NC-05
10.05.2020
Lo scorso gennaio, alla Fondation Beyeler di Basilea, si apriva una grande mostra dedicata a Edward Hopper. Inizialmente sospesa a causa del virus, la mostra è appena stata riaperta e prolungata fino a luglio. Tra i vari momenti dell’esibizione, spicca il cortometraggio in 3D Two or Three Things I Know about Edward Hopper, diretto da Wim Wenders.
Il regista tedesco si è sempre detto un ammiratore di Hopper, e molti dei suoi film lo dimostrano, a volte con inquadrature che omaggiano esplicitamente lo stile del pittore statunitense (in Don’t Come Knocking, 2006). Come si può vedere dal trailer del suo nuovo corto, la novità qui risiede nella profondità dell’esperienza creata dal regista: i quadri di Hopper sono ricostruiti come fossero scene di un film, dall’ambientazione agli attori, e lo stesso Wenders si muove tra i dipinti interrogandosi sul destino dei personaggi che li popolano.
Il potenziale cinematografico dell’opera di Hopper era noto, e altri film avevano già instaurato un dialogo con i suoi quadri. È il caso, per esempio, di Pennies from Heaven (1981) di Herbert Ross, che cita alla lettera I nottambuli (1942), o del più recente Shirley: Visions of Reality (2013) di Gustav Deutsch, composto di sole tredici scene, ognuna modellata su un quadro di Hopper.
L’esperimento di Wenders va però oltre la semplice citazione, creando un rapporto dinamico con i dipinti e spezzando la loro intrinseca staticità. Nel fare questo, Wenders deve essersi ispirato ad almeno due esempi illustri che l’hanno preceduto.
Il primo precedente, molto famoso, si trova in uno degli ultimi capolavori di Akira Kurosawa, Sogni (1990). In uno degli episodi che compongono il film, mentre il protagonista sta visitando il Van Gogh Museum, si ritrova magicamente a camminare all’interno dei dipinti. Una volta entrato incontra lo stesso Van Gogh, e insieme a lui ripercorre alcuni momenti della sua vita. Il “sogno” del protagonista si interrompe quando i corvi si alzano in volo in un campo di grano, ed egli si ritrova così davanti al celebre quadro.
L’altro esempio degno di nota arriva da un regista meno conosciuto, il polacco Lech Majewski. Il suo I colori della passione, presentato al Sundance nel 2011, è una grande trasposizione cinematografica del dipinto Salita al Calvario (1564) del fiammingo Pieter Bruegel il Vecchio. Come Kurosawa, anche Majewski tenta di ricostruire i momenti precedenti a quello immortalato nel quadro, con la differenza che qui deve tenere insieme le storie degli oltre 500 personaggi che lo compongono. Il risultato, per complessità e cura dei dettagli, è notevole.
Con il suo nuovo corto, Wenders si inserisce in questo filone, cercando di offrire al pubblico un’esperienza ancora più immersiva grazie all’ausilio del 3D. Fortunato chi, nonostante la situazione attuale, abbia la possibilità di vedere la mostra a Basilea; per tutti gli altri, si spera che questa piccola opera sia presto resa disponibile su altre piattaforme.
NC-05
10.05.2020
Lo scorso gennaio, alla Fondation Beyeler di Basilea, si apriva una grande mostra dedicata a Edward Hopper. Inizialmente sospesa a causa del virus, la mostra è appena stata riaperta e prolungata fino a luglio. Tra i vari momenti dell’esibizione, spicca il cortometraggio in 3D Two or Three Things I Know about Edward Hopper, diretto da Wim Wenders.
Il regista tedesco si è sempre detto un ammiratore di Hopper, e molti dei suoi film lo dimostrano, a volte con inquadrature che omaggiano esplicitamente lo stile del pittore statunitense (in Don’t Come Knocking, 2006). Come si può vedere dal trailer del suo nuovo corto, la novità qui risiede nella profondità dell’esperienza creata dal regista: i quadri di Hopper sono ricostruiti come fossero scene di un film, dall’ambientazione agli attori, e lo stesso Wenders si muove tra i dipinti interrogandosi sul destino dei personaggi che li popolano.
Il potenziale cinematografico dell’opera di Hopper era noto, e altri film avevano già instaurato un dialogo con i suoi quadri. È il caso, per esempio, di Pennies from Heaven (1981) di Herbert Ross, che cita alla lettera I nottambuli (1942), o del più recente Shirley: Visions of Reality (2013) di Gustav Deutsch, composto di sole tredici scene, ognuna modellata su un quadro di Hopper.
L’esperimento di Wenders va però oltre la semplice citazione, creando un rapporto dinamico con i dipinti e spezzando la loro intrinseca staticità. Nel fare questo, Wenders deve essersi ispirato ad almeno due esempi illustri che l’hanno preceduto.
Il primo precedente, molto famoso, si trova in uno degli ultimi capolavori di Akira Kurosawa, Sogni (1990). In uno degli episodi che compongono il film, mentre il protagonista sta visitando il Van Gogh Museum, si ritrova magicamente a camminare all’interno dei dipinti. Una volta entrato incontra lo stesso Van Gogh, e insieme a lui ripercorre alcuni momenti della sua vita. Il “sogno” del protagonista si interrompe quando i corvi si alzano in volo in un campo di grano, ed egli si ritrova così davanti al celebre quadro.
L’altro esempio degno di nota arriva da un regista meno conosciuto, il polacco Lech Majewski. Il suo I colori della passione, presentato al Sundance nel 2011, è una grande trasposizione cinematografica del dipinto Salita al Calvario (1564) del fiammingo Pieter Bruegel il Vecchio. Come Kurosawa, anche Majewski tenta di ricostruire i momenti precedenti a quello immortalato nel quadro, con la differenza che qui deve tenere insieme le storie degli oltre 500 personaggi che lo compongono. Il risultato, per complessità e cura dei dettagli, è notevole.
Con il suo nuovo corto, Wenders si inserisce in questo filone, cercando di offrire al pubblico un’esperienza ancora più immersiva grazie all’ausilio del 3D. Fortunato chi, nonostante la situazione attuale, abbia la possibilità di vedere la mostra a Basilea; per tutti gli altri, si spera che questa piccola opera sia presto resa disponibile su altre piattaforme.