di Luca Romani
NC-314
20.06.2025
Esistono uomini destinati a diventare corpi, individui allevati dal rancore, atti alla sopravvivenza quanto inadatti alla vita. Il moto della terra è per definizione implacabile e con lui la società che lo denota, crudele nei confronti di chi non possiede le caratteristiche per riuscire a starne al passo. La cerchia dei sacrificabili, coloro mai toccati dalla divina luce del progresso, placidamente diviene sempre meno rilevante, fino a scomparire del tutto. Gli invisibili, ultimi tra gli ultimi, emarginati da tutto e tutti, privati di una voce per gridare. Sopravvivere comporta necessariamente la scoperta di una “via”, un modo per resistere nonostante tutto desideri cancellarti. La violenza riveste il ruolo di ancora di salvezza nel tempestoso mare della perdizione, ultimo appiglio per provare ad affermare sé stessi gravando su individui di caratura sociale ancor più instabile.
Lì dove l’occhio dei potenti non si posa, disagio e abbandono sono le due costanti, cocktail di sprezzante desolazione. Smarrimento, malattia mentale, retaggi patriarcali e diavoli di ogni accento acquistano forza sulle spalle, ancora una volta, degli ultimi. In questo contesto di desolante abbandono sociale, la morte delle virtù procede di pari passo con l’affermazione della più anarchica delle tirannie, il trionfo della follia sulla ragione. Tobe Hooper, regista di fama mondiale, credeva che il Texas rurale degli anni ’70 fosse il luogo perfetto per raccontare le brutali dinamiche dei luoghi abbandonati dallo stato americano, girando nel 1974 una pellicola immortale nella storia del genere horror: The Texas Chainsaw Massacre (Non aprite quella porta).
Il lungometraggio è intriso di uno spirito grottesco incredibilmente violento per l’epoca in cui è stato distribuito nelle sale, concreto spaccato degli inferi di un’America all’insegna dell’abbandono, esperienza concepita per torturare psicologicamente lo spettatore. Al fine di comprendere a pieno la denuncia sociale regina nell'opera maestra di Hooper, é necessario ripercorrere gli almanacchi cinematografici sino a un anno chiave per la svolta del genere horror, il 1968. Questa data funge da spartiacque nella storia della cinematografia contemporanea, per la prima volta la Settima Arte si serve di un film dell'orrore per scoccare una freccia avvelenata verso la società capitalistica statunitense. L’opera presa in causa è Night of the Living Dead (La notte dei morti viventi ) del colosso George Romero, capolavoro immortale che, tra i suoi infiniti pregi, scolpisce nella memoria collettiva l’estetica del non morto.
Tobe Hooper a lavoro sul set
Night of the Living Dead (La notte dei morti viventi, 1968)
Romero riesce nell’impresa (prima di allora incompiuta) di elevare una pellicola slasher a perla di inestimabile valore, convertendo la credenza popolare per cui l'eccessiva violenza mostrata nelle pellicole fosse sinonimo di disgustosa volgarità. Seguendo la scia solcata da Night of the Living Dead, Hooper si immola nell’ardua impresa di raccontare l’orrore in ogni sua possibile declinazione. Nel 1974, dopo infinite peripezie produttive, con un budget di appena 140.000 dollari, The Texas Chainsaw Massacre vede finalmente la luce, provocando un’onda d’urto che risuona tuttora immortale nella storia del cinema. Come spesso accade con le opere di assoluto valore, la pellicola viene aspramente criticata, definita artifizio per sfogare la follia di un regista senza alcuna velleità artistica.
Diverse sale cinematografiche prendono parte attiva per censurare il film di Hooper, creando un effetto contrario sul pubblico generalista. La completa cancellazione della pellicola dalle programmazioni nelle sale statunitensi ebbe l’effetto che accomuna tutte le privazioni. La privazione agisce in maniera subdola sulla psiche umana, creando un bisogno nella privazione stessa, implacabile meccanismo autoalimentante. Il fenomeno della censura crea un concreto mito nei confronti di The Texas Chainsaw Massacre, la testate giornalistiche dell’epoca ne parlano come “Il film più spaventoso degli ultimi anni”o “The Texas Chainsaw Massacre, l’inferno al cinema”. È così che, pochi mesi dopo suddetta censura, la pellicola dalla "fama infernale" torna nelle sale statunitensi, questa volta con ottimi risultati al botteghino.
L’opera sublima il concetto di violenza cinematografica, l’intera durata del lungometraggio è pervasa da una ferocia inedita, la genialità di Hooper risiede nella regia, volutamente di stampo documentaristico, provocando una completa immedesimazione da parte del pubblico. Il plot è estremamente semplice, due fratelli, Sally e Franklin (Marylin Burns, Paul A. Partain), decidono di tornare nella loro terra natia, in Texas, per accertarsi che i loro nonni siano seppelliti dignitosamente, poiché un folle ha dissotterrato dei cadaveri dal cimitero per comporre delle raccapriccianti sculture. I due fratelli sono in compagnia di amici, Jerry (Allen Danziger), Kirk (William Vail) e Pam (Teri McMinn). Purtroppo, la compagnia di amici si imbatterà nella famiglia di cannibali più iconograficamente impattante nella storia del cinema, quattro individui in balia delle loro follie più recondite.
In The Texas Chainsaw Massacre appare per la prima volta un villain leggendario, volto coperto da maschere in pelle umana, armato di motosega e martello, uomo dalla psiche minata da infinite turbe, incapace di comprendere la realtà tanto da crearne una immaginaria nel suo micromondo: Leatherface.
Il poster dell'uscita londinese di The Texas Chainsaw Massacre (Non aprite quella porta, 1974)
Italianizzato come Faccia di cuoio, Leatherface personifica la ferocia umana nella sua forma più ferina, martire e carnefice, vessato e massacratore. Analizzando profondamente il personaggio in questione si entra in simbiosi con l’idea di cinema di protesta portata avanti da Hooper. Leatherface è uno strumento di morte sviluppatosi attraverso anni di violenza e abusi, forgiato da un ambiente orrorifico così a lungo da diventare l’unica realtà concreta nel disagio più nero. In diversi momenti della pellicola Hooper sembra voler quasi empatizzare con Leatherface, poiché la sua spietata furia omicida è stata alimentata da una famiglia che troppo a lungo ha soppresso la compassione in favore della violenza.
Diverse linee di dialogo tra la figura genitoriale (interpretata da Jim Siedow) e “il cuoco”, fratello di Leatherface (Edwin Neal) mettono in risalto quanto diabolico risieda nella mentalità maschilista e patriarcale del padre, semplicemente chiamato “old man”. Le interazioni fra i tre elementi del nucleo (Leatherface, suo fratello e il “padre”) si caricano di pura essenza allegorica, trasformando un semplice dialogo attorno ad un tavolo in qualcosa di infinitamente più grande, il conflitto tra due generazioni impossibilitate a capirsi poiché una delle due parti (in questo caso il padre) teme la sconfitta del confronto. L’animo rivoluzionario del regista si nota durante la meravigliosa sequenza della “cena”. Il cuoco, anche lui vessato come suo fratello, si ribella all’ennesima molestia, accusando il padre di essere privo di forza di volontà, uomo che si è servito tutta la vita di terzi per uccidere poiché incapace.
Hooper si serve di una doppia allegoria per criticare il governo statunitense dell’epoca, impegnato nelle campagne militari in Vietnam. Se la morte stessa dei compagni di Sally simboleggia il massacro di giovani americani in un territorio ignoto, la critica di Hooper è più sottile e pungente. Nel dialogo tra il cuoco e suo padre, il regista utilizza la concretezza della situazione presente in scena (la volontà di uccidere Sally) per attaccare a spada tratta gli organi di potere americano, impegnati a reclutare senza sosta soldati, condannandoli alla morte in terra straniera. Nonostante la presenza su schermo molto ridotta, Leatherface è la vera colonna portante della mastodontica opera che The Texas Chainsaw Massacre rappresenta, Hooper riesce a impregnare la sua disturbante pellicola dello spirito del maniac Texano.
La "famiglia" protagonista dell'opera di Hooper
Faccia di cuoio è incapace di esprimersi a parole, geniale espediente provare a farlo comunicare, dimostrando come un barlume di coscienza risieda nell’uomo nonostante la gravità del suo stato mentale. Iconograficamente immortale, dall’impatto mozzafiato, la sequenza di chiusura della pellicola che ha come protagonista Faccia di cuoio. Hooper, con delle riprese che incideranno profondamente nella storia della settima arte, raffigura Leatherface nel suo stato più ferino, abbandonato ogni istinto umano, in preda alla sua follia più cieca. Inseguendo Sally, scappata dalla casa degli orrori della famiglia di cannibali, dimostra determinazione e furia omicida, per quanto il suo sgraziato corpo e le sue turbe glielo permettano.
Una volta preso coscienza che la giovane è ormai irraggiungibile, si abbandona completamente agli impulsi che lo controllano, danzando un walzer mortale con la motosega ancora funzionante ben salda nelle mani. La maestria di Hooper risiede nel mostrare per circa dieci secondi la disperazione e lo strazio di Faccia di cuoio. Il comparto sonoro fa da padrone nella scena, il volume della motosega impugnata da Leatherface è volutamente più alto del normale, disturbante, roboante canto di mefisti senza volto. Lo spettatore viene assorbito dalla danza e ferito dall’assordante rumore della motosega, grido disperato di un uomo condannato a diventare fiera da un mondo che lo ha sempre considerato tale.
L’autore attraverso l’orrore, il cannibalismo, la violenza più efferata e la brutalità dei personaggi vuole raccontare l’America degli ultimi, abbandonati da tutto e tutti, poetica simil – Carpenteriana. Tobe Hooper con The Texas Chainsaw Massacre continua a scioccare il mondo, costringendo lo spettatore a immergersi in un oceano di massacro e terrore, osservando ciò che di solito si preferisce lasciare nell’ombra.
Dietro le quinte dell'ultima sequenza di The Texas Chainsaw Massacre (Non aprite quella porta)
di Luca Romani
NC-314
20.06.2025
Tobe Hooper a lavoro sul set
Esistono uomini destinati a diventare corpi, individui allevati dal rancore, atti alla sopravvivenza quanto inadatti alla vita. Il moto della terra è per definizione implacabile e con lui la società che lo denota, crudele nei confronti di chi non possiede le caratteristiche per riuscire a starne al passo. La cerchia dei sacrificabili, coloro mai toccati dalla divina luce del progresso, placidamente diviene sempre meno rilevante, fino a scomparire del tutto. Gli invisibili, ultimi tra gli ultimi, emarginati da tutto e tutti, privati di una voce per gridare. Sopravvivere comporta necessariamente la scoperta di una “via”, un modo per resistere nonostante tutto desideri cancellarti. La violenza riveste il ruolo di ancora di salvezza nel tempestoso mare della perdizione, ultimo appiglio per provare ad affermare sé stessi gravando su individui di caratura sociale ancor più instabile.
Lì dove l’occhio dei potenti non si posa, disagio e abbandono sono le due costanti, cocktail di sprezzante desolazione. Smarrimento, malattia mentale, retaggi patriarcali e diavoli di ogni accento acquistano forza sulle spalle, ancora una volta, degli ultimi. In questo contesto di desolante abbandono sociale, la morte delle virtù procede di pari passo con l’affermazione della più anarchica delle tirannie, il trionfo della follia sulla ragione. Tobe Hooper, regista di fama mondiale, credeva che il Texas rurale degli anni ’70 fosse il luogo perfetto per raccontare le brutali dinamiche dei luoghi abbandonati dallo stato americano, girando nel 1974 una pellicola immortale nella storia del genere horror: The Texas Chainsaw Massacre (Non aprite quella porta).
Il lungometraggio è intriso di uno spirito grottesco incredibilmente violento per l’epoca in cui è stato distribuito nelle sale, concreto spaccato degli inferi di un’America all’insegna dell’abbandono, esperienza concepita per torturare psicologicamente lo spettatore. Al fine di comprendere a pieno la denuncia sociale regina nell'opera maestra di Hooper, é necessario ripercorrere gli almanacchi cinematografici sino a un anno chiave per la svolta del genere horror, il 1968. Questa data funge da spartiacque nella storia della cinematografia contemporanea, per la prima volta la Settima Arte si serve di un film dell'orrore per scoccare una freccia avvelenata verso la società capitalistica statunitense. L’opera presa in causa è Night of the Living Dead (La notte dei morti viventi ) del colosso George Romero, capolavoro immortale che, tra i suoi infiniti pregi, scolpisce nella memoria collettiva l’estetica del non morto.
Night of the Living Dead (La notte dei morti viventi, 1968)
Romero riesce nell’impresa (prima di allora incompiuta) di elevare una pellicola slasher a perla di inestimabile valore, convertendo la credenza popolare per cui l'eccessiva violenza mostrata nelle pellicole fosse sinonimo di disgustosa volgarità. Seguendo la scia solcata da Night of the Living Dead, Hooper si immola nell’ardua impresa di raccontare l’orrore in ogni sua possibile declinazione. Nel 1974, dopo infinite peripezie produttive, con un budget di appena 140.000 dollari, The Texas Chainsaw Massacre vede finalmente la luce, provocando un’onda d’urto che risuona tuttora immortale nella storia del cinema. Come spesso accade con le opere di assoluto valore, la pellicola viene aspramente criticata, definita artifizio per sfogare la follia di un regista senza alcuna velleità artistica.
Diverse sale cinematografiche prendono parte attiva per censurare il film di Hooper, creando un effetto contrario sul pubblico generalista. La completa cancellazione della pellicola dalle programmazioni nelle sale statunitensi ebbe l’effetto che accomuna tutte le privazioni. La privazione agisce in maniera subdola sulla psiche umana, creando un bisogno nella privazione stessa, implacabile meccanismo autoalimentante. Il fenomeno della censura crea un concreto mito nei confronti di The Texas Chainsaw Massacre, la testate giornalistiche dell’epoca ne parlano come “Il film più spaventoso degli ultimi anni”o “The Texas Chainsaw Massacre, l’inferno al cinema”. È così che, pochi mesi dopo suddetta censura, la pellicola dalla "fama infernale" torna nelle sale statunitensi, questa volta con ottimi risultati al botteghino.
L’opera sublima il concetto di violenza cinematografica, l’intera durata del lungometraggio è pervasa da una ferocia inedita, la genialità di Hooper risiede nella regia, volutamente di stampo documentaristico, provocando una completa immedesimazione da parte del pubblico. Il plot è estremamente semplice, due fratelli, Sally e Franklin (Marylin Burns, Paul A. Partain), decidono di tornare nella loro terra natia, in Texas, per accertarsi che i loro nonni siano seppelliti dignitosamente, poiché un folle ha dissotterrato dei cadaveri dal cimitero per comporre delle raccapriccianti sculture. I due fratelli sono in compagnia di amici, Jerry (Allen Danziger), Kirk (William Vail) e Pam (Teri McMinn). Purtroppo, la compagnia di amici si imbatterà nella famiglia di cannibali più iconograficamente impattante nella storia del cinema, quattro individui in balia delle loro follie più recondite.
In The Texas Chainsaw Massacre appare per la prima volta un villain leggendario, volto coperto da maschere in pelle umana, armato di motosega e martello, uomo dalla psiche minata da infinite turbe, incapace di comprendere la realtà tanto da crearne una immaginaria nel suo micromondo: Leatherface.
Il poster dell'uscita londinese di The Texas Chainsaw Massacre (Non aprite quella porta, 1974)
Italianizzato come Faccia di cuoio, Leatherface personifica la ferocia umana nella sua forma più ferina, martire e carnefice, vessato e massacratore. Analizzando profondamente il personaggio in questione si entra in simbiosi con l’idea di cinema di protesta portata avanti da Hooper. Leatherface è uno strumento di morte sviluppatosi attraverso anni di violenza e abusi, forgiato da un ambiente orrorifico così a lungo da diventare l’unica realtà concreta nel disagio più nero. In diversi momenti della pellicola Hooper sembra voler quasi empatizzare con Leatherface, poiché la sua spietata furia omicida è stata alimentata da una famiglia che troppo a lungo ha soppresso la compassione in favore della violenza.
Diverse linee di dialogo tra la figura genitoriale (interpretata da Jim Siedow) e “il cuoco”, fratello di Leatherface (Edwin Neal) mettono in risalto quanto diabolico risieda nella mentalità maschilista e patriarcale del padre, semplicemente chiamato “old man”. Le interazioni fra i tre elementi del nucleo (Leatherface, suo fratello e il “padre”) si caricano di pura essenza allegorica, trasformando un semplice dialogo attorno ad un tavolo in qualcosa di infinitamente più grande, il conflitto tra due generazioni impossibilitate a capirsi poiché una delle due parti (in questo caso il padre) teme la sconfitta del confronto. L’animo rivoluzionario del regista si nota durante la meravigliosa sequenza della “cena”. Il cuoco, anche lui vessato come suo fratello, si ribella all’ennesima molestia, accusando il padre di essere privo di forza di volontà, uomo che si è servito tutta la vita di terzi per uccidere poiché incapace.
Hooper si serve di una doppia allegoria per criticare il governo statunitense dell’epoca, impegnato nelle campagne militari in Vietnam. Se la morte stessa dei compagni di Sally simboleggia il massacro di giovani americani in un territorio ignoto, la critica di Hooper è più sottile e pungente. Nel dialogo tra il cuoco e suo padre, il regista utilizza la concretezza della situazione presente in scena (la volontà di uccidere Sally) per attaccare a spada tratta gli organi di potere americano, impegnati a reclutare senza sosta soldati, condannandoli alla morte in terra straniera. Nonostante la presenza su schermo molto ridotta, Leatherface è la vera colonna portante della mastodontica opera che The Texas Chainsaw Massacre rappresenta, Hooper riesce a impregnare la sua disturbante pellicola dello spirito del maniac Texano.
La "famiglia" protagonista dell'opera di Hooper
Faccia di cuoio è incapace di esprimersi a parole, geniale espediente provare a farlo comunicare, dimostrando come un barlume di coscienza risieda nell’uomo nonostante la gravità del suo stato mentale. Iconograficamente immortale, dall’impatto mozzafiato, la sequenza di chiusura della pellicola che ha come protagonista Faccia di cuoio. Hooper, con delle riprese che incideranno profondamente nella storia della settima arte, raffigura Leatherface nel suo stato più ferino, abbandonato ogni istinto umano, in preda alla sua follia più cieca. Inseguendo Sally, scappata dalla casa degli orrori della famiglia di cannibali, dimostra determinazione e furia omicida, per quanto il suo sgraziato corpo e le sue turbe glielo permettano.
Una volta preso coscienza che la giovane è ormai irraggiungibile, si abbandona completamente agli impulsi che lo controllano, danzando un walzer mortale con la motosega ancora funzionante ben salda nelle mani. La maestria di Hooper risiede nel mostrare per circa dieci secondi la disperazione e lo strazio di Faccia di cuoio. Il comparto sonoro fa da padrone nella scena, il volume della motosega impugnata da Leatherface è volutamente più alto del normale, disturbante, roboante canto di mefisti senza volto. Lo spettatore viene assorbito dalla danza e ferito dall’assordante rumore della motosega, grido disperato di un uomo condannato a diventare fiera da un mondo che lo ha sempre considerato tale.
L’autore attraverso l’orrore, il cannibalismo, la violenza più efferata e la brutalità dei personaggi vuole raccontare l’America degli ultimi, abbandonati da tutto e tutti, poetica simil – Carpenteriana. Tobe Hooper con The Texas Chainsaw Massacre continua a scioccare il mondo, costringendo lo spettatore a immergersi in un oceano di massacro e terrore, osservando ciò che di solito si preferisce lasciare nell’ombra.
Dietro le quinte dell'ultima sequenza di The Texas Chainsaw Massacre (Non aprite quella porta)