Recife, tra segreti e misfatti,
recensione di Omar Franini
RV-108
05.06.2025
Ancor prima dell’apparizione dei tipici loghi delle case di produzione sul grande schermo, si iniziano ad udire delle voci di sottofondo: sono quelle di due radiocronisti che introducono uno dei brani più in voga del 1977 in Brasile, Samba no Arpége di Waldir Calmon. Sulle note di questa musica incalzante si sussegue una carrellata di foto in bianco e nero che mostrano persone di età e carnagione diverse, fino ad introdurre l’“eroe” di O Agente Secreto, Marcelo (Wagner Moura), un ex professore e ricercatore universitario perseguitato dal governo che, dopo un certo tempo, decide di tornare a Recife per ricostruirsi una nuova vita, riconnettersi con il figlio e trovare un documento che testimoni e rivendichi l’esistenza della madre, ormai scomparsa.
Da questa premessa si può già capire come il regista Kleber Mendonça Filho voglia mettere in evidenza la storia di quelle persone che hanno subito trattamenti discriminatori da parte del governo - come appunto il protagonista del film. L’immagine fotografica viene usata per rafforzare uno dei concetti fondamentali della poetica di Mendonça Filho: il costante dialogo tra passato e presente attraverso il materiale d’archivio, che porta a una ricostruzione della memoria, sia collettiva che individuale, oltre a rafforzare l’identità culturale della propria Nazione d’origine. Questo leitmotiv si può ritrovare in ogni film del regista brasiliano. Neighbouring Sounds (2012), il debutto di Mendonça Filho, si apriva con una sequenza di fotografie che mostrava i campesinos, i primi abitanti originari di Recife, città brasiliana capitale dello Stato del Pernambuco, prima di passare a una narrazione ambientata ai giorni nostri, creando così un contrasto tra passato e modernità. È interessante analizzare come il materiale d’archivio venga utilizzato anche nei due lungometraggi successivi: in Aquarius (2016), dove i vinili di Clara (Sônia Braga) vengono adoperati per sottolineare l’importanza della memoria fisica e del vissuto dell’oggetto in opposizione alla digitalizzazione, che diventa una metafora del conflitto politico in Brasile, e in Bacurau (2019), dove invece i materiali d’archivio, come una mappe o una testimonianze, rappresentano l’unica prova dell’esistenza del paesino sperduto, in contrapposizione ad un governo che, tramite la digitalizzazione, cerca di eliminare ogni traccia della popolazione. Retratos Fantasmas (2023) rappresenta invece l’apoteosi di questo “ritornello”, in questo caso Mendonça Filho, attraverso l’uso di immagini fotografiche e video d’archivio, cerca di costruire un racconto autobiografico piuttosto ingegnoso.
L’operazione compiuta in O Agente Secreto risulta estremamente affascinante se paragonata ad Aquarius e Bacurau; in questo caso, è grazie alla modernità e all’avvento della digitalizzazione che una giovane ricercatrice universitaria è in grado di ricostruire la storia di Marcelo. Cassette radio con conversazioni “segrete” e giornali locali sono le uniche fonti a disposizione della ragazza per raccontare cosa fosse successo durante il Carnevale del 1977, “un tempo di misfatti” come si legge all’inizio del film. Questo periodo tumultuoso è stato caratterizzato da ogni tipo di discriminazione razziale e sociale, e una dittatura militare si era ormai instaurata in Brasile, eliminando ogni persona “scomoda” per il Governo. Armando, vero nome di Marcelo, era diventato un “nemico pubblico” dopo aver avuto accese discussioni con l’Ingegner Ghirotti, persona fidata dal Governo che voleva smantellare la ricerca scientifica di Armando e riappropriarsi dei fondi pubblici investiti. Era stato costretto a scappare dalla propria città, lasciando il figlio in custodia del padre della ormai deceduta moglie, il signor Alexandre (Carlos Francisco), proiezionista del cinema locale São Luiz, un nome che rappresenta un chiaro omaggio verso Mr. Alexandre, caro amico di Kleber Mendonça Filho, il cui rapporto è stato già precedentemente narrato in Retratos Fantasmas. Al suo ritorno a Recife, Marcelo era riuscito a trovare impiego presso un ufficio d’archiviazione grazie a Elza (Maria Fernanda Cândido), un’agente sotto copertura, e un alloggio da Dona Sebastiana (Sebastiana de Medeiros), la cui dimora era diventata un punto di incontro per rifugiati politici.
Recife è sempre stato il cuore pulsante della filmografia di Mendonça Filho e, con O Agente Secreto, il regista non perde l’occasione di dedicare un’ulteriore lettera d’amore alla sua città natale. “Eu amo o centro do Recife.” Così recitava Mendonça Filho nel secondo capitolo di Retratos Fantasmas, incentrato sui cinema locali. Una splendida sequenza, accompagnata dal ritornello di Meu Sangue Ferve Por Você di Sidney Magal (brano che, per pura coincidenza, è stato rilasciato nel 1977), mostrava i luoghi principali della città, seguendo una sorta di mappa sentimentale creata dal regista. Tra questi c’era anche il già citato cinema São Luiz, teatro storico costruito nel 1952, che in O Agente Secreto diventa il palcoscenico delle complesse vicissitudini di Marcelo. Se al piano inferiore vengono mostrati i grandi classici dell’epoca, come Profondo Rosso (1975), Pasqualino Settebellezze (1975), The Omen (1976), Dona Flor e Seus Dois Maridos (1976) e infine Tubarão (il titolo portoghese di Lo Squalo, 1975, di Spielberg), al piano superiore, accanto alla sala di proiezioni, si svolgono le conversazioni tra gli “agenti segreti” di Recife. Da un lato c’è lo sguardo nostalgico e cinefilo di un regista che cerca di replicare il suo stesso stupore fanciullesco, ricordando la prima volta che entrò nel São Luiz; dall’altro, il cinema e i riferimenti connessi ad esso assumono un significato più profondo all’interno dell’opera.
Tra i film citati, Lo Squalo è quello che acquisisce maggiore rilevanza. Il classico di Spielberg era infatti tornato nelle sale cinematografiche di Recife dopo che, sulle spiagge locali, era stato rinvenuto il cadavere di uno squalo con una gamba umana al suo interno, uno dei tanti episodi grotteschi che hanno contrassegnato questo "tempo di misfatti". Questi eventi furono nascosti dal Governo, che sfruttò il periodo caotico del Carnevale per attribuire a delle misteriose morti un alone di casualità. In effetti, una sensazione di asfissia e paranoia permea l'intero lungometraggio, mostrando come la paura e le congetture si siano ormai insinuate nella vita quotidiana della popolazione. Il tutto è messo in risalto da una palette di colori caldi e saturi, come se Mendonça Filho, approfittando del paesaggio e della festività, volesse conferire un tocco vibrante e vivace alla descrizione di un periodo decisamente oscuro della storia brasiliana.
L’estro creativo e cinefilo del regista, vincitore del Prix de la mise en scène al Festival di Cannes 2025, emerge ancora una volta come elemento distintivo delle sue opere, e sembra quasi che Mendonça Filho stesso abbia assunto il ruolo della ricercatrice universitaria, che con i propri mezzi cerca di rielaborare il passato di Marcelo. La ricostruzione della memoria, da parte dell’autore, passa attraverso un viaggio cinematografico nel genere spy-thriller, in cui si intrecciano elementi del noir hitchcockiano degli anni ‘40/‘50 con il neo-noir della Nuova Hollywood degli anni ‘70. I rimandi al primo sono evidenti: dal titolo del film all’uso delle dissolvenze, fino all’inserimento di due McGuffin. Il primo è il cadavere di uno sconosciuto, che diventa centrale nella sequenza iniziale; il secondo è proprio la gamba trovata all’interno dello squalo, che per la prima parte del film rappresenta uno degli elementi chiave della trama. È proprio attraverso l’uso di questo espediente narrativo che Mendonça Filho compie un passo ulteriore nel discorso sul materiale d'archivio. Durante la settimana del Carnevale del 1977, infatti, il Governo aveva condotto un violento attacco omofobo contro un gruppo di ragazzi. Poiché i giornalisti non potevano raccontare l'accaduto, inventarono la leggenda urbana della "Perna Cabeluda" (Gamba Pelosa) per dare una spiegazione a quanto fosse successo. Il genio di Mendonça Filho si manifesta nel modo in cui, per alcuni minuti, abbandona il realismo del noir per rendere omaggio al cinema d’exploitation e di serie B. D’altro canto, lo stato di paranoia e incertezza che caratterizza il personaggio di Marcelo richiama piuttosto lo stile del neo-noir hollywoodiano, con film come The Parallax View (Perchè un assassino, 1975) di Alan J. Pakula, Chinatown (1974) di Roman Polanski e The Conversation (La conversazione,1974) di Francis Ford Coppola, quest’ultimo omaggiato anche dalle sequenze in cui la ricercatrice diventa ossessionata dall’ascolto di una registrazione con la voce del protagonista.
Ciò che “ancora” la visione creativa di Mendonça Filho è Wagner Moura, vincitore del Prix d'Interprétation Masculine al Festival di Cannes, che offre una delle sue migliori interpretazioni sul grande schermo. Con un ritratto minimalista, rende perfettamente l’idea di un uomo intrappolato in una rete spionistica, costretto a trovare una via di fuga per sé e per il figlio. La sua grandezza risiede nella mimica facciale: il tono della voce è pacato e misurato, mentre il suo sguardo trasmette un’inquietudine palpabile. Un contrasto perfetto che dà vita a un ritratto affascinante e singolare del rifugiato politico.
Chi si aspetterebbe una risoluzione alla Chinatown, con Alexandre che, apparendo alle spalle del protagonista, sussurra "Forget it, Marcelo. It’s Recife", potrebbe rimanere deluso. Tuttavia, bisogna sempre tenere a mente l'intento di Mendonça Filho nella sua opera sulla memoria. Lo stile da noir frammentato non è altro che il frutto di una ricostruzione romanzata della giovane ricercatrice/narratrice, che ha a disposizione solo registrazioni e cronache di giornali. Pretendere più azione o "spionaggio" sarebbe controproducente rispetto al messaggio politico che l’opera intende trasmettere, incentrato sulla testimonianza dell’esistenza dei rifugiati politici, degli oppressi e su ciò che resta di loro, piuttosto che su un'indagine approfondita sulla dittatura militare. Un esempio lampante è la sequenza in cui questa pletora di rifugiati, incitata da Dona Sebastiana, comincia a raccontare il proprio passato e i piani per il futuro. Con O Agente Secreto, Kleber Mendonça Filho firma il suo capolavoro, un'opera decisamente cinefila, opulenta e piacevolmente caotica, dove il disorientamento percepito non è altro che un valore aggiunto.
Recife, tra segreti e misfatti,
recensione di Omar Franini
RV-108
05.06.2025
Ancor prima dell’apparizione dei tipici loghi delle case di produzione sul grande schermo, si iniziano ad udire delle voci di sottofondo: sono quelle di due radiocronisti che introducono uno dei brani più in voga del 1977 in Brasile, Samba no Arpége di Waldir Calmon. Sulle note di questa musica incalzante si sussegue una carrellata di foto in bianco e nero che mostrano persone di età e carnagione diverse, fino ad introdurre l’“eroe” di O Agente Secreto, Marcelo (Wagner Moura), un ex professore e ricercatore universitario perseguitato dal governo che, dopo un certo tempo, decide di tornare a Recife per ricostruirsi una nuova vita, riconnettersi con il figlio e trovare un documento che testimoni e rivendichi l’esistenza della madre, ormai scomparsa.
Da questa premessa si può già capire come il regista Kleber Mendonça Filho voglia mettere in evidenza la storia di quelle persone che hanno subito trattamenti discriminatori da parte del governo - come appunto il protagonista del film. L’immagine fotografica viene usata per rafforzare uno dei concetti fondamentali della poetica di Mendonça Filho: il costante dialogo tra passato e presente attraverso il materiale d’archivio, che porta a una ricostruzione della memoria, sia collettiva che individuale, oltre a rafforzare l’identità culturale della propria Nazione d’origine. Questo leitmotiv si può ritrovare in ogni film del regista brasiliano. Neighbouring Sounds (2012), il debutto di Mendonça Filho, si apriva con una sequenza di fotografie che mostrava i campesinos, i primi abitanti originari di Recife, città brasiliana capitale dello Stato del Pernambuco, prima di passare a una narrazione ambientata ai giorni nostri, creando così un contrasto tra passato e modernità. È interessante analizzare come il materiale d’archivio venga utilizzato anche nei due lungometraggi successivi: in Aquarius (2016), dove i vinili di Clara (Sônia Braga) vengono adoperati per sottolineare l’importanza della memoria fisica e del vissuto dell’oggetto in opposizione alla digitalizzazione, che diventa una metafora del conflitto politico in Brasile, e in Bacurau (2019), dove invece i materiali d’archivio, come una mappe o una testimonianze, rappresentano l’unica prova dell’esistenza del paesino sperduto, in contrapposizione ad un governo che, tramite la digitalizzazione, cerca di eliminare ogni traccia della popolazione. Retratos Fantasmas (2023) rappresenta invece l’apoteosi di questo “ritornello”, in questo caso Mendonça Filho, attraverso l’uso di immagini fotografiche e video d’archivio, cerca di costruire un racconto autobiografico piuttosto ingegnoso.
L’operazione compiuta in O Agente Secreto risulta estremamente affascinante se paragonata ad Aquarius e Bacurau; in questo caso, è grazie alla modernità e all’avvento della digitalizzazione che una giovane ricercatrice universitaria è in grado di ricostruire la storia di Marcelo. Cassette radio con conversazioni “segrete” e giornali locali sono le uniche fonti a disposizione della ragazza per raccontare cosa fosse successo durante il Carnevale del 1977, “un tempo di misfatti” come si legge all’inizio del film. Questo periodo tumultuoso è stato caratterizzato da ogni tipo di discriminazione razziale e sociale, e una dittatura militare si era ormai instaurata in Brasile, eliminando ogni persona “scomoda” per il Governo. Armando, vero nome di Marcelo, era diventato un “nemico pubblico” dopo aver avuto accese discussioni con l’Ingegner Ghirotti, persona fidata dal Governo che voleva smantellare la ricerca scientifica di Armando e riappropriarsi dei fondi pubblici investiti. Era stato costretto a scappare dalla propria città, lasciando il figlio in custodia del padre della ormai deceduta moglie, il signor Alexandre (Carlos Francisco), proiezionista del cinema locale São Luiz, un nome che rappresenta un chiaro omaggio verso Mr. Alexandre, caro amico di Kleber Mendonça Filho, il cui rapporto è stato già precedentemente narrato in Retratos Fantasmas. Al suo ritorno a Recife, Marcelo era riuscito a trovare impiego presso un ufficio d’archiviazione grazie a Elza (Maria Fernanda Cândido), un’agente sotto copertura, e un alloggio da Dona Sebastiana (Sebastiana de Medeiros), la cui dimora era diventata un punto di incontro per rifugiati politici.
Recife è sempre stato il cuore pulsante della filmografia di Mendonça Filho e, con O Agente Secreto, il regista non perde l’occasione di dedicare un’ulteriore lettera d’amore alla sua città natale. “Eu amo o centro do Recife.” Così recitava Mendonça Filho nel secondo capitolo di Retratos Fantasmas, incentrato sui cinema locali. Una splendida sequenza, accompagnata dal ritornello di Meu Sangue Ferve Por Você di Sidney Magal (brano che, per pura coincidenza, è stato rilasciato nel 1977), mostrava i luoghi principali della città, seguendo una sorta di mappa sentimentale creata dal regista. Tra questi c’era anche il già citato cinema São Luiz, teatro storico costruito nel 1952, che in O Agente Secreto diventa il palcoscenico delle complesse vicissitudini di Marcelo. Se al piano inferiore vengono mostrati i grandi classici dell’epoca, come Profondo Rosso (1975), Pasqualino Settebellezze (1975), The Omen (1976), Dona Flor e Seus Dois Maridos (1976) e infine Tubarão (il titolo portoghese di Lo Squalo, 1975, di Spielberg), al piano superiore, accanto alla sala di proiezioni, si svolgono le conversazioni tra gli “agenti segreti” di Recife. Da un lato c’è lo sguardo nostalgico e cinefilo di un regista che cerca di replicare il suo stesso stupore fanciullesco, ricordando la prima volta che entrò nel São Luiz; dall’altro, il cinema e i riferimenti connessi ad esso assumono un significato più profondo all’interno dell’opera.
Tra i film citati, Lo Squalo è quello che acquisisce maggiore rilevanza. Il classico di Spielberg era infatti tornato nelle sale cinematografiche di Recife dopo che, sulle spiagge locali, era stato rinvenuto il cadavere di uno squalo con una gamba umana al suo interno, uno dei tanti episodi grotteschi che hanno contrassegnato questo "tempo di misfatti". Questi eventi furono nascosti dal Governo, che sfruttò il periodo caotico del Carnevale per attribuire a delle misteriose morti un alone di casualità. In effetti, una sensazione di asfissia e paranoia permea l'intero lungometraggio, mostrando come la paura e le congetture si siano ormai insinuate nella vita quotidiana della popolazione. Il tutto è messo in risalto da una palette di colori caldi e saturi, come se Mendonça Filho, approfittando del paesaggio e della festività, volesse conferire un tocco vibrante e vivace alla descrizione di un periodo decisamente oscuro della storia brasiliana.
L’estro creativo e cinefilo del regista, vincitore del Prix de la mise en scène al Festival di Cannes 2025, emerge ancora una volta come elemento distintivo delle sue opere, e sembra quasi che Mendonça Filho stesso abbia assunto il ruolo della ricercatrice universitaria, che con i propri mezzi cerca di rielaborare il passato di Marcelo. La ricostruzione della memoria, da parte dell’autore, passa attraverso un viaggio cinematografico nel genere spy-thriller, in cui si intrecciano elementi del noir hitchcockiano degli anni ‘40/‘50 con il neo-noir della Nuova Hollywood degli anni ‘70. I rimandi al primo sono evidenti: dal titolo del film all’uso delle dissolvenze, fino all’inserimento di due McGuffin. Il primo è il cadavere di uno sconosciuto, che diventa centrale nella sequenza iniziale; il secondo è proprio la gamba trovata all’interno dello squalo, che per la prima parte del film rappresenta uno degli elementi chiave della trama. È proprio attraverso l’uso di questo espediente narrativo che Mendonça Filho compie un passo ulteriore nel discorso sul materiale d'archivio. Durante la settimana del Carnevale del 1977, infatti, il Governo aveva condotto un violento attacco omofobo contro un gruppo di ragazzi. Poiché i giornalisti non potevano raccontare l'accaduto, inventarono la leggenda urbana della "Perna Cabeluda" (Gamba Pelosa) per dare una spiegazione a quanto fosse successo. Il genio di Mendonça Filho si manifesta nel modo in cui, per alcuni minuti, abbandona il realismo del noir per rendere omaggio al cinema d’exploitation e di serie B. D’altro canto, lo stato di paranoia e incertezza che caratterizza il personaggio di Marcelo richiama piuttosto lo stile del neo-noir hollywoodiano, con film come The Parallax View (Perchè un assassino, 1975) di Alan J. Pakula, Chinatown (1974) di Roman Polanski e The Conversation (La conversazione,1974) di Francis Ford Coppola, quest’ultimo omaggiato anche dalle sequenze in cui la ricercatrice diventa ossessionata dall’ascolto di una registrazione con la voce del protagonista.
Ciò che “ancora” la visione creativa di Mendonça Filho è Wagner Moura, vincitore del Prix d'Interprétation Masculine al Festival di Cannes, che offre una delle sue migliori interpretazioni sul grande schermo. Con un ritratto minimalista, rende perfettamente l’idea di un uomo intrappolato in una rete spionistica, costretto a trovare una via di fuga per sé e per il figlio. La sua grandezza risiede nella mimica facciale: il tono della voce è pacato e misurato, mentre il suo sguardo trasmette un’inquietudine palpabile. Un contrasto perfetto che dà vita a un ritratto affascinante e singolare del rifugiato politico.
Chi si aspetterebbe una risoluzione alla Chinatown, con Alexandre che, apparendo alle spalle del protagonista, sussurra "Forget it, Marcelo. It’s Recife", potrebbe rimanere deluso. Tuttavia, bisogna sempre tenere a mente l'intento di Mendonça Filho nella sua opera sulla memoria. Lo stile da noir frammentato non è altro che il frutto di una ricostruzione romanzata della giovane ricercatrice/narratrice, che ha a disposizione solo registrazioni e cronache di giornali. Pretendere più azione o "spionaggio" sarebbe controproducente rispetto al messaggio politico che l’opera intende trasmettere, incentrato sulla testimonianza dell’esistenza dei rifugiati politici, degli oppressi e su ciò che resta di loro, piuttosto che su un'indagine approfondita sulla dittatura militare. Un esempio lampante è la sequenza in cui questa pletora di rifugiati, incitata da Dona Sebastiana, comincia a raccontare il proprio passato e i piani per il futuro. Con O Agente Secreto, Kleber Mendonça Filho firma il suo capolavoro, un'opera decisamente cinefila, opulenta e piacevolmente caotica, dove il disorientamento percepito non è altro che un valore aggiunto.