NC-111
02.05.2022
Christopher Doyle è nato oggi, 70 anni fa. Direttore della fotografia australiano, è conosciuto in tutto il mondo soprattutto, ma non solo, per la sua collaborazione con importanti registi cinesi, tra tutti Wong Kar-Wai di cui ha firmato ben 7 film.
Il suo amore per l’Asia e in particolare per Hong Kong l’ha portato a trascorrere in quelle terre la maggior parte della sua vita e a sviluppare lì la sua carriera artistica. Dopo aver lasciato l’Australia e aver fatto dei lavori casuali in giro per il mondo, come il trivellatore in India e l’allevatore di mucche in Israele, arriva infatti in territorio cinese e non lo lascia più. Per questo parla perfettamente il mandarino – 杜可風 Dù Kěfēng è il suo nome in quella lingua che significa “come il vento” – e il cantonese. Non ha mai studiato cinematografia e, pur mantenendo uno stile riconoscibile, preferisce non seguire un metodo prestabilito nei suoi lavori. Grazie al suo occhio attento e alla sua sensibilità artistica innata riesce a dare vita a dei movimenti di macchina e a dei cromatismi fotografici bizzarri (spesso vicini alla videoarte) in grado di adeguarsi perfettamente alla scena e allo stato emotivo dei personaggi.
Un esempio lampante del suo estro creativo privo di schemi e libero da procedure classiche nella messa in luce di un film è stata la fotografia per il film Psycho nel 1998 di Gus Van Sant (una delle poche collaborazioni che Doyle ha accettato di avere con la cinematografia americana, rinnovatasi un paio di anni fa per la campagna di Gucci girata a Roma voluta da Alessandro Michele). Pur essendo un remake shot-for-shot dello Psycho hitchcockiano del 1960, il maestro non aveva mai visto l’originale e il risultato è per questo straordinario. D’altronde non è un caso isolato: spesso infatti durante la sua carriera Doyle non ha letto a fondo le sceneggiature dei film ai quali ha lavorato, limitandosi solo a una scrematura veloce e affidandosi al suo istinto e alla sua ispirazione sul set.
Oltre a questo ultimo raro caso, Doyle ha sempre rifiutato di lavorare a Hollywood, definendola un’industria antiquata e pigra. Per lui il futuro, la creatività e l’originalità sono in Asia. Un luogo al quale si sente estremamente legato, tanto da partecipare alla sua vita politica come attivista. Dopo aver collaborato con l’artista Ai Weiwei, nel 2014 dirige infatti Hong Kong Trilogy: Preschooled Preoccupied Preposterous, un ritratto d’avanguardia dei moderni hongkonghesi in 3 generazioni: bambini, adulti e anziani.
Per girare questo film Doyle ha utilizzato uno stile diverso dal passato, uno stile che lui stesso ha definito realidada, in cui documentario e finzione si incontrano per restituire con un flusso narrativo libero, capace di rappresentare a pieno la vita e la sua assurdità, la prospettiva sincera delle persone che parlano. Il film si sviluppa principalmente tramite frame molto curati ma allo stesso tempo insoliti, come se la macchina inseguisse di nascosto le persone che poi sentiamo parlare in voice over, mentre le vediamo nella loro vita quotidiana. Il progetto, nato come un corto crowd-funded, si è poi sviluppato in modo da rappresentare l’amore provato da Doyle per Hong Kong. Un’opera intima e coraggiosa che riprende con decisione anche le celebri proteste della Rivoluzione degli ombrelli in cui i manifestanti chiesero a gran voce il suffragio universale.
Questo film non è stata comunque la prima volta che Doyle si è cimentato dietro la macchina da presa come regista. Nel 2006 prese parte a un film collettivo dal nome Paris, je t’aime presentato a Cannes nello stesso anno. Il film, ancora inedito in Italia, è formato da 18 episodi di circa 5 minuti ognuno, ciascuno dei quali diretto da un regista (noto) diverso e con un cast davvero molto ricco. Il tema è quello dell’amore e si ambienta in tutti i quartieri della capitale francese. A Christopher toccò Porte de Choisy (XIII arrondissement), in cui un rivenditore di prodotti estetici tenta di vendere la sua merce a un salone della locale Chinatown e incontra una donna cinese molto tosta… sarà un caso che abbia scelto proprio un’ambientazione cinese?
NC-111
02.05.2022
Christopher Doyle è nato oggi, 70 anni fa. Direttore della fotografia australiano, è conosciuto in tutto il mondo soprattutto, ma non solo, per la sua collaborazione con importanti registi cinesi, tra tutti Wong Kar-Wai di cui ha firmato ben 7 film.
Il suo amore per l’Asia e in particolare per Hong Kong l’ha portato a trascorrere in quelle terre la maggior parte della sua vita e a sviluppare lì la sua carriera artistica. Dopo aver lasciato l’Australia e aver fatto dei lavori casuali in giro per il mondo, come il trivellatore in India e l’allevatore di mucche in Israele, arriva infatti in territorio cinese e non lo lascia più. Per questo parla perfettamente il mandarino – 杜可風 Dù Kěfēng è il suo nome in quella lingua che significa “come il vento” – e il cantonese. Non ha mai studiato cinematografia e, pur mantenendo uno stile riconoscibile, preferisce non seguire un metodo prestabilito nei suoi lavori. Grazie al suo occhio attento e alla sua sensibilità artistica innata riesce a dare vita a dei movimenti di macchina e a dei cromatismi fotografici bizzarri (spesso vicini alla videoarte) in grado di adeguarsi perfettamente alla scena e allo stato emotivo dei personaggi.
Un esempio lampante del suo estro creativo privo di schemi e libero da procedure classiche nella messa in luce di un film è stata la fotografia per il film Psycho nel 1998 di Gus Van Sant (una delle poche collaborazioni che Doyle ha accettato di avere con la cinematografia americana, rinnovatasi un paio di anni fa per la campagna di Gucci girata a Roma voluta da Alessandro Michele). Pur essendo un remake shot-for-shot dello Psycho hitchcockiano del 1960, il maestro non aveva mai visto l’originale e il risultato è per questo straordinario. D’altronde non è un caso isolato: spesso infatti durante la sua carriera Doyle non ha letto a fondo le sceneggiature dei film ai quali ha lavorato, limitandosi solo a una scrematura veloce e affidandosi al suo istinto e alla sua ispirazione sul set.
Oltre a questo ultimo raro caso, Doyle ha sempre rifiutato di lavorare a Hollywood, definendola un’industria antiquata e pigra. Per lui il futuro, la creatività e l’originalità sono in Asia. Un luogo al quale si sente estremamente legato, tanto da partecipare alla sua vita politica come attivista. Dopo aver collaborato con l’artista Ai Weiwei, nel 2014 dirige infatti Hong Kong Trilogy: Preschooled Preoccupied Preposterous, un ritratto d’avanguardia dei moderni hongkonghesi in 3 generazioni: bambini, adulti e anziani.
Per girare questo film Doyle ha utilizzato uno stile diverso dal passato, uno stile che lui stesso ha definito realidada, in cui documentario e finzione si incontrano per restituire con un flusso narrativo libero, capace di rappresentare a pieno la vita e la sua assurdità, la prospettiva sincera delle persone che parlano. Il film si sviluppa principalmente tramite frame molto curati ma allo stesso tempo insoliti, come se la macchina inseguisse di nascosto le persone che poi sentiamo parlare in voice over, mentre le vediamo nella loro vita quotidiana. Il progetto, nato come un corto crowd-funded, si è poi sviluppato in modo da rappresentare l’amore provato da Doyle per Hong Kong. Un’opera intima e coraggiosa che riprende con decisione anche le celebri proteste della Rivoluzione degli ombrelli in cui i manifestanti chiesero a gran voce il suffragio universale.
Questo film non è stata comunque la prima volta che Doyle si è cimentato dietro la macchina da presa come regista. Nel 2006 prese parte a un film collettivo dal nome Paris, je t’aime presentato a Cannes nello stesso anno. Il film, ancora inedito in Italia, è formato da 18 episodi di circa 5 minuti ognuno, ciascuno dei quali diretto da un regista (noto) diverso e con un cast davvero molto ricco. Il tema è quello dell’amore e si ambienta in tutti i quartieri della capitale francese. A Christopher toccò Porte de Choisy (XIII arrondissement), in cui un rivenditore di prodotti estetici tenta di vendere la sua merce a un salone della locale Chinatown e incontra una donna cinese molto tosta… sarà un caso che abbia scelto proprio un’ambientazione cinese?