Il Prometeo della modernità,
recensione di Cecilia Parini
RV-25
26.08.2023
In un mondo che sembra tornare al periodo della Guerra Fredda, dove America e Russia dividono il pianeta, Christopher Nolan porta in sala la storia (se non proprio il mito) di J. Robert Oppenheimer, il “Prometeo” americano che, tramite la fisica, portò la “folgore divina” agli umani venendo per questo punito.
Con il suo dodicesimo lungometraggio Nolan firma la sua prima biografia (e secondo film storico), ispirandosi al romanzo scritto da Kai Bird e Martin J. Sherwin (Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica. Il trionfo e la tragedia di uno scienziato) che paragona il grande fisico alla figura di Prometeo. Richiamando l’eroe del mito greco, anche Oppenheimer vivrà sulla propria pelle la gloria, ma anche il tormento, per le conseguenze del proprio gesto.
Come in tutti i suoi film il regista si diverte a giocare col tempo, in 180 minuti lo spettatore si ritrova testimone di tre diversi archi temporali che mostrano la nascita, e la caduta, dell’eroe moderno in ogni suo aspetto. Nel primo osserviamo il passato di Oppenheimer, comprendendo come il celebre fisico sia stato messo a capo del progetto Manhattan per la creazione della bomba atomica, mentre nel secondo entriamo in contatto con “l’antagonista” dello scienziato, il politico Lewis Strauss (interpretato da un magistrale Robert Downey Jr.), sotto esame al senato degli Stati Uniti per essere confermato come membro del gabinetto sotto la presidenza di Eisenhower. Infine vi è l’arco narrativo che descrive l’inchiesta che si tenne, nel 1954, ai danni di Oppenheimer. Le tre linee temporali si susseguono finendo quasi per aggregarsi in un unicum. L’unico segmento che si distacca realmente dagli altri è quello che vede protagonista Strauss. Anche in questo caso Nolan gioca con la percezione del pubblico prendendo la decisione di girare le sequenze in bianco e nero. Questo elemento, che solitamente viene associato al passato o adoperato per sottolineare episodi avvenuti prima dei fatti protagonisti della storia, viene ribaltato dal cineasta mostrando esattamente il contrario, poiché il processo davanti al senato di Strauss si svolse anni dopo la caduta dell’atomica e in piena guerra fredda.
Altro elemento assolutamente centrale della pellicola è la musica creata da Ludwig Göransson, compositore svedese che aveva già collaborato col regista nel 2020 per Tenet. Presente in quasi tutto il film, la colonna sonora è martellante, viva, in certi momenti quasi epica, per poi diventare un suono inquietante, quasi a segnalare un continuo pericolo. Come in altri lungometraggi del cineasta britannico, lo scopo della musica non è solo quello di fare da “tappetino” alle immagini creando la giusta atmosfera, ma di portare lo spettatore a vivere dentro la mente di Oppenheimer, a comprenderne meglio le paure, i dubbi, le angosce ma anche le intuizione e le gioie. Nolan e Göransson, riescono però a far tesoro anche del silenzio, ed è proprio nel momento in cui ormai la musica è una presenza costante, e si dà per scontato che nella scena madre raggiungerà il suo culmine, come a voler creare “un’esplosione” di suoni, che all’improvviso tutto tace, lasciando chiunque senza fiato.
Se nel suo primo film storico, Dunkirk (2017), Nolan ci catapulta in prima linea sul fronte mettendoci davanti alla natura dell’uomo, che da una parte pensa a salvare se stesso, ma che infine si unisce agli altri creando una squadra, in Oppenheimer, invece, mette in scena le relazioni umane come fossero fisica. Ricordando la struttura dell’atomo, dove gli elettroni ruotano attorno a un nucleo, il regista costruisce un cast di talenti che entra ed esce dalla scena in funzione di Oppenheimer. Ogni personaggio, infatti, anche se con apparizioni brevi o che a volte sembrano “occasioni sprecate”, collabora in realtà nel creare un coro di voci che sostiene magistralmente il protagonista Cillian Murphy, come avviene nelle migliori tragedie greche (altro rimando al mito).
Christopher Nolan mette in scena un’opera che segue le regole della scienza e che mostra la fragilità, e la follia, di un’umanità che rischia di uccidere se stessa per paura dell’altro. Come Prometeo, anche Oppenheimer deriva non tanto da un’entità superiore o dai suoi simili, quanto più dalla consapevolezza che non sempre il progresso scientifico genera il bene, ma rischia, invece, di scatenare una reazione di violenza e paura senza fine.
Il Prometeo della modernità,
recensione di Cecilia Parini
RV-25
26.08.2023
In un mondo che sembra tornare al periodo della Guerra Fredda, dove America e Russia dividono il pianeta, Christopher Nolan porta in sala la storia (se non proprio il mito) di J. Robert Oppenheimer, il “Prometeo” americano che, tramite la fisica, portò la “folgore divina” agli umani venendo per questo punito.
Con il suo dodicesimo lungometraggio Nolan firma la sua prima biografia (e secondo film storico), ispirandosi al romanzo scritto da Kai Bird e Martin J. Sherwin (Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica. Il trionfo e la tragedia di uno scienziato) che paragona il grande fisico alla figura di Prometeo. Richiamando l’eroe del mito greco, anche Oppenheimer vivrà sulla propria pelle la gloria, ma anche il tormento, per le conseguenze del proprio gesto.
Come in tutti i suoi film il regista si diverte a giocare col tempo, in 180 minuti lo spettatore si ritrova testimone di tre diversi archi temporali che mostrano la nascita, e la caduta, dell’eroe moderno in ogni suo aspetto. Nel primo osserviamo il passato di Oppenheimer, comprendendo come il celebre fisico sia stato messo a capo del progetto Manhattan per la creazione della bomba atomica, mentre nel secondo entriamo in contatto con “l’antagonista” dello scienziato, il politico Lewis Strauss (interpretato da un magistrale Robert Downey Jr.), sotto esame al senato degli Stati Uniti per essere confermato come membro del gabinetto sotto la presidenza di Eisenhower. Infine vi è l’arco narrativo che descrive l’inchiesta che si tenne, nel 1954, ai danni di Oppenheimer. Le tre linee temporali si susseguono finendo quasi per aggregarsi in un unicum. L’unico segmento che si distacca realmente dagli altri è quello che vede protagonista Strauss. Anche in questo caso Nolan gioca con la percezione del pubblico prendendo la decisione di girare le sequenze in bianco e nero. Questo elemento, che solitamente viene associato al passato o adoperato per sottolineare episodi avvenuti prima dei fatti protagonisti della storia, viene ribaltato dal cineasta mostrando esattamente il contrario, poiché il processo davanti al senato di Strauss si svolse anni dopo la caduta dell’atomica e in piena guerra fredda.
Altro elemento assolutamente centrale della pellicola è la musica creata da Ludwig Göransson, compositore svedese che aveva già collaborato col regista nel 2020 per Tenet. Presente in quasi tutto il film, la colonna sonora è martellante, viva, in certi momenti quasi epica, per poi diventare un suono inquietante, quasi a segnalare un continuo pericolo. Come in altri lungometraggi del cineasta britannico, lo scopo della musica non è solo quello di fare da “tappetino” alle immagini creando la giusta atmosfera, ma di portare lo spettatore a vivere dentro la mente di Oppenheimer, a comprenderne meglio le paure, i dubbi, le angosce ma anche le intuizione e le gioie. Nolan e Göransson, riescono però a far tesoro anche del silenzio, ed è proprio nel momento in cui ormai la musica è una presenza costante, e si dà per scontato che nella scena madre raggiungerà il suo culmine, come a voler creare “un’esplosione” di suoni, che all’improvviso tutto tace, lasciando chiunque senza fiato.
Se nel suo primo film storico, Dunkirk (2017), Nolan ci catapulta in prima linea sul fronte mettendoci davanti alla natura dell’uomo, che da una parte pensa a salvare se stesso, ma che infine si unisce agli altri creando una squadra, in Oppenheimer, invece, mette in scena le relazioni umane come fossero fisica. Ricordando la struttura dell’atomo, dove gli elettroni ruotano attorno a un nucleo, il regista costruisce un cast di talenti che entra ed esce dalla scena in funzione di Oppenheimer. Ogni personaggio, infatti, anche se con apparizioni brevi o che a volte sembrano “occasioni sprecate”, collabora in realtà nel creare un coro di voci che sostiene magistralmente il protagonista Cillian Murphy, come avviene nelle migliori tragedie greche (altro rimando al mito).
Christopher Nolan mette in scena un’opera che segue le regole della scienza e che mostra la fragilità, e la follia, di un’umanità che rischia di uccidere se stessa per paura dell’altro. Come Prometeo, anche Oppenheimer deriva non tanto da un’entità superiore o dai suoi simili, quanto più dalla consapevolezza che non sempre il progresso scientifico genera il bene, ma rischia, invece, di scatenare una reazione di violenza e paura senza fine.