigliari cambieranno una volta che incontreranno un rifugiato. La struttura narrativa richiama, a grandi linee, quella di Teorema (1968) di Pier Paolo Pasolini, dove si ha un personaggio che ha questa forte influenza su una famiglia, come se fosse una sorta di catalizzatore.
Lars Eidinger in una sequenza di Das Licht (2025) di Tom Tykwer
Rimanendo sull’argomento registi, nella tua carriera hai lavorato con Matthias Glasner, Tim Burton, Maren Ade, Olivier Assayas, Noah Baumbach, e più recentemente eri nel cast della serie Netflix All the Light We Cannot See, con quale regista ti sei trovato meglio?
Questa è una domanda difficile, perché la maggior parte di questi registi hanno un approccio estremamente diverso l’uno dall’altro. Ho lavorato con cineasti meticolosi, che curano nel dettaglio ogni scena ed esigono determinate cose sul set, un approccio che rispecchia un cinema classico direi, ma ho lavorato anche con autori che permettono agli attori di creare il proprio personaggio durante il momento delle riprese e, come avrai capito, sono questi i progetti che mi interessano di più. Se devo citare un regista, direi Olivier Assayas, da libertà agli interpreti di esprimersi sul set e cerca di non interferire con loro. È un regista che tiene in considerazione l’opinione di chiunque e cerca di creare una sorta di “costellazione” tra diversi artisti. Il modo in cui non interferisce con il processo artistico degli attori è ammirabile e capisce la potenza creativa di essi. Non c’è nulla di più potente dell’incontro tra due persone, è come quella frase di Billy Wilder, “a boy meets a girl”. Se un regista interferisce sempre nel modo in cui l’incontro avviene, questo diventa poco interessante, anche perché la frase è “a boy meets a girl” e non “a boy directs another boy who meets a girl”.
In Sterben interpreti un conduttore d’orchestra e vorrei concludere questa conversazione approfondendo questo aspetto, come ti sei preparato per il ruolo?
Prima ho detto che mi piace arrivare sul set senza prepararmi, ma in questo caso non ho potuto farlo. Ho avuto un insegnante che mi ha mostrato i vari movimenti per condurre l’orchestra e in alcune scene sono riusciti a seguire le mie indicazioni, anche se devo aggiungere che l’insegnante era sempre dietro di me, pronto ad intervenire nel caso facessi perdere il ritmo all’orchestra. Per esempio, nella lunga sequenza musicale verso la fine, noterai che per i primi minuti la camera rimane sulla violoncellista e poi c’è questa panoramica sul mio personaggio. Quando ho visto il film per la prima volta mi sono reso conto dell’importanza della mia conduzione e del ritmo che dovevo imporre, altrimenti questi movimenti di camera e stacchi non avrebbero funzionato. Mia moglie ha studiato canto lirico e ho sempre avuto una passione per la musica classica e i conduttori d’orchestra. In particolare mi sempre colpito il lavoro di Teodor Currentzis e credo di essermi ispirato a lui. Non ho cercato di imitare i suoi movimenti, ma ho tratto ispirazione dalla sua figura di artista.
Lars Eidinger in una sequenza di Irma Vep (2022) di Olivier Assayas
Quindi non hai tratto ispirazione da Lydia Tár?
Non proprio (l’attore ride, n.d.r.), però ti posso dire che scherzavamo spesso sul film. È simpatico che me lo chiedi perché sono un caro amico di Cate Blanchett e ho anche un buffo aneddoto sulla visione di Tár: ero andato con mia moglie a vedere il film al cinema e dopo la prima mezz’ora, o comunque prima delle scene in cui la protagonista conduce l’orchestra, mia moglie si gira verso di me e mi dice che crede di non aver spento il forno in cucina. Quindi sono corso a casa a controllare il forno e quando sono tornato il film era finito. E il forno, alla fine, era già spento quando sono arrivato a casa… ho visto solo la prima parte di Tár ma sono sicuro che Cate avrà fatto un lavoro eccellente nel condurre l’orchestra, è un’attrice geniale.
Quindi non hai più finito di vedere il film?
Esatto, forse dovrei finirlo a dire il vero. Vedo la maggior parte dei film in aereo durante i lunghi viaggi. Qualche settimana fa sono stato a Shanghai e ho avuto l’occasione di vedere Honey Boy (2019) e Beau Is Afraid (2023), due film che mi sono piaciuti molto. Mi piace spiare ciò che la gente guarda sull’aereo e nessuno ha visto Sterben, erano per lo più interessati al nuovo Aquaman.
Il trailer di Sterben (2024)
INT-84
20.01.2025
Nonostante la Germania sia una terra ricca di grandi attori, di rado questi riescono a spiccare il volo e costruirsi una carriera cinematografica internazionale, ma questo trend sta cambiando negli ultimi anni, basti pensare al successo di interpreti del calibro di Nina Hoss, Sandra Hüller e Franz Rogowski. Raramente il nome di Lars Eidinger viene accostato ai nomi appena citati, eppure la recente filmografia dell’attore vanta non solo collaborazioni con alcuni dei più grandi cineasti tedeschi ma anche con registi rinomati come Noah Baumbach, in White Noise (2022), e Olivier Assayas, nella serie Irma Vep (2022), due progetti dove Eidinger ha rubato la scena grazie alla sua presenza eccentrica e grottesca.
Tra tutte le grandi interpretazioni che ha portato sullo schermo, però, una supera le altre di gran lunga, ed è quella in Sterben (2024) di Matthias Glasner. Il film, presentato alla Berlinale lo scorso anno e vincitore del premio alla Miglior Sceneggiatura, racconta le cronache dei Lunies, famiglia disfunzionale caratterizzata da dipendenze, depressione e soprattutto astio reciproco. Il nucleo familiare è formato dalla cinica matriarca Lissy (Corinna Harfouch), il marito morente Gerd (Hans-Uwe Bauer) e i due figli Tom (Lars Eidinger), un direttore d’orchestra che sta lavorando insieme al suo amico Bernard (Robert Gwisdek) su un brano intitolato “sterben”, ovvero “morire”, e Eileen (Lilith Stangenberg), la pecora nera della famiglia, una donna alcolizzata che conduce una relazione tossica con Sebastian (Ronald Zehrfeld), un dentista spostato. Sterben è stato presentato in anteprima al Trieste Film Festival e uscirà prossimamente nelle sale italiane grazie a Satine Film.
La struggente e tragica interpretazione di Eidinger è stata lodata unanimemente dalla critica e dal pubblico, e lo scorso dicembre, l’interprete è stato candidato al premio di Miglior attore agli European Film Awards.
Abbiamo avuto il piacere di incontrare Lars Eidinger, che ci ha raccontato del suo metodo di recitazione, di come il mondo del teatro lo renda più “vivo” ed infine delle varie collaborazioni con autori come Matthias Glasner, Tom Tykwer e Olivier Assayas.
Lars Eidinger durante il tour promozionale di Sterben (2024) in Germania
Vorrei iniziare chiedendoti del tuo primo incontro con Matthias Glasner.
È avvenuto nel 2020, durante il lockdown, ci eravamo incontrati per una camminata vicino ad un lago a Berlino. Avevo letto già la sceneggiatura e durante questa passeggiata Matthias mi ha raccontato che il film rappresenta la sua storia e narra di eventi realmente accaduti nella sua vita. Io dovevo interpretare lui, o meglio, uno dei suoi alter ego. In poche parole, era lui la reference principale per il personaggio di Tom. Mentre parlavamo, Matthias ha detto una frase che mi ha sorpreso leggermente, ovvero che stava cercando degli attori che avessero un “funny bone” (spiccato senso dell’umorismo, n.d.r.). All’inizio forse mi aveva sorpreso per via della sceneggiatura e della storia.
Nelle tragedie c'è sempre una componente umoristica. Ad esempio, quando racconto delle tristi vicende agli amici, spesso ci troviamo a ridere, perché insieme alla tragedia è inevitabilmente presente un’aspetto comico. Credo fosse proprio quello l’intento di Matthias.
Ad essere sincero, mi irrita il fatto che la gente ha iniziato a categorizzare il cinema a seconda del genere. In Germania utilizziamo questo termine che conoscerai di sicuro, tragikomödie (tragicommedia, n.d.r.), perché è così la vita. C’è sempre dello humor, anche nelle situazioni tristi e viceversa.
C’è stato qualche aspetto particolare che ti ha colpito del personaggio di Tom mentre leggevi la sceneggiatura di Sterben? Cosa ti affascina di questi personaggi “tragici”? Anche perché non è la prima volta che porti sullo schermo un ruolo del genere.
Non saprei a dire il vero. Non ricevo molte offerte per ruoli più comici e sembrerà un cliché, ma noi tedeschi non siamo riconosciuti per il nostro humor (l’attore ride, n.d.r.). Quando ricevo una sceneggiatura, cerco sempre di seguire il mio istinto e capire se il personaggio che devo interpretare risulti stimolante da un punto di vista creativo. Devo trovare quel qualcosa che mi spinga ad accettare il ruolo, che sfidi le mie capacità attoriali e che mi faccia desiderare di essere in quel film. Non pongo troppa attenzione sul regista o su chi saranno gli altri membri del cast. La storia che voglio raccontare ha la priorità su tutto. E credo sia lo stesso con le commedie; se leggo una sceneggiatura e non rido, o non ne capisco la comicità, non potrò mai accettare di partecipare a un film del genere. Dipende anche dal tipo di umorismo credo, sono un grande estimatore delle commedie francesi per dirti, è uno humor assurdo, in qualche modo poetico e non cinico.
Nonostante i tuoi grandi ruoli nel cinema, continui a recitare anche a teatro, hai una particolare preferenza tra questi due mondi?
Sono molto fortunato di avere la possibilità di scegliere tra i due e penso che sia raro al giorno d’oggi trovare attori in grado di eccellere in entrambi i cambi. Sto cercando di ritagliarmi più spazio per recitare a teatro, ma è sempre più difficile per via del fitto calendario cinematografico. Entrambi i mondi sono strettamente connessi e credo che il teatro sia fondamentale per la mia carriera cinematografica; quando vedo il final cut di alcuni film, riesco a intravedere una certa influenza data dai personaggi che interpreto a teatro. Nel senso che di solito, quando giro un film, mi capita di avere dei periodi di libertà e ne approfitto per prendere parte a delle pièce teatrali, e queste hanno sempre un impatto sui miei ruoli cinematografici. I personaggi teatrali che interpreto solitamente sono figure classiche che hanno avuto un forte impatto sul mondo del cinema e della drammaturgia, come Amleto o Riccardo III. Quindi, se devo analizzare i due mestieri e dare una risposta più filosofica, direi che preferisco il teatro. Mi rende più “vivo” e se ci pensi, l’atto stesso di “vivere” è per lo più una questione di lasciare andare le cose, di voltare pagina e continuare, perché la morte non ci aspetta solo alla fine della nostra vita, è sempre presente accanto a noi. Quindi, ogni momento rappresenta qualcosa di fugace e che scompare dopo poco tempo. Girare un film, o anche il semplice atto di fare un video è un modo di opporsi a questo fenomeno cercando di far rivivere determinati attimi per sempre. Ma la vita non è qualcosa di duraturo, non si può pensare sempre a preservare il momento, ma a contrario bisogna viverlo e donarlo agli altri. Per questo preferisco il teatro, so che tutto quello che faccio sparirà una volta finito lo spettacolo. Sento una certa pressione quando so che qualcosa verrà registrato, perché in qualche modo non ho un’influenza diretta sul pubblico che mi sta ascoltando o guardando. Non ho un contatto immediato con l’audience, so che il film che sto girando sarà per un pubblico futuro. Nella lingua tedesca esiste una parola, unterhaltung, che significa intrattenimento, ma viene usata anche per intendere una conversazione, e penso che la recitazione sia proprio una forma di comunicazione tra gli attori e il pubblico. Questo è quello che mi affascina del mondo del teatro, questa costante interazione con il pubblico.
Lars Eidinger e Corinna Harfouch in una delle sequenze chiave di Sterben (2024)
Cosa puoi dirmi della collaborazione con Corinna Harfouch in Sterben? Volevo anche chiederti della struggente scena dove i vostri personaggi esprimono i loro “amore" reciproco, come vi siete preparati per la sequenza? Quante volte l’avete girata?
Conosco Corinna da molto tempo. Abbiamo lavorato insieme per la prima volta nel 2003 nella piece teatrale Phaedra’s Love di Sarah Kane, dove lei interpretava Fedra mentre io ero il figlio Hippolytus. Poi abbiamo collaborato per la prima volta sul grande schermo nel film Was bleibt (2012) di Hans-Christian Schmid. Hanno tradotto il titolo originale in inglese con “Home for the Weekend”, una traduzione davvero strana perché il vero significato del titolo è “What lasts”, ovvero “quello che rimane”. Anche questa volta abbiamo interpretato una madre e un figlio. È un film piuttosto triste che parla della depressione del personaggio interpretato da Corinna. Entrambi lavoriamo bene insieme perché abbiamo un metodo di recitazione simile e credo di aver imparato molto da lei durante le varie fasi di rehearsal a teatro, mi ha mostrato l’indole coraggiosa di un’artista che non ha paura di fallire. È una qualità che apprezzo molto in lei e questo mi porta anche a rispondere alla tua seconda domanda. Non ci siamo preparati molto per la scena, non abbiamo fatto rehearsal, siamo arrivati sul set e semplicemente abbiamo recitato le nostre battute. E quello che vedi sullo schermo era la prima ripresa (aspetto confermato dal regista, n.d.r.), abbiamo provato a rifare la scena altre due volte, ma non siamo riusciti a ricreare quell’intensità emotiva. All’inizio la sequenza doveva durare venti minuti, ma credo che Matthias nella fase di montaggio l’abbia ridotta a quindici. Ora che ci penso, non mi ero reso conto dell’importanza di quella scena, forse perché abbiamo girato davvero tanto materiale e per dirti, il primo cut del del film durava sulle sei ore. Forse è per questo che sono riuscito a recitare quella scena senza pressione, sapere a priori che sarebbe stata una delle sequenze più importanti del film mi avrebbe reso nervoso durante il giorno delle riprese. La consideravo una scena qualsiasi, sapevo che c’erano molte battute e della sua lunga durata, ma pensavo che in fase di montaggio sarebbero rimasti solo tipo cinque minuti. Quello che Matthias ha fatto è stato davvero coraggioso e sono grato che abbia inserito una sequenza così lunga nel film. Inoltre, non credo che io e Corinna avremmo avuto lo stesso successo se ci fossimo preparati, è come un’ étude della recitazione dove abbiamo capito l’impatto di certe parole sui nostri personaggi sul momento e questo ci ha aiutato a creare questa situazione di disagio tra madre e figlio. Questo metodo di “non preparazione” è diventato il mio mantra, la mia filosofia. Di solito insegnano l’importanza della fase di reserhal nelle scuole di recitazione e come questa protegga gli attori una volta di fronte alla telecamera… io la penso al contrario, le persone devono essere a “nudo”, mostrare la propria vulnerabilità e vivere quel momento. Ed è questo quello hai visto nella scena tra me e Corinna in Sterben.
Il mese prossimo tornerai alla Berlinale con Das licht, opera di apertura del festival diretta da Tom Tykwer, puoi darmi qualche anticipazione sul film e sul personaggio che interpreterai?
È interessante perché, come Sterben, anche Das licht sarà un film che avrà degli elementi autobiografici del regista e parlerà della sua famiglia. Non interpreterò un regista ma qualcuno che lavora per una compagnia pubblicitaria, ed è anche questa una similitudine con Sterben, solo che in quella situazione interpreto un conduttore d’orchestra invece che un regista. Mi ricordo che durante una delle nostre conversazioni sul film, Matthias Glasner aveva detto che voleva fare un film il più personale possibile per far sì che questo risultasse il più “universale” possibile. E credo che anche Tom Tykwer abbia avuto la stessa idea. Il film sarà incentrato su questo nucleo famigliare e sul rapporto che il mio personaggio ha con la moglie (interpretata da Nicolette Krebitz, n.d.r.), che rispecchia proprio quello tra Tom e sua moglie. Inoltre queste dinamiche famigliari cambieranno una volta che incontreranno un rifugiato. La struttura narrativa richiama, a grandi linee, quella di Teorema (1968) di Pier Paolo Pasolini, dove si ha un personaggio che ha questa forte influenza su una famiglia, come se fosse una sorta di catalizzatore.
Lars Eidinger in una sequenza di Das Licht (2025) di Tom Tykwer
Rimanendo sull’argomento registi, nella tua carriera hai lavorato con Matthias Glasner, Tim Burton, Maren Ade, Olivier Assayas, Noah Baumbach, e più recentemente eri nel cast della serie Netflix All the Light We Cannot See, con quale regista ti sei trovato meglio?
Questa è una domanda difficile, perché la maggior parte di questi registi hanno un approccio estremamente diverso l’uno dall’altro. Ho lavorato con cineasti meticolosi, che curano nel dettaglio ogni scena ed esigono determinate cose sul set, un approccio che rispecchia un cinema classico direi, ma ho lavorato anche con autori che permettono agli attori di creare il proprio personaggio durante il momento delle riprese e, come avrai capito, sono questi i progetti che mi interessano di più. Se devo citare un regista, direi Olivier Assayas, da libertà agli interpreti di esprimersi sul set e cerca di non interferire con loro. È un regista che tiene in considerazione l’opinione di chiunque e cerca di creare una sorta di “costellazione” tra diversi artisti. Il modo in cui non interferisce con il processo artistico degli attori è ammirabile e capisce la potenza creativa di essi. Non c’è nulla di più potente dell’incontro tra due persone, è come quella frase di Billy Wilder, “a boy meets a girl”. Se un regista interferisce sempre nel modo in cui l’incontro avviene, questo diventa poco interessante, anche perché la frase è “a boy meets a girl” e non “a boy directs another boy who meets a girl”.
In Sterben interpreti un conduttore d’orchestra e vorrei concludere questa conversazione approfondendo questo aspetto, come ti sei preparato per il ruolo?
Prima ho detto che mi piace arrivare sul set senza prepararmi, ma in questo caso non ho potuto farlo. Ho avuto un insegnante che mi ha mostrato i vari movimenti per condurre l’orchestra e in alcune scene sono riusciti a seguire le mie indicazioni, anche se devo aggiungere che l’insegnante era sempre dietro di me, pronto ad intervenire nel caso facessi perdere il ritmo all’orchestra. Per esempio, nella lunga sequenza musicale verso la fine, noterai che per i primi minuti la camera rimane sulla violoncellista e poi c’è questa panoramica sul mio personaggio. Quando ho visto il film per la prima volta mi sono reso conto dell’importanza della mia conduzione e del ritmo che dovevo imporre, altrimenti questi movimenti di camera e stacchi non avrebbero funzionato. Mia moglie ha studiato canto lirico e ho sempre avuto una passione per la musica classica e i conduttori d’orchestra. In particolare mi sempre colpito il lavoro di Teodor Currentzis e credo di essermi ispirato a lui. Non ho cercato di imitare i suoi movimenti, ma ho tratto ispirazione dalla sua figura di artista.
Lars Eidinger in una sequenza di Irma Vep (2022) di Olivier Assayas
Quindi non hai tratto ispirazione da Lydia Tár?
Non proprio (l’attore ride, n.d.r.), però ti posso dire che scherzavamo spesso sul film. È simpatico che me lo chiedi perché sono un caro amico di Cate Blanchett e ho anche un buffo aneddoto sulla visione di Tár: ero andato con mia moglie a vedere il film al cinema e dopo la prima mezz’ora, o comunque prima delle scene in cui la protagonista conduce l’orchestra, mia moglie si gira verso di me e mi dice che crede di non aver spento il forno in cucina. Quindi sono corso a casa a controllare il forno e quando sono tornato il film era finito. E il forno, alla fine, era già spento quando sono arrivato a casa… ho visto solo la prima parte di Tár ma sono sicuro che Cate avrà fatto un lavoro eccellente nel condurre l’orchestra, è un’attrice geniale.
Quindi non hai più finito di vedere il film?
Esatto, forse dovrei finirlo a dire il vero. Vedo la maggior parte dei film in aereo durante i lunghi viaggi. Qualche settimana fa sono stato a Shanghai e ho avuto l’occasione di vedere Honey Boy (2019) e Beau Is Afraid (2023), due film che mi sono piaciuti molto. Mi piace spiare ciò che la gente guarda sull’aereo e nessuno ha visto Sterben, erano per lo più interessati al nuovo Aquaman.
Il trailer di Sterben (2024)