di Andrea Aleo
NC-297
01.05.2025
Il calendario, di solito, si appende in cucina sotto l’orologio, come a creare un asse simmetrico e incrementale di scansione del tempo. I secondi diventano ore, che diventano giorni, che diventano settimane, fino a che le caselle si esauriscono, e bisogna comprarne uno nuovo. Oltre che dal meteo e dalla notte che si avvicina o si allontana, sui calendari i mesi vengono contraddistinti da un’immagine - un’ape che raccoglie il polline, un'aerea dell’Empire State Building, un quadro di Miró - che in un modo o nell’altro cerca di racchiudere l’essenza di questa particolare trentina di giorni.
Per questo Maggio, al posto della singola illustrazione a cui siamo abituati, ODG pubblicherà una selezione di dieci film da vedere durante il mese e appositamente scelti per marcare ricorrenze, anniversari e affinità umorali.
2 Maggio. Una storia moderna - L’ape regina (1963) di Marco Ferreri
Alfonso (Ugo Tognazzi) è un quarantenne che si è deciso a trovare moglie. Tramite un amico frate conosce Regina (Marina Vlady), ragazza illibata e dai sani principi religiosi. Una volta sposati, Regina mostrerà forti istinti sessuali e di lì a breve rimarrà incinta. Dopo la gravidanza si disinteresserà completamente del marito. Come per buona parte dei film di Marco Ferreri, il messaggio antiborghese e anticattolico non sfuggì alla censura. Infatti il film doveva inizialmente intitolarsi solo L’ape regina, ma fu aggiunta la dicitura Una storia moderna, come per voler smorzare il suo contenuto. Resta il fatto che quest’opera sia indubbiamente moderna, perché con ironia dissacrante decreta un dominio femminile sull’uomo, ma ancor più perché, in un momento storico ancora precoce, riflette sulla crisi della coppia borghese. Un’idea che Ferreri porterà all’apice in Marcia nuziale nel 1965.
Disponibile su RaiPlay.
4 Maggio. Una donna in carriera (1988) di Mike Nichols
Una donna in carriera è la storia di una segretaria che sfrutta un caso fortuito e con furbizia riesce a scalare la montagna del successo nella Manhattan degli squali della finanza. Wall Street (1987) di Oliver Stone, che è dell'anno prima, proiettava il protagonista agli ultimi piani dei grattacieli del potere, per poi mandare in fumo il sogno nel finale, volendo forse introdurre una crepa nell'ottimismo sfrenato che ha caratterizzato l’America degli anni ‘80. Una donna in carriera invece, l'anno dopo, toglie ogni dubbio e dimostra nuovamente che dal basso si può sempre arrivare in alto, con la determinazione e con la cultura egoistica del cogliere l’occasione. A un certo punto del film Sigourney Weaver dice a Melanie Griffith "make it happen", che richiama alla mente quel "Take your passion and make it happen" nel ritornello della canzone principale di Flashdance (1983), ovvero uno dei film checkpoint dell'ideologia di quel decennio. Dopo aver contribuito a fondare la New Hollywood con opere spartiacque come Chi ha paura di Virginia Woolf? (1966), Il laureato (1967) o Conoscenza carnale (1971), Mike Nichols dimostra ancora una volta di essere un gigante del cinema, condensando in questa pellicola una grossa fetta di sentimenti e ideologie del suo presente. Suggerendo che, forse, l'onda lunga della fiducia in sé stessi e del culto del successo durerà ancora negli anni a venire.
Noleggiabile su Disney+, You Tube, Amazon Prime Video, Google Play Film, Apple TV, e Rakuten TV.
7 Maggio. Dentro la notizia - Broadcast News (1987) di James L. Brooks
Nella redazione di un notiziario di Washington lavorano tre giornalisti, interpretati da William Hurt, Holly Hunter e Albert Brooks. Fra i tre si instaurano rapporti diversi, dove sia il lavoro che i sentimenti si accavalleranno tra loro. James L. Brooks, co-ideatore dei Simpson e regista di un classico come Voglia di tenerezza (1983), tesse una storia romantica dentro la cornice di una redazione giornalistica. Siamo nel 1987 e, come in svariati film di questo periodo, il mondo lavorativo nella metropoli americana è una bolgia dove bisogna sgomitare per arrivare in alto. Ma sempre con quell’ottimismo di fondo e quella fiducia in sé stessi che caratterizzano gli Stati Uniti di questo decennio. Qui in più c’è la maestria di James L. Brooks, che ibrida il fervore scalpitante del carrierismo con il dolceamaro di sentimenti che sbocciano o che restano inespressi.
Noleggiabile su Amazon Prime Video.
10 Maggio. Benny’s Video (1992) di Michael Haneke
Benny’s Video (1992) è il secondo film della cosiddetta trilogia della glaciazione, composta anche da Il settimo continente (1989) e 71 frammenti di una cronologia del caso (1994). Benny è un ragazzino che abita con i genitori e passa la maggior parte del suo tempo chiuso nella sua stanza a guardare filmati dai contenuti violenti. Un giorno invita a casa una sua compagna di scuola. Non poteva esserci nome più azzeccato per questa serie di film, dove Haneke dimostra già a inizio carriera la potenza nichilistica del suo cinema. Un film agghiacciante nel senso letterale del termine, perché parla di un’umanità gelida, completamente alienata nel suo immobilismo emotivo. Un’alienazione che si discosta da quella prettamente esistenziale dei film di Michelangelo Antonioni o di Roman Polanski, ma che invece sembra strettamente ancorata alla realtà austriaca. Haneke parla di una società che trasmette ai suoi cittadini un’apatia tale da poter generare mostri. Un capolavoro che, alla luce delle nuove fonti di alienazione e della crescente ansia sociale tra i giovani, resta estremamente attuale.
Disponibile su Amazon Prime Video.
13 Maggio. Mariti (1970) di John Cassavetes
Dopo il funerale di un amico, tre amici (interpretati da Ben Gazzara, Peter Falk e lo stesso John Cassavetes), passano due giorni a bighellonare e a ubriacarsi per New York. Successivamente partono per Londra, dove passeranno una notte con tre donne conosciute in un casinò. In Mariti (1970), col suo stile inconfondibile, Cassavetes esplora un legame tutto al maschile, senza moralismi di genere. In poche macroscene si dipana una discesa nella goliardia che assurge a esorcizzazione della morte, in una fuga liberatoria da qualunque responsabilità familiare e sociale. Un film straordinario, che potrebbe essere considerato il precursore americano di Amici Miei (1975) di Mario Monicelli.
16 Maggio. Cinque pezzi facili (1970) di Bob Rafelson
Bobby (Jack Nicholson) proviene da una famiglia benestante, con la quale ha da tempo troncato i rapporti. Prima suonava il pianoforte, ora trascorre la vita alla giornata assieme alla fidanzata Rayette (Karen Black). Dopo aver saputo di una malattia improvvisa del padre, decide di tornare a casa. Il lungometraggio di Bob Rafelson si inserisce nel clima controculturale statunitense di fine anni ‘60 e inizio anni ‘70. Il disorientamento, soprattutto dei giovani, è un sentimento che deriva da fattori storici e culturali multipli. In una nazione che ha nutrito i suoi cittadini con l’utopia del sogno americano, le convenzioni borghesi, fisse nella loro presunta giustezza morale, iniziano a vacillare. I personaggi che riempiono molti film di questo periodo sono spesso vagabondi, reietti, o semplicemente spaesati in una società in cui non si riconoscono. E molti di questi film riescono a veicolare questo sentimento, ma la scena finale di Cinque pezzi facili, forse, è una delle più potenti di tutta la New Hollywood.
Noleggiabile su Amazon Prime Video, You Tube, Google Play Film, Apple TV.
20 Maggio. Sono fotogenico (1980) di Dino Risi
Antonio (Renato Pozzetto) è un giovane che vive con i genitori e il nonno nella provincia di Varese. Sogna di diventare un attore di cinema e decide di trasferirsi a Roma per provare a inseguire il suo sogno. Qui inizia a lavorare in piccoli ruoli e conosce anche Cinzia (Edwige Fenech). Nel caotico ambiente del cinema, conosce personaggi senza scrupoli che lo illudono di poter fare carriera. Ma la realtà è ben diversa. Sono fotogenico è un’opera che insiste sull’eccentricità del jet set del mondo del cinema, con una carrellata di figure caricaturali che costituiscono la parte comica del film. Il finale invece, nel suo intento chiaramente sarcastico, fa però emergere un lato malinconico non indifferente, con una disillusione quasi fantozziana che crea una splendida commistione con il resto del film. Nel 1980 la commedia all’italiana è agli sgoccioli. E proprio Dino Risi, ovvero uno degli autori che l’ha creata e delineata, adesso fa i conti col cinema del nostro Paese, guardandolo da dentro con lo sguardo di chi ne conosce molto bene le storture.
Disponibile su RaiPlay.
24 Maggio. Titane (2021) di Julia Ducournau
In macchina, una bambina di nome Alexia e suo padre si dirigono da qualche parte, quando un grave incidente costringe la bambina a una delicata operazione chirurgica e, da quel momento, vivrà con una placca di titanio nella tempia. Anni dopo, Alexia è una ragazza violenta, con un padre totalmente assente, incapace di relazionarsi con gli altri, che lavora in uno strano night club dove si eseguono danze erotiche sopra le automobili.Titane è un’opera nuova, dove la violenza è il punto di partenza ossimorico per una riflessione completamente umana. La brutalità spasmodica della prima parte di film, paradossalmente, ci parla di un desiderio impellente di comunicare un sentimento, totalmente immaturo, ancora imbrigliato sotto un’epidermide di titanio. La deriva furiosa di Alexia verso l’inanimato è l’unica soluzione all’incomunicabilità col mondo. Il connubio amore-violenza che vive in Alexia crea l’ibrido uomo-macchina nel suo grembo. Ma per Julia Ducournau questo ibrido, questo figlio, inverte il senso della violenza generatrice, con una svolta ottimistica che stravolge la categorizzazione di genere horror. Ducournau fa così un salto rispetto al suo potentissimo film d’esordio Raw (2016), un’opera dove il dolore è ineluttabile, e l’ereditarietà matrilineare è la condizione che lo perpetua nel tempo. Titane ribalta questa riflessione, laddove la sofferenza è il punto di partenza disperato, e la discendenza da madre a prole diventa un messaggio radicale di speranza nel futuro. Il parto di una creatura aliena è l’urlo finale sconquassante contro un mondo nel quale la vera mostruosità è l’indifferenza.
Disponibile su Amazon Prime Video e noleggiabile su Rakuten TV, CHILI, You Tube, Google Play Film e Apple TV.
28 Maggio. Safe (1995) di Todd Haynes
Carol (Julianne Moore) è una casalinga dell’alta borghesia di Los Angeles che vive col marito e il figlio di lui. A un certo punto si ammala di una strana forma di allergia che le provoca forti attacchi di asma scatenati dagli elementi più svariati. Arriva al punto di doversi isolare in una sorta di clinica New Age. Così come nel successivo Lontano dal paradiso (2002), Todd Haynes si scaglia contro il perbenismo dell’alta società americana. Il titolo Safe, salvarsi, è il tentativo disperato di mettersi al sicuro dall’America che sta fuori, dove chi non riesce a stare al passo con la perfezione diviene un reietto. Le esalazioni ai quali vengono ascritti i mali della protagonista non sono altro che i veleni delle aspettative gigantesche che l’american dream ha creato nei suoi cittadini. Un fiele che monta e logora da dentro, fino al punto di venire fuori come un rivolo di sangue dal naso.
31 Maggio. La corruzione (1963) di Mauro Bolognini
Stefano è un giovane appena diplomato, che desidera prendere i voti e consacrare la sua vita a Dio. Il padre è un ricco imprenditore nel campo dell’editoria che si oppone al volere del figlio e spera di convincerlo a seguire le sue orme. Per fare questo escogita un piano, organizza una gita in barca invitando assieme a loro una ragazza.L’idea di questo film riporta alla mente la riflessione di Teorema (1968) di Pier Paolo Pasolini (non a caso sceneggiatore di diversi film di Bolognini), non solo nella bordata antiborghese, ma soprattutto nell’idea di un elemento profano che turba la quiete di un ambiente immobile nel suo sistema di valori. In Teorema l’elemento borghese, inteso come sistema di regole precostituite, è la famiglia. Ne La corruzione l’elemento borghese è la religione cattolica di Stefano, che lo ingabbia impedendogli di vivere serenamente il rapporto con Adriana. Dunque, in una lettura pasoliniana del film, il sacro al quale si appiglia Stefano manca del profano. È un sacro borghese, in quanto sottoposto ai precetti repressivi dell’istituzione Chiesa. Non è un sacro che libera, è un sacro che mortifica. E allora il profano/donna (così come il personaggio di Terence Stamp in Teorema) diventa la corruzione liberatoria dalla gabbia del cattolicesimo. Il protagonista arriverà a una vera e propria crisi nella strepitosa scena finale del ballo di gruppo. Una sequenza che diventa l’acme della corruzione nel mostrare quegli anni ‘60 prorompenti, che scardinano il passato e aprono a un nuovo modo di intendere la vita.
Disponibile su Amazon Prime Video.
di Andrea Aleo
NC-297
01.05.2025
Il calendario, di solito, si appende in cucina sotto l’orologio, come a creare un asse simmetrico e incrementale di scansione del tempo. I secondi diventano ore, che diventano giorni, che diventano settimane, fino a che le caselle si esauriscono, e bisogna comprarne uno nuovo. Oltre che dal meteo e dalla notte che si avvicina o si allontana, sui calendari i mesi vengono contraddistinti da un’immagine - un’ape che raccoglie il polline, un'aerea dell’Empire State Building, un quadro di Miró - che in un modo o nell’altro cerca di racchiudere l’essenza di questa particolare trentina di giorni.
Per questo Maggio, al posto della singola illustrazione a cui siamo abituati, ODG pubblicherà una selezione di dieci film da vedere durante il mese e appositamente scelti per marcare ricorrenze, anniversari e affinità umorali.
2 Maggio. Una storia moderna - L’ape regina (1963) di Marco Ferreri
Alfonso (Ugo Tognazzi) è un quarantenne che si è deciso a trovare moglie. Tramite un amico frate conosce Regina (Marina Vlady), ragazza illibata e dai sani principi religiosi. Una volta sposati, Regina mostrerà forti istinti sessuali e di lì a breve rimarrà incinta. Dopo la gravidanza si disinteresserà completamente del marito. Come per buona parte dei film di Marco Ferreri, il messaggio antiborghese e anticattolico non sfuggì alla censura. Infatti il film doveva inizialmente intitolarsi solo L’ape regina, ma fu aggiunta la dicitura Una storia moderna, come per voler smorzare il suo contenuto. Resta il fatto che quest’opera sia indubbiamente moderna, perché con ironia dissacrante decreta un dominio femminile sull’uomo, ma ancor più perché, in un momento storico ancora precoce, riflette sulla crisi della coppia borghese. Un’idea che Ferreri porterà all’apice in Marcia nuziale nel 1965.
Disponibile su RaiPlay.
4 Maggio. Una donna in carriera (1988) di Mike Nichols
Una donna in carriera è la storia di una segretaria che sfrutta un caso fortuito e con furbizia riesce a scalare la montagna del successo nella Manhattan degli squali della finanza. Wall Street (1987) di Oliver Stone, che è dell'anno prima, proiettava il protagonista agli ultimi piani dei grattacieli del potere, per poi mandare in fumo il sogno nel finale, volendo forse introdurre una crepa nell'ottimismo sfrenato che ha caratterizzato l’America degli anni ‘80. Una donna in carriera invece, l'anno dopo, toglie ogni dubbio e dimostra nuovamente che dal basso si può sempre arrivare in alto, con la determinazione e con la cultura egoistica del cogliere l’occasione. A un certo punto del film Sigourney Weaver dice a Melanie Griffith "make it happen", che richiama alla mente quel "Take your passion and make it happen" nel ritornello della canzone principale di Flashdance (1983), ovvero uno dei film checkpoint dell'ideologia di quel decennio. Dopo aver contribuito a fondare la New Hollywood con opere spartiacque come Chi ha paura di Virginia Woolf? (1966), Il laureato (1967) o Conoscenza carnale (1971), Mike Nichols dimostra ancora una volta di essere un gigante del cinema, condensando in questa pellicola una grossa fetta di sentimenti e ideologie del suo presente. Suggerendo che, forse, l'onda lunga della fiducia in sé stessi e del culto del successo durerà ancora negli anni a venire.
Noleggiabile su Disney+, You Tube, Amazon Prime Video, Google Play Film, Apple TV, e Rakuten TV.
7 Maggio. Dentro la notizia - Broadcast News (1987) di James L. Brooks
Nella redazione di un notiziario di Washington lavorano tre giornalisti, interpretati da William Hurt, Holly Hunter e Albert Brooks. Fra i tre si instaurano rapporti diversi, dove sia il lavoro che i sentimenti si accavalleranno tra loro. James L. Brooks, co-ideatore dei Simpson e regista di un classico come Voglia di tenerezza (1983), tesse una storia romantica dentro la cornice di una redazione giornalistica. Siamo nel 1987 e, come in svariati film di questo periodo, il mondo lavorativo nella metropoli americana è una bolgia dove bisogna sgomitare per arrivare in alto. Ma sempre con quell’ottimismo di fondo e quella fiducia in sé stessi che caratterizzano gli Stati Uniti di questo decennio. Qui in più c’è la maestria di James L. Brooks, che ibrida il fervore scalpitante del carrierismo con il dolceamaro di sentimenti che sbocciano o che restano inespressi.
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10 Maggio. Benny’s Video (1992) di Michael Haneke
Benny’s Video (1992) è il secondo film della cosiddetta trilogia della glaciazione, composta anche da Il settimo continente (1989) e 71 frammenti di una cronologia del caso (1994). Benny è un ragazzino che abita con i genitori e passa la maggior parte del suo tempo chiuso nella sua stanza a guardare filmati dai contenuti violenti. Un giorno invita a casa una sua compagna di scuola. Non poteva esserci nome più azzeccato per questa serie di film, dove Haneke dimostra già a inizio carriera la potenza nichilistica del suo cinema. Un film agghiacciante nel senso letterale del termine, perché parla di un’umanità gelida, completamente alienata nel suo immobilismo emotivo. Un’alienazione che si discosta da quella prettamente esistenziale dei film di Michelangelo Antonioni o di Roman Polanski, ma che invece sembra strettamente ancorata alla realtà austriaca. Haneke parla di una società che trasmette ai suoi cittadini un’apatia tale da poter generare mostri. Un capolavoro che, alla luce delle nuove fonti di alienazione e della crescente ansia sociale tra i giovani, resta estremamente attuale.
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13 Maggio. Mariti (1970) di John Cassavetes
Dopo il funerale di un amico, tre amici (interpretati da Ben Gazzara, Peter Falk e lo stesso John Cassavetes), passano due giorni a bighellonare e a ubriacarsi per New York. Successivamente partono per Londra, dove passeranno una notte con tre donne conosciute in un casinò. In Mariti (1970), col suo stile inconfondibile, Cassavetes esplora un legame tutto al maschile, senza moralismi di genere. In poche macroscene si dipana una discesa nella goliardia che assurge a esorcizzazione della morte, in una fuga liberatoria da qualunque responsabilità familiare e sociale. Un film straordinario, che potrebbe essere considerato il precursore americano di Amici Miei (1975) di Mario Monicelli.
16 Maggio. Cinque pezzi facili (1970) di Bob Rafelson
Bobby (Jack Nicholson) proviene da una famiglia benestante, con la quale ha da tempo troncato i rapporti. Prima suonava il pianoforte, ora trascorre la vita alla giornata assieme alla fidanzata Rayette (Karen Black). Dopo aver saputo di una malattia improvvisa del padre, decide di tornare a casa. Il lungometraggio di Bob Rafelson si inserisce nel clima controculturale statunitense di fine anni ‘60 e inizio anni ‘70. Il disorientamento, soprattutto dei giovani, è un sentimento che deriva da fattori storici e culturali multipli. In una nazione che ha nutrito i suoi cittadini con l’utopia del sogno americano, le convenzioni borghesi, fisse nella loro presunta giustezza morale, iniziano a vacillare. I personaggi che riempiono molti film di questo periodo sono spesso vagabondi, reietti, o semplicemente spaesati in una società in cui non si riconoscono. E molti di questi film riescono a veicolare questo sentimento, ma la scena finale di Cinque pezzi facili, forse, è una delle più potenti di tutta la New Hollywood.
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20 Maggio. Sono fotogenico (1980) di Dino Risi
Antonio (Renato Pozzetto) è un giovane che vive con i genitori e il nonno nella provincia di Varese. Sogna di diventare un attore di cinema e decide di trasferirsi a Roma per provare a inseguire il suo sogno. Qui inizia a lavorare in piccoli ruoli e conosce anche Cinzia (Edwige Fenech). Nel caotico ambiente del cinema, conosce personaggi senza scrupoli che lo illudono di poter fare carriera. Ma la realtà è ben diversa. Sono fotogenico è un’opera che insiste sull’eccentricità del jet set del mondo del cinema, con una carrellata di figure caricaturali che costituiscono la parte comica del film. Il finale invece, nel suo intento chiaramente sarcastico, fa però emergere un lato malinconico non indifferente, con una disillusione quasi fantozziana che crea una splendida commistione con il resto del film. Nel 1980 la commedia all’italiana è agli sgoccioli. E proprio Dino Risi, ovvero uno degli autori che l’ha creata e delineata, adesso fa i conti col cinema del nostro Paese, guardandolo da dentro con lo sguardo di chi ne conosce molto bene le storture.
Disponibile su RaiPlay.
24 Maggio. Titane (2021) di Julia Ducournau
In macchina, una bambina di nome Alexia e suo padre si dirigono da qualche parte, quando un grave incidente costringe la bambina a una delicata operazione chirurgica e, da quel momento, vivrà con una placca di titanio nella tempia. Anni dopo, Alexia è una ragazza violenta, con un padre totalmente assente, incapace di relazionarsi con gli altri, che lavora in uno strano night club dove si eseguono danze erotiche sopra le automobili.Titane è un’opera nuova, dove la violenza è il punto di partenza ossimorico per una riflessione completamente umana. La brutalità spasmodica della prima parte di film, paradossalmente, ci parla di un desiderio impellente di comunicare un sentimento, totalmente immaturo, ancora imbrigliato sotto un’epidermide di titanio. La deriva furiosa di Alexia verso l’inanimato è l’unica soluzione all’incomunicabilità col mondo. Il connubio amore-violenza che vive in Alexia crea l’ibrido uomo-macchina nel suo grembo. Ma per Julia Ducournau questo ibrido, questo figlio, inverte il senso della violenza generatrice, con una svolta ottimistica che stravolge la categorizzazione di genere horror. Ducournau fa così un salto rispetto al suo potentissimo film d’esordio Raw (2016), un’opera dove il dolore è ineluttabile, e l’ereditarietà matrilineare è la condizione che lo perpetua nel tempo. Titane ribalta questa riflessione, laddove la sofferenza è il punto di partenza disperato, e la discendenza da madre a prole diventa un messaggio radicale di speranza nel futuro. Il parto di una creatura aliena è l’urlo finale sconquassante contro un mondo nel quale la vera mostruosità è l’indifferenza.
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28 Maggio. Safe (1995) di Todd Haynes
Carol (Julianne Moore) è una casalinga dell’alta borghesia di Los Angeles che vive col marito e il figlio di lui. A un certo punto si ammala di una strana forma di allergia che le provoca forti attacchi di asma scatenati dagli elementi più svariati. Arriva al punto di doversi isolare in una sorta di clinica New Age. Così come nel successivo Lontano dal paradiso (2002), Todd Haynes si scaglia contro il perbenismo dell’alta società americana. Il titolo Safe, salvarsi, è il tentativo disperato di mettersi al sicuro dall’America che sta fuori, dove chi non riesce a stare al passo con la perfezione diviene un reietto. Le esalazioni ai quali vengono ascritti i mali della protagonista non sono altro che i veleni delle aspettative gigantesche che l’american dream ha creato nei suoi cittadini. Un fiele che monta e logora da dentro, fino al punto di venire fuori come un rivolo di sangue dal naso.
31 Maggio. La corruzione (1963) di Mauro Bolognini
Stefano è un giovane appena diplomato, che desidera prendere i voti e consacrare la sua vita a Dio. Il padre è un ricco imprenditore nel campo dell’editoria che si oppone al volere del figlio e spera di convincerlo a seguire le sue orme. Per fare questo escogita un piano, organizza una gita in barca invitando assieme a loro una ragazza.L’idea di questo film riporta alla mente la riflessione di Teorema (1968) di Pier Paolo Pasolini (non a caso sceneggiatore di diversi film di Bolognini), non solo nella bordata antiborghese, ma soprattutto nell’idea di un elemento profano che turba la quiete di un ambiente immobile nel suo sistema di valori. In Teorema l’elemento borghese, inteso come sistema di regole precostituite, è la famiglia. Ne La corruzione l’elemento borghese è la religione cattolica di Stefano, che lo ingabbia impedendogli di vivere serenamente il rapporto con Adriana. Dunque, in una lettura pasoliniana del film, il sacro al quale si appiglia Stefano manca del profano. È un sacro borghese, in quanto sottoposto ai precetti repressivi dell’istituzione Chiesa. Non è un sacro che libera, è un sacro che mortifica. E allora il profano/donna (così come il personaggio di Terence Stamp in Teorema) diventa la corruzione liberatoria dalla gabbia del cattolicesimo. Il protagonista arriverà a una vera e propria crisi nella strepitosa scena finale del ballo di gruppo. Una sequenza che diventa l’acme della corruzione nel mostrare quegli anni ‘60 prorompenti, che scardinano il passato e aprono a un nuovo modo di intendere la vita.
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