Riflessi di un amore
recensione di Maurizio Encari
RV-109
12.06.2025
Ognuno di noi è l'attore protagonista del film della propria vita, e proprio su questa (sur)reale premessa si basa Volveréis, una produzione spagnola che gioca sul confine tra realtà e finzione. Un confine più concettuale che effettivo, in quanto la vicenda è - sempre e comunque - basata su uno script ben preciso, senza approcci documentaristici o virtù sociologiche di sorta. Volveréis, fin dai primi minuti, ha il coraggio di mettere in chiaro le cose allo spettatore, il quale però dovrà attendere ancora un po' per comprendere appieno la cifra stilistica di un racconto che sfrutta l'arte mistificatoria del cinema a suo piacimento.
Una discussione a letto tra i due protagonisti, che riflettono su come la loro decisione di organizzare una grande festa per la loro separazione potrebbe funzionare soltanto su pellicola. Quattordici anni è durato il legame tra Ale e Alex, ora destinato a infrangersi sotto la scure di un tempo che non è stato forse magnanimo nei loro confronti e che li ha avvolti nell'apatia, senza nemmeno la gioia di un figlio a saldare ulteriormente la loro unione. Certamente il fatto che lei sia regista e lui attore è già un campanello d'allarme, e il pubblico comincia a prevedere la sua prossima posizione di “ingannato speciale”, trascinato sempre più a fondo in questa ronda di eventi che diventano ben presto passaggi da (dis)sezionare in sala di montaggio, mentre la barriera tra quei due mondi continua a mescolarsi sempre più. Le chiamate agli amici storici per annunciare quella rottura inaspettata e il relativo party per celebrarla, i dialoghi con parenti e genitori, le uscite al ristorante per informare chi ancora fosse rimasto all'oscuro: la sceneggiatura opta per soluzioni semplici e quotidiane, popolandosi di personaggi amabili e credibili, trasformando la storia dei due innamorati che furono in un'ode alla semplicità delle piccole cose.
Non è un caso che a un certo punto - indichiamo come parziale SPOILER, anche se va detto è la stessa locandina italiana ad annunciarne il crossover - Ale faccia visita al set della popolarissima serie di Dieci capodanni (se non l'avete ancora vista, fatevi del bene: è disponibile su RaiPlay), in quanto covante un'amicizia con l'attore al centro della love-story di Rodrigo Sorogoyen. Ennesimo incrocio tra ciò che è e ciò che non è, atto a suggellare similitudini e sussulti emotivi che crescono con lo scorrere dei minuti, mentre l'amore è destinato a un tramonto sempre più tardivo.
Split screen e tentativi di infrangere la quarta parete da parte del regista, figlio d'arte, Jonás Trueba che per l'occasione recluta anche suo padre Fernando nelle vesti del genitore di Ale. In una sceneggiatura che lo ha visto collaborare direttamente con le due principali star, Vito Sanz e Itsaso Arana: lei soprattutto adorabile anche nei passaggi potenzialmente più controversi, riflessi(vi) in ogni caso di quella generale atmosfera di sospensione e attesa che circonda l'intero progetto. Perché come gli stessi dialoghi ci suggeriscono ci troviamo di fronte a un film circolare, che proietta aspettative e speranze su quel giorno tanto atteso, summa di un percorso che lo spettatore si trova a percorrere fianco a fianco con queste anime scopertesi forse non più gemelle ma nemmeno erranti, con il distacco sempre e comunque trattenuto da ferite che riprovano a rimarginarsi.
Un film garbato e privo di volgarità, con uno script che (ri)mette sempre tutto in discussione - incluso se stesso - ponendosi domande e interrogativi che sanno interpretare gli umori di chi guarda, pronto a seconda dell'occasione a identificarsi in Lui o in Lei, alfieri di emozioni e sensazioni capaci di intercettare un range eterogeneo, mostrando carattere e personalità proprio nel raccontare situazioni comuni. Situazioni in ogni caso filtrate attraverso lo sguardo della macchina da presa, che ci ricorda sempre e comunque di essere li, deus ex machina onnisciente che tutto orchestra.
.Volveréis è un'opera che flirta con capisaldi e miti della Settima Arte, con le carte dei tarocchi che ritraggono immagini dai capolavori di Ingmar Bergman e filmati di repertorio che mostrano una gita al cimitero francese di Montmartre alla spasmodica ricerca della tomba di François Truffaut. Scelte smaliziate e chiaramente indirizzate alla platea cinefila, che non appesantiscono ma anzi impreziosiscono una narrazione alla portata di tutti, semplice e stratificata a contempo. Che sa sublimare emozioni universali con una leggera raffinatezza, ideale trait d'union tra un cinema più commerciale e uno sguardo d'autore, in un delicato equilibrio che trova sunto ideale in quei titoli di coda, dove gli occhi del cast osservano gioiosi, rivolti verso quel palco rivelatore, luogo simbolo del passaggio così tanto sospirato.
Riflessi di un amore
recensione di Maurizio Encari
RV-109
12.06.2025
Ognuno di noi è l'attore protagonista del film della propria vita, e proprio su questa (sur)reale premessa si basa Volveréis, una produzione spagnola che gioca sul confine tra realtà e finzione. Un confine più concettuale che effettivo, in quanto la vicenda è - sempre e comunque - basata su uno script ben preciso, senza approcci documentaristici o virtù sociologiche di sorta. Volveréis, fin dai primi minuti, ha il coraggio di mettere in chiaro le cose allo spettatore, il quale però dovrà attendere ancora un po' per comprendere appieno la cifra stilistica di un racconto che sfrutta l'arte mistificatoria del cinema a suo piacimento.
Una discussione a letto tra i due protagonisti, che riflettono su come la loro decisione di organizzare una grande festa per la loro separazione potrebbe funzionare soltanto su pellicola. Quattordici anni è durato il legame tra Ale e Alex, ora destinato a infrangersi sotto la scure di un tempo che non è stato forse magnanimo nei loro confronti e che li ha avvolti nell'apatia, senza nemmeno la gioia di un figlio a saldare ulteriormente la loro unione. Certamente il fatto che lei sia regista e lui attore è già un campanello d'allarme, e il pubblico comincia a prevedere la sua prossima posizione di “ingannato speciale”, trascinato sempre più a fondo in questa ronda di eventi che diventano ben presto passaggi da (dis)sezionare in sala di montaggio, mentre la barriera tra quei due mondi continua a mescolarsi sempre più. Le chiamate agli amici storici per annunciare quella rottura inaspettata e il relativo party per celebrarla, i dialoghi con parenti e genitori, le uscite al ristorante per informare chi ancora fosse rimasto all'oscuro: la sceneggiatura opta per soluzioni semplici e quotidiane, popolandosi di personaggi amabili e credibili, trasformando la storia dei due innamorati che furono in un'ode alla semplicità delle piccole cose.
Non è un caso che a un certo punto - indichiamo come parziale SPOILER, anche se va detto è la stessa locandina italiana ad annunciarne il crossover - Ale faccia visita al set della popolarissima serie di Dieci capodanni (se non l'avete ancora vista, fatevi del bene: è disponibile su RaiPlay), in quanto covante un'amicizia con l'attore al centro della love-story di Rodrigo Sorogoyen. Ennesimo incrocio tra ciò che è e ciò che non è, atto a suggellare similitudini e sussulti emotivi che crescono con lo scorrere dei minuti, mentre l'amore è destinato a un tramonto sempre più tardivo.
Split screen e tentativi di infrangere la quarta parete da parte del regista, figlio d'arte, Jonás Trueba che per l'occasione recluta anche suo padre Fernando nelle vesti del genitore di Ale. In una sceneggiatura che lo ha visto collaborare direttamente con le due principali star, Vito Sanz e Itsaso Arana: lei soprattutto adorabile anche nei passaggi potenzialmente più controversi, riflessi(vi) in ogni caso di quella generale atmosfera di sospensione e attesa che circonda l'intero progetto. Perché come gli stessi dialoghi ci suggeriscono ci troviamo di fronte a un film circolare, che proietta aspettative e speranze su quel giorno tanto atteso, summa di un percorso che lo spettatore si trova a percorrere fianco a fianco con queste anime scopertesi forse non più gemelle ma nemmeno erranti, con il distacco sempre e comunque trattenuto da ferite che riprovano a rimarginarsi.
Un film garbato e privo di volgarità, con uno script che (ri)mette sempre tutto in discussione - incluso se stesso - ponendosi domande e interrogativi che sanno interpretare gli umori di chi guarda, pronto a seconda dell'occasione a identificarsi in Lui o in Lei, alfieri di emozioni e sensazioni capaci di intercettare un range eterogeneo, mostrando carattere e personalità proprio nel raccontare situazioni comuni. Situazioni in ogni caso filtrate attraverso lo sguardo della macchina da presa, che ci ricorda sempre e comunque di essere li, deus ex machina onnisciente che tutto orchestra.
.Volveréis è un'opera che flirta con capisaldi e miti della Settima Arte, con le carte dei tarocchi che ritraggono immagini dai capolavori di Ingmar Bergman e filmati di repertorio che mostrano una gita al cimitero francese di Montmartre alla spasmodica ricerca della tomba di François Truffaut. Scelte smaliziate e chiaramente indirizzate alla platea cinefila, che non appesantiscono ma anzi impreziosiscono una narrazione alla portata di tutti, semplice e stratificata a contempo. Che sa sublimare emozioni universali con una leggera raffinatezza, ideale trait d'union tra un cinema più commerciale e uno sguardo d'autore, in un delicato equilibrio che trova sunto ideale in quei titoli di coda, dove gli occhi del cast osservano gioiosi, rivolti verso quel palco rivelatore, luogo simbolo del passaggio così tanto sospirato.