di Omar Franini
NC-263
09.01.2025
Nella notte tra il 5 e il 6 gennaio si è svolta l’82°edizione dei Golden Globes, una serata che ha riservato piacevoli sorprese e reso la corsa agli Oscar ancora più imprevedibile.
Quando si cerca di analizzare questo tipo di cerimonie solitamente si inizia con un commento generale sui film usciti vincitori dalle categorie principali, ma oggi partiremo con la vittoria che ci ha più soddisfatto ed emozionato: quella di Fernanda Torres come Migliore Attrice in un film drammatico per Ainda Estou Aqui (Io sono ancora qui) di Walter Salles. Leggendo i nomi delle attrici che completavano la sestina, spiccavano grandi interpreti del calibro di Tilda Swinton per The Room Next Door (La Stanza Accanto), Angelina Jolie per Maria e Nicole Kidman per Babygirl, ed è proprio per questo che il pubblico medio è rimasto piuttosto sorpreso dalla vittoria dell’attrice brasiliana. Se però si esamina con attenzione il percorso che ha portato il globo d’oro nelle mani della Torres risulterà piuttosto evidente come era, di fatto, la favorita della categoria.
Abbiamo sempre cercato di spiegarvi come, durante le premiazioni, diversi fattori risultino piuttosto fondamentali: bisogna saper ben promuovere un certo film o interpretazione e creare una narrativa a cui i votanti possono appassionarsi - ovviamente per far sì che ciò accada serve un grande sostegno economico. Partendo con ordine, negli ultimi due mesi il team di Ainda Estou Aqui ha compiuto una massiva awards campaign, soprattutto in Europa, dove risiedono la maggior parte dei votanti ai Golden Globes, una campagna la cui strategia si è sempre focalizzata su Fernanda Torres. Inoltre, il film di Salles ha creato un vero e proprio fenomeno nazionale in Brasile per ovvi motivi: il personaggio interpretato da Torres, Eunice Paiva, è diventato il simbolo della resilienza di un popolo in uno dei momenti più bui della sua storia, il periodo della dittatura degli anni ‘70.
Questo grande riscontro popolare non è rimasto un fenomeno circoscritto al Brasile e, pian piano, Ainda Estou Aqui ha trovato una forte “risposta emotiva” anche a livello internazionale. Nelle due settimane che hanno preceduto la cerimonia, la grande empatia che il pubblico ha provato durante la visione del lungometraggio ha rappresentato un fattore cardine nella vittoria di Torres, che le ha permesso di prendere vantaggio su Angelina Jolie e Nicole Kidman. Le due attrici già pluripremiate dai Golden Globes, con rispettivamente tre e cinque vittorie, hanno portato sullo schermo due interpretazioni di alto livello, ma, allo stesso tempo, i due film per qui sono state candidate, non hanno trovato successo in altre categorie, come se l’industria cinematografica non abbia dimostrato abbastanza “passione” nei confronti dei nuovi lungometraggi di Pablo Larraín e Halina Reijn.
Una volta sul palco, Fernanda Torres, visibilmente emozionata, ha tenuto un breve discorso di ringraziamento nei confronti di Walter Salles, Selton Mello (attore che nel lungometraggio interpreta suo marito) e sua madre Fernanda Montenegro, leggendaria icona del cinema brasiliano che nel film recita anche in un piccolo ruolo. Venticinque anni fa, la Montenegro era riuscita nell’impresa di essere la prima interprete brasiliana candidata agli Oscar per Central Station (1998) opera diretta dallo stesso Salles, e noi ci auguriamo davvero che anche la figlia Fernanda possa raggiungere questo grande risultato. Tutto questo discorso mostra come i Globes non siano così avversi a premiare attori in film internazionali, ed è interessante notare come, per la seconda volta negli ultimi dieci anni, un’attrice non anglosassone abbia trionfato sulla protagonista di uno dei biopic al femminile di Larraín, come quando, nel 2017, Isabelle Huppert, interprete di Elle di Paul Verhoeven, prevalse su Natalie Portman in Jackie, la presunta favorita di quell’annata.
La vittoria di Torres ha decisamente scombussolato le carte in ottica Oscar, con Jolie e Kidman che rischiano seriamente di essere “snobbate” il giorno delle nomination. A complicare ulteriormente la situazione è stato il risultato nella categoria di Miglior Attrice in un film o commedia musicale poiché, fino a metà novembre, il discorso sembrava già concluso con Anora, favorito numero uno per la vittoria in diverse categorie - quali film, regia e soprattutto attrice. Ma il successo mediatico di lungometraggi come Wicked, The Brutalist, Emilia Pérez e Conclave ha pian piano diminuito le chance di vittoria per l’ultimo film di Sean Baker e la serata dei Globes ne è stata una triste conferma.
Mikey Madison, la straordinaria interprete di Anora, era vista come la favorita (supportata anche dal grande successo della critica statunitense che nei mesi passati le ha assegnato una ventina di premi regionali) ma a prevalere è stata invece Demi Moore per The Substance. La categoria di per sé era piuttosto competitiva, con Cynthia Erivo nominata per Wicked e Karla Sofia Gascón per Emilia Pérez, ma se la Erivo ha “sfidato la gravità” e ne è uscita sconfitta, anche la protagonista dell’opera di Audiard non ha saputo replicare il successo del film nelle altre categorie. Nello scontro Madison/Moore è giusto citare per l’ennesima volta l’importanza di presentare una “narrativa” avvincente, che qui, più che negli altri casi, ha influenzato la premiazione. Non stiamo cercando di dire che Demi Moore non abbia meritato la statuetta, anzi il contrario, ma non si può non prendere in considerazione il passato dell’attrice, l’orribile trattamento che ha subito da parte dell’industria cinematografica e le innumerevoli volte dove non è stata presa minimamente in considerazione per un premio cinematografico.
Quello che affascina ancora di più della vittoria è che è avvenuta per un film come The Substance, body horror diretto dalla francese Coralie Fargeat, e non per un’interpretazione Oscar bait in un banale dramma. Una volta sul palco, la Moore ha conquistato i colleghi presenti alla cerimonia con un discorso emozionante che sottolineava proprio il suo difficile passato. “Faccio questo mestiere da oltre 45 anni e questa è la prima volta che vinco qualcosa come attrice. Sono profondamente grata. Trent'anni fa un produttore mi disse che ero un’attrice da popcorn. Così, all'epoca mi sono convinta che non avrei mai potuto ricevere premi come questo, che avrei potuto girare film di successo, capaci di incassare molto al botteghino, ma che non avrei mai ricevuto un riconoscimento e ci ho creduto.” Anche questa vittoria ha segnato una svolta importante nella stagione dei premi, un segnale che vede Demi Moore come la favorita per l’Oscar.
Dopo questo piccolo focus sulle due categorie per miglior attrice protagonista, ritorniamo ad analizzare gli altri trionfatori. Come già citato, Karla Sofia Gascón non è riuscita a vincere il premio nonostante Emilia Pérez abbia vinto in altre quattro categorie, tra cui Miglior Film internazionale, Miglior Film musical o commedia, Miglior Attrice non protagonista ed infine Miglior Canzone originale. I quattro premi hanno ricevuto reazioni contrastanti e non ci possiamo dire pienamente soddisfatti di queste scelte.
Nella categoria per il Miglior Film internazionale, gli unici lungometraggi che potevano mettere in “difficoltà” Audiard erano il già citato Ainda Estou Aqui e All We Imagine As Light dell'indiana Payal Kapadia (quest’ultima nominata anche per la miglior regia), due alternative più valide, ma nulla ha saputo fermare Emilia Pérez, che sta continuando il suo camino verso gli Oscar. Questa vittoria, come quella per la Miglior Canzone originale, era piuttosto prevedibile visto il grande sostegno dell’industria cinematografica nei confronti del film. Il premio per Miglior Film musical o commedia è sembrato inaspettato in un primo momento, ma visto il poco successo di Anora e di Wicked nelle altre categorie, Emilia Pérez è diventata la scelta più gettonata.
A completare il quartetto dei premi è Zoe Saldana con il riconoscimento alla Miglior Attrice non protagonista, probabilmente la vittoria più deludente dell’intera serata. Tralasciando per un momento la qualità della sua interpretazione, è piuttosto frustrante vedere come, ad Hollywood, stiano nominando, e premiando, sempre più attori nelle categorie sbagliate. Questo discorso trova conferma in Emilia Pérez, dove Saldana e Gascon sono entrambe “protagoniste” e la storia si evolve seguendo proprio il loro “duplice” punto di vista. Il problema principale è che il personaggio di Saldana risulta davvero misero a livello di scrittura e l’attrice, non solo non è in grado di elevare il ruolo, ma ogni scelta interpretativa che compie risulta talmente tanto esagerata da estraniare lo spettatore dalla visione, soprattutto nei vari momenti musicali. L’interprete non riesce a trovare la giusta emotività nel personaggio, risultando falsa nei momenti più drammatici e piuttosto tediosa nelle scene di contorno.
Sappiamo di essere in minorità su Emilia Pérez e sull’interpretazione di Saldana, ma per cercare di argomentare meglio il nostro punto di vista su quest’ultima forse è giusto fare un paragone con l’unica attrice che può “batterla” in questa awards season, ovvero Ariana Grande per Wicked. Nonostante anche quest’ultima sia vittima di un caso di category fraud, la pop star internazionale ha eccelso in ogni singola sfaccettatura dove Saldana ha fallito. Ogni singolo manierismo di Grande rispecchia la natura pantomimica e buffa della parte che è chiamata ad interpretare; la cantante stupisce per il modo in cui riesce a prendersi gioco del suo personaggio e,al tempo stesso, a trovare una certa sincerità dietro alle sue azioni. L’interpretazione di Grande non è da sottovalutare e, rispetto a Saldana, sono proprio i piccoli dettagli, come un semplice movimento di capelli, a fare la differenza.
Nella categoria di Miglior Film drammatico non ci sono state grosse sorprese, con The Brutalist di Brady Corbet che si è portato a casa il premio più importante, insieme a quello di Miglior Regia e Miglior Attore in un film drammatico. La monumentale opera di Corbet continua il suo buon momentum e potrebbe replicare questo successo anche agli Academy Awards. Adrien Brody, con questa vittoria, prende il largo sugli altri possibili contendenti, tra cui Colman Domingo per Sing Sing e Timothee Chalamet per A Complete Unknown, e si avvicina sempre di più al suo secondo Oscar.
Il successo di The Brutalist ai Golden Globes non ha però avuto impatto sulla categoria di Miglior Attore non protagonista, dove ci si aspettava anche una vittoria di Guy Pearce, mentre a prevalere è stato Kieran Culkin per A Real Pain. L’attore regala una buona interpretazione, ma questa corsa inarrestabile fa storcere un po’ il naso. Il suo personaggio risulta piuttosto simile a quello di Roman Roy della serie Succession. Culkin non mostra nulla di nuovo in A Real Pain e gioca proprio sui suoi punti di forza; un personaggio eccentrico, con la battuta sempre pronta, ma che nasconde una fragilità interiore.
Qui però sorge un dubbio: è una vittoria meritata o la nostalgia verso Succession sta già condizionando il futuro degli interpreti dei tre rampolli Roy? Culkin aveva fatto incetta di premi già lo scorso anno per l’ultima stagione della serie trionfando contro la co-star Jeremy Strong e, anche quest’anno, i due si sono trovati candidati nella medesima categoria, con Strong nominato per The Apprentice di Ali Abbasi dove interpreta Roy Cohn, figura chiave nell’ascesa di Donald Trump.
Il biopic sul futuro presidente degli Stati Uniti ha portato una candidatura anche a Sebastian Stan come Miglior Attore in un film drammatico. Nonostante Stan non si sia aggiudicato il Globe per il film di Abbasi, l'attore di origini rumene ha comunque trionfato come Miglior Attore in un film commedia o musical per A Different Man, uno dei premi più meritati della serata. Stan sta diventando sempre più un attore da "tenere d’occhio", ogni progetto che sceglie diventa un must watch e siamo veramente curiosi di vedere cosa sarà in grado di fare con un regista del calibro di Cristian Mungiu, la cui collaborazione è stata annunciata un paio di settimane fa.
Nella categoria di Miglior Film d’animazione, Flow di Gints Zibalodis ha sconfitto The Wild Robot (Il robot selvaggio) di Chris Sanders, uno dei grandi successi al botteghino della scorsa stagione. Ci si aspettava una vittoria di quest’ultimo, anche perché l’opera di Sanders aveva ricevuto due ulteriori nomination per Miglior Colonna sonora e canzone originale, ma Flow ha rimarcato la sua posizione di front-runner agli Oscar.
Challengers di Luca Guadagnino non ha trionfato in Miglior Film commedia o musical e c’erano pochissime, se non nulle, possibilità per Zendaya nella sua categoria, ma almeno lo straordinario lavoro sulla colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross ha ricevuto un riconoscimento importante. Nonostante la vittoria a sorpresa su Daniel Blumberg (The Brutalist), il duo dei Nine Inch Nails rimane comunque l’underdog non solo per la vittoria agli Oscar, ma anche per una possibile nomination.
Concludiamo con un twist dell’ultimo minuto nella categoria di miglior sceneggiatura, dove Conclave di Edward Berger ha trionfato inaspettatamente su Anora di Sean Baker. Nonostante il premio, lo script di Berger è forse il punto più debole di Conclave, un adattamento troppo fedele al romanzo originale che rende il film piuttosto opaco,forse sarebbe servita una scrittura più incisiva, a tratti provocatoria e satirica. Non a caso il lungometraggio doveva essere portato sul grande schermo da Martin McDonagh, una scelta che avrebbe giovato di più all’intera riuscita del progetto. Detto questo, non è ancora stata pronunciata l’ultima parola per Sean Baker, anche perché agli Oscar lui e Berger competeranno in categorie differenti e speriamo davvero che Anora non diventi lo "sconfitto della stagione", ma che abbia il suo “greatest day” durante la cerimonia degli Academy Awards.
di Omar Franini
NC-263
09.01.2025
Nella notte tra il 5 e il 6 gennaio si è svolta l’82°edizione dei Golden Globes, una serata che ha riservato piacevoli sorprese e reso la corsa agli Oscar ancora più imprevedibile.
Quando si cerca di analizzare questo tipo di cerimonie solitamente si inizia con un commento generale sui film usciti vincitori dalle categorie principali, ma oggi partiremo con la vittoria che ci ha più soddisfatto ed emozionato: quella di Fernanda Torres come Migliore Attrice in un film drammatico per Ainda Estou Aqui (Io sono ancora qui) di Walter Salles. Leggendo i nomi delle attrici che completavano la sestina, spiccavano grandi interpreti del calibro di Tilda Swinton per The Room Next Door (La Stanza Accanto), Angelina Jolie per Maria e Nicole Kidman per Babygirl, ed è proprio per questo che il pubblico medio è rimasto piuttosto sorpreso dalla vittoria dell’attrice brasiliana. Se però si esamina con attenzione il percorso che ha portato il globo d’oro nelle mani della Torres risulterà piuttosto evidente come era, di fatto, la favorita della categoria.
Abbiamo sempre cercato di spiegarvi come, durante le premiazioni, diversi fattori risultino piuttosto fondamentali: bisogna saper ben promuovere un certo film o interpretazione e creare una narrativa a cui i votanti possono appassionarsi - ovviamente per far sì che ciò accada serve un grande sostegno economico. Partendo con ordine, negli ultimi due mesi il team di Ainda Estou Aqui ha compiuto una massiva awards campaign, soprattutto in Europa, dove risiedono la maggior parte dei votanti ai Golden Globes, una campagna la cui strategia si è sempre focalizzata su Fernanda Torres. Inoltre, il film di Salles ha creato un vero e proprio fenomeno nazionale in Brasile per ovvi motivi: il personaggio interpretato da Torres, Eunice Paiva, è diventato il simbolo della resilienza di un popolo in uno dei momenti più bui della sua storia, il periodo della dittatura degli anni ‘70.
Questo grande riscontro popolare non è rimasto un fenomeno circoscritto al Brasile e, pian piano, Ainda Estou Aqui ha trovato una forte “risposta emotiva” anche a livello internazionale. Nelle due settimane che hanno preceduto la cerimonia, la grande empatia che il pubblico ha provato durante la visione del lungometraggio ha rappresentato un fattore cardine nella vittoria di Torres, che le ha permesso di prendere vantaggio su Angelina Jolie e Nicole Kidman. Le due attrici già pluripremiate dai Golden Globes, con rispettivamente tre e cinque vittorie, hanno portato sullo schermo due interpretazioni di alto livello, ma, allo stesso tempo, i due film per qui sono state candidate, non hanno trovato successo in altre categorie, come se l’industria cinematografica non abbia dimostrato abbastanza “passione” nei confronti dei nuovi lungometraggi di Pablo Larraín e Halina Reijn.
Una volta sul palco, Fernanda Torres, visibilmente emozionata, ha tenuto un breve discorso di ringraziamento nei confronti di Walter Salles, Selton Mello (attore che nel lungometraggio interpreta suo marito) e sua madre Fernanda Montenegro, leggendaria icona del cinema brasiliano che nel film recita anche in un piccolo ruolo. Venticinque anni fa, la Montenegro era riuscita nell’impresa di essere la prima interprete brasiliana candidata agli Oscar per Central Station (1998) opera diretta dallo stesso Salles, e noi ci auguriamo davvero che anche la figlia Fernanda possa raggiungere questo grande risultato. Tutto questo discorso mostra come i Globes non siano così avversi a premiare attori in film internazionali, ed è interessante notare come, per la seconda volta negli ultimi dieci anni, un’attrice non anglosassone abbia trionfato sulla protagonista di uno dei biopic al femminile di Larraín, come quando, nel 2017, Isabelle Huppert, interprete di Elle di Paul Verhoeven, prevalse su Natalie Portman in Jackie, la presunta favorita di quell’annata.
La vittoria di Torres ha decisamente scombussolato le carte in ottica Oscar, con Jolie e Kidman che rischiano seriamente di essere “snobbate” il giorno delle nomination. A complicare ulteriormente la situazione è stato il risultato nella categoria di Miglior Attrice in un film o commedia musicale poiché, fino a metà novembre, il discorso sembrava già concluso con Anora, favorito numero uno per la vittoria in diverse categorie - quali film, regia e soprattutto attrice. Ma il successo mediatico di lungometraggi come Wicked, The Brutalist, Emilia Pérez e Conclave ha pian piano diminuito le chance di vittoria per l’ultimo film di Sean Baker e la serata dei Globes ne è stata una triste conferma.
Mikey Madison, la straordinaria interprete di Anora, era vista come la favorita (supportata anche dal grande successo della critica statunitense che nei mesi passati le ha assegnato una ventina di premi regionali) ma a prevalere è stata invece Demi Moore per The Substance. La categoria di per sé era piuttosto competitiva, con Cynthia Erivo nominata per Wicked e Karla Sofia Gascón per Emilia Pérez, ma se la Erivo ha “sfidato la gravità” e ne è uscita sconfitta, anche la protagonista dell’opera di Audiard non ha saputo replicare il successo del film nelle altre categorie. Nello scontro Madison/Moore è giusto citare per l’ennesima volta l’importanza di presentare una “narrativa” avvincente, che qui, più che negli altri casi, ha influenzato la premiazione. Non stiamo cercando di dire che Demi Moore non abbia meritato la statuetta, anzi il contrario, ma non si può non prendere in considerazione il passato dell’attrice, l’orribile trattamento che ha subito da parte dell’industria cinematografica e le innumerevoli volte dove non è stata presa minimamente in considerazione per un premio cinematografico.
Quello che affascina ancora di più della vittoria è che è avvenuta per un film come The Substance, body horror diretto dalla francese Coralie Fargeat, e non per un’interpretazione Oscar bait in un banale dramma. Una volta sul palco, la Moore ha conquistato i colleghi presenti alla cerimonia con un discorso emozionante che sottolineava proprio il suo difficile passato. “Faccio questo mestiere da oltre 45 anni e questa è la prima volta che vinco qualcosa come attrice. Sono profondamente grata. Trent'anni fa un produttore mi disse che ero un’attrice da popcorn. Così, all'epoca mi sono convinta che non avrei mai potuto ricevere premi come questo, che avrei potuto girare film di successo, capaci di incassare molto al botteghino, ma che non avrei mai ricevuto un riconoscimento e ci ho creduto.” Anche questa vittoria ha segnato una svolta importante nella stagione dei premi, un segnale che vede Demi Moore come la favorita per l’Oscar.
Dopo questo piccolo focus sulle due categorie per miglior attrice protagonista, ritorniamo ad analizzare gli altri trionfatori. Come già citato, Karla Sofia Gascón non è riuscita a vincere il premio nonostante Emilia Pérez abbia vinto in altre quattro categorie, tra cui Miglior Film internazionale, Miglior Film musical o commedia, Miglior Attrice non protagonista ed infine Miglior Canzone originale. I quattro premi hanno ricevuto reazioni contrastanti e non ci possiamo dire pienamente soddisfatti di queste scelte.
Nella categoria per il Miglior Film internazionale, gli unici lungometraggi che potevano mettere in “difficoltà” Audiard erano il già citato Ainda Estou Aqui e All We Imagine As Light dell'indiana Payal Kapadia (quest’ultima nominata anche per la miglior regia), due alternative più valide, ma nulla ha saputo fermare Emilia Pérez, che sta continuando il suo camino verso gli Oscar. Questa vittoria, come quella per la Miglior Canzone originale, era piuttosto prevedibile visto il grande sostegno dell’industria cinematografica nei confronti del film. Il premio per Miglior Film musical o commedia è sembrato inaspettato in un primo momento, ma visto il poco successo di Anora e di Wicked nelle altre categorie, Emilia Pérez è diventata la scelta più gettonata.
A completare il quartetto dei premi è Zoe Saldana con il riconoscimento alla Miglior Attrice non protagonista, probabilmente la vittoria più deludente dell’intera serata. Tralasciando per un momento la qualità della sua interpretazione, è piuttosto frustrante vedere come, ad Hollywood, stiano nominando, e premiando, sempre più attori nelle categorie sbagliate. Questo discorso trova conferma in Emilia Pérez, dove Saldana e Gascon sono entrambe “protagoniste” e la storia si evolve seguendo proprio il loro “duplice” punto di vista. Il problema principale è che il personaggio di Saldana risulta davvero misero a livello di scrittura e l’attrice, non solo non è in grado di elevare il ruolo, ma ogni scelta interpretativa che compie risulta talmente tanto esagerata da estraniare lo spettatore dalla visione, soprattutto nei vari momenti musicali. L’interprete non riesce a trovare la giusta emotività nel personaggio, risultando falsa nei momenti più drammatici e piuttosto tediosa nelle scene di contorno.
Sappiamo di essere in minorità su Emilia Pérez e sull’interpretazione di Saldana, ma per cercare di argomentare meglio il nostro punto di vista su quest’ultima forse è giusto fare un paragone con l’unica attrice che può “batterla” in questa awards season, ovvero Ariana Grande per Wicked. Nonostante anche quest’ultima sia vittima di un caso di category fraud, la pop star internazionale ha eccelso in ogni singola sfaccettatura dove Saldana ha fallito. Ogni singolo manierismo di Grande rispecchia la natura pantomimica e buffa della parte che è chiamata ad interpretare; la cantante stupisce per il modo in cui riesce a prendersi gioco del suo personaggio e,al tempo stesso, a trovare una certa sincerità dietro alle sue azioni. L’interpretazione di Grande non è da sottovalutare e, rispetto a Saldana, sono proprio i piccoli dettagli, come un semplice movimento di capelli, a fare la differenza.
Nella categoria di Miglior Film drammatico non ci sono state grosse sorprese, con The Brutalist di Brady Corbet che si è portato a casa il premio più importante, insieme a quello di Miglior Regia e Miglior Attore in un film drammatico. La monumentale opera di Corbet continua il suo buon momentum e potrebbe replicare questo successo anche agli Academy Awards. Adrien Brody, con questa vittoria, prende il largo sugli altri possibili contendenti, tra cui Colman Domingo per Sing Sing e Timothee Chalamet per A Complete Unknown, e si avvicina sempre di più al suo secondo Oscar.
Il successo di The Brutalist ai Golden Globes non ha però avuto impatto sulla categoria di Miglior Attore non protagonista, dove ci si aspettava anche una vittoria di Guy Pearce, mentre a prevalere è stato Kieran Culkin per A Real Pain. L’attore regala una buona interpretazione, ma questa corsa inarrestabile fa storcere un po’ il naso. Il suo personaggio risulta piuttosto simile a quello di Roman Roy della serie Succession. Culkin non mostra nulla di nuovo in A Real Pain e gioca proprio sui suoi punti di forza; un personaggio eccentrico, con la battuta sempre pronta, ma che nasconde una fragilità interiore.
Qui però sorge un dubbio: è una vittoria meritata o la nostalgia verso Succession sta già condizionando il futuro degli interpreti dei tre rampolli Roy? Culkin aveva fatto incetta di premi già lo scorso anno per l’ultima stagione della serie trionfando contro la co-star Jeremy Strong e, anche quest’anno, i due si sono trovati candidati nella medesima categoria, con Strong nominato per The Apprentice di Ali Abbasi dove interpreta Roy Cohn, figura chiave nell’ascesa di Donald Trump.
Il biopic sul futuro presidente degli Stati Uniti ha portato una candidatura anche a Sebastian Stan come Miglior Attore in un film drammatico. Nonostante Stan non si sia aggiudicato il Globe per il film di Abbasi, l'attore di origini rumene ha comunque trionfato come Miglior Attore in un film commedia o musical per A Different Man, uno dei premi più meritati della serata. Stan sta diventando sempre più un attore da "tenere d’occhio", ogni progetto che sceglie diventa un must watch e siamo veramente curiosi di vedere cosa sarà in grado di fare con un regista del calibro di Cristian Mungiu, la cui collaborazione è stata annunciata un paio di settimane fa.
Nella categoria di Miglior Film d’animazione, Flow di Gints Zibalodis ha sconfitto The Wild Robot (Il robot selvaggio) di Chris Sanders, uno dei grandi successi al botteghino della scorsa stagione. Ci si aspettava una vittoria di quest’ultimo, anche perché l’opera di Sanders aveva ricevuto due ulteriori nomination per Miglior Colonna sonora e canzone originale, ma Flow ha rimarcato la sua posizione di front-runner agli Oscar.
Challengers di Luca Guadagnino non ha trionfato in Miglior Film commedia o musical e c’erano pochissime, se non nulle, possibilità per Zendaya nella sua categoria, ma almeno lo straordinario lavoro sulla colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross ha ricevuto un riconoscimento importante. Nonostante la vittoria a sorpresa su Daniel Blumberg (The Brutalist), il duo dei Nine Inch Nails rimane comunque l’underdog non solo per la vittoria agli Oscar, ma anche per una possibile nomination.
Concludiamo con un twist dell’ultimo minuto nella categoria di miglior sceneggiatura, dove Conclave di Edward Berger ha trionfato inaspettatamente su Anora di Sean Baker. Nonostante il premio, lo script di Berger è forse il punto più debole di Conclave, un adattamento troppo fedele al romanzo originale che rende il film piuttosto opaco,forse sarebbe servita una scrittura più incisiva, a tratti provocatoria e satirica. Non a caso il lungometraggio doveva essere portato sul grande schermo da Martin McDonagh, una scelta che avrebbe giovato di più all’intera riuscita del progetto. Detto questo, non è ancora stata pronunciata l’ultima parola per Sean Baker, anche perché agli Oscar lui e Berger competeranno in categorie differenti e speriamo davvero che Anora non diventi lo "sconfitto della stagione", ma che abbia il suo “greatest day” durante la cerimonia degli Academy Awards.