NC-244
24.10.2024
Venerdì 25 ottobre, in occasione della XVII edizione di Archivio Aperto, verranno proiettati in 16mm alcuni dei cortometraggi più significativi di Carolee Schneemann e Stan Brakhage. Se quest’ultimo è ricordato insieme a Jonas Mekas e Andy Warhol come il più influente regista sperimentale americano, il cinema di Schneemann rappresenta ancora oggi un territorio esplorato solo da pochi, instancabili, appassionati dell’underground. Soprattutto in Europa, dove le pubblicazioni sulla produzione cinematografica di questa artista della Pennsylvania sono rarissime. L’evento di Bologna costituisce quindi un momento importante per ripensare criticamente a un corpus di opere realizzate nel perimetro dell’ambiente domestico, ma il cui spirito rivoluzionario si apre a straordinari orizzonti di senso.
Il film più importante di Carolee Schneemann è senza dubbio Fuses, realizzato con una Bolex 16mm tra il 1964 e il 1967. Questo film a lungo poco visto (e ancora oggi da reintegrare nella storia “ufficiale” del cinema) segna una svolta importante nell’ambito della rappresentazione erotica. Da un certo punto di vista, Fuses non è altro che una raccolta di momenti intimi e domestici tra i corpi di due amanti e quello di un gatto nero che li osserva da vicino. Ma a un livello più profondo, il film di Schneemann rappresenta un gesto di riappropriazione politica di cui la gestione dei punti di vista e il rifiuto di una oggettificazione dei corpi sono manifestazioni dirette. I rapporti sessuali tra la regista e il suo compagno James Tenney vengono mostrati senza filtri: il sesso è raccontato esplicitamente con una grande varietà di forme, posizioni, visioni; i genitali sono spesso protagonisti, ripresi da vicino ed esplorati con la medesima grazia che altri film-maker di quella generazione hanno adoperato nel filmare piante in fiore e nature morte.
L’ordine cronologico degli eventi è del tutto stravolto, così come ogni concatenazione di causa ed effetto. Tutto è mostrato in tempo presente: ogni cosa sembra determinata dai ritmi e dagli umori del desiderio, nel segno di un disordine che è quello proprio di un contatto immediato, febbrile, concreto. La stessa pellicola è elaborata da Schneemann in una lunga serie di manomissioni che rafforzano il carattere tattile del film. Intere sequenze vengono fatte cuocere, passate nell’acido, bruciate, sporcate o dipinte. Il lavoro di post-produzione si inserisce quindi in una direzione che è insieme pittorica e sculturale, segnando una prosecuzione coerente della ricerca artistica di Schneemann; c’è in questo senso una particolare tensione tra effimero e materico, tra la spensieratezza del sentimento e la violenza dei materiali. La successione delle immagini è invece soggetta a continui sussulti e rotture che funzionano come eccitamenti del quadro e sconvolgimenti dell’azione. È come se il movimento dei corpi fosse messo in crisi nella sua esposizione dalla performatività del film stesso, che viene esposto altrettanto pornograficamente nelle sue parti costitutive (il fotogramma, le perforazioni...).
Scavalcando la tendenza del cinema strutturale che in quegli anni domina il New American Cinema e rifiutando i suoi metodi empirici e asettici, Schneemann si dedica con passione a un’opera autobiografica di rara bellezza, in cui l’esperienza sentimentale si fa carne e in cui la carne si fa celluloide. Con il suo approccio personale e intimo al mezzo cinematografico, la film-maker statunitense inaugura una particolare direzione di cinema femminista. Non molto tempo dopo, a soli ventiquattro anni, la regista belga Chantal Akerman si metterà totalmente a nudo nel suo Je, tu, il, elle (1974), riuscendo a rinnovare ancora una volta il modo di mostrare e guardare un corpo di donna al cinema. Ma la forza di molte rotture a venire è già in Fuses, nei suoi moti esasperati e appassionati. La stessa Schneemann avrebbe poi ricordato un’esperienza emblematica con una spettatrice, dopo una delle prime proiezioni del film: “Mi ha detto di non aver mai guardato ai propri genitali, nemmeno a quelli di un’altra donna, che Fuses le aveva permesso di sentire la sua curiosità sessuale come qualcosa di naturale, e che ora pensava di poter iniziare a sperimentare la propria integrità psichica nei modi che aveva sempre desiderato”.
In realtà Fuses è il primo capitolo di una trilogia sperimentale. Il capitolo successivo, Plumb Line, è un cortometraggio bagnato di malinconia, che nella confusa simultaneità delle sue immagini realizza dei meccanismi di ricordo verso un passato irrecuperabile. Il film segna un addio al compagno James Tenney (con cui l’artista resterà amica per il resto della sua vita) e afferma la consapevolezza di una perdita, di un amore che non potrà più esprimersi nella sincerità della carne. Il terzo capitolo è Kitch’s Last Meal (purtroppo assente nella retrospettiva a Bologna), incentrato sulla morte del gatto che ha accompagnato i due amanti nella relazione, unico testimone diretto dei rapporti mostrati in Fuses. Questo lungo e doloroso film sperimentale a doppio canale si chiude con l’immagine del cadavere rigido del gatto, il dettaglio dei suoi occhi morti e quello degli occhi pieni di lacrime della sua padrona e amica. Un’ultima inquadratura ci mostra un treno in movimento attraverso la finestra di casa: la vita che nonostante tutto continua? la morte che avanza nella sua corsa meccanica? È guardando questa trilogia nella sua interezza che Fuses guadagna retroattivamente uno spessore malinconico, quello di una perdita già annunciata, di un amore troppo puro per essere eterno. È in questo modo che un film gioioso e romantico, che tratta della vita e del sesso, muta sotto i nostri occhi in un’opera decisiva sulla caducità dell’esistenza.
L’evento organizzato da Archivio Aperto si è mosso a partire dall’uscita del volume Cartas como películas, a cura di Garbiñe Ortega. Questa preziosa pubblicazione raccoglie la corrispondenza tra diversi cineasti, compresa quella tra Schneemann e Brakhage. Una ricostruzione epistolare inevitabilmente incompleta e frammentaria (alcune lettere vennero rubate a casa di Schneemann, molte altre bruciate da Brakhage), ma che delinea i tratti fondamentali di un’amicizia ricca di attriti, conflitti e critiche spietate. Nella rassegna di Archivio Aperto, oltre a Fuses e Plumb Line, sono stati proiettati anche Viet Flakes di Schneemann e Window Water Baby Moving e Anticipation of the Night di Brakhage. Ma per chi volesse continuare ad approfondire i rapporti tra questi due grandi film-maker le corrispondenze non si esauriscono qui. Si potrebbe mettere l’accento sul già citato Kitch’s Last Meal e su come di fatto sviluppi in un’altra direzione lo stesso tema già presentato in Sirius Remembered di Brakhage, dedicato alla morte e sepoltura del proprio cane. In più, Loving e Cat’s Cradle sono stati filmati da Brakhage nella casa di Schneemann e Tenney nel pieno di una tentata convivenza tra i due cineasti e i loro rispettivi compagni di vita (convivenza che avrebbe dovuto rappresentare anche un ampliamento dei limiti comunemente imposti dal matrimonio). In particolare, l’esperienza di Cat’s Cradle sarà sempre ricordata in modo molto negativo da Schneemann, che non perdonerà mai a Brakhage le implicazioni patriarcali del suo lavoro: “Gli ultimi metri di pellicola [Stan] li ha girati con strana insensatezza mentre dipingevo MJ [Mary Jane Brakhage] in studio e lui voleva che dipingessi con il grembiule!”.
Se è vero che i rapporti tra i due sono stati assolutamente problematici, il loro lavoro artistico ne ha tratto degli spunti fondamentali. In un’intervista del 2009, Schneemann ha dichiarato: “È l’influenza della mia pittura che ha ispirato o motivato Stan ad abbandonare il cinema in bianco e nero e a guardare più intensamente la natura, le forme naturali... Ho avuto l’impressione che fosse in un vicolo cieco con gli psicodrammi in bianco e nero, data la sua incredibile capacità visuale e il suo occhio”. In definitiva questa “storia sperimentale” riportata alla luce dall’ultima edizione di Archivio Aperto consiste in uno scontro tra sguardi, uno maschile e l’altro femminile, ma entrambi attenti, sensibili e pronti a cogliere i mutamenti della luce, della materia, del corpo. Senza questo scontro, forse la storia dell’underground americano sarebbe stata un’altra.
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24.10.2024
Venerdì 25 ottobre, in occasione della XVII edizione di Archivio Aperto, verranno proiettati in 16mm alcuni dei cortometraggi più significativi di Carolee Schneemann e Stan Brakhage. Se quest’ultimo è ricordato insieme a Jonas Mekas e Andy Warhol come il più influente regista sperimentale americano, il cinema di Schneemann rappresenta ancora oggi un territorio esplorato solo da pochi, instancabili, appassionati dell’underground. Soprattutto in Europa, dove le pubblicazioni sulla produzione cinematografica di questa artista della Pennsylvania sono rarissime. L’evento di Bologna costituisce quindi un momento importante per ripensare criticamente a un corpus di opere realizzate nel perimetro dell’ambiente domestico, ma il cui spirito rivoluzionario si apre a straordinari orizzonti di senso.
Il film più importante di Carolee Schneemann è senza dubbio Fuses, realizzato con una Bolex 16mm tra il 1964 e il 1967. Questo film a lungo poco visto (e ancora oggi da reintegrare nella storia “ufficiale” del cinema) segna una svolta importante nell’ambito della rappresentazione erotica. Da un certo punto di vista, Fuses non è altro che una raccolta di momenti intimi e domestici tra i corpi di due amanti e quello di un gatto nero che li osserva da vicino. Ma a un livello più profondo, il film di Schneemann rappresenta un gesto di riappropriazione politica di cui la gestione dei punti di vista e il rifiuto di una oggettificazione dei corpi sono manifestazioni dirette. I rapporti sessuali tra la regista e il suo compagno James Tenney vengono mostrati senza filtri: il sesso è raccontato esplicitamente con una grande varietà di forme, posizioni, visioni; i genitali sono spesso protagonisti, ripresi da vicino ed esplorati con la medesima grazia che altri film-maker di quella generazione hanno adoperato nel filmare piante in fiore e nature morte.
L’ordine cronologico degli eventi è del tutto stravolto, così come ogni concatenazione di causa ed effetto. Tutto è mostrato in tempo presente: ogni cosa sembra determinata dai ritmi e dagli umori del desiderio, nel segno di un disordine che è quello proprio di un contatto immediato, febbrile, concreto. La stessa pellicola è elaborata da Schneemann in una lunga serie di manomissioni che rafforzano il carattere tattile del film. Intere sequenze vengono fatte cuocere, passate nell’acido, bruciate, sporcate o dipinte. Il lavoro di post-produzione si inserisce quindi in una direzione che è insieme pittorica e sculturale, segnando una prosecuzione coerente della ricerca artistica di Schneemann; c’è in questo senso una particolare tensione tra effimero e materico, tra la spensieratezza del sentimento e la violenza dei materiali. La successione delle immagini è invece soggetta a continui sussulti e rotture che funzionano come eccitamenti del quadro e sconvolgimenti dell’azione. È come se il movimento dei corpi fosse messo in crisi nella sua esposizione dalla performatività del film stesso, che viene esposto altrettanto pornograficamente nelle sue parti costitutive (il fotogramma, le perforazioni...).
Scavalcando la tendenza del cinema strutturale che in quegli anni domina il New American Cinema e rifiutando i suoi metodi empirici e asettici, Schneemann si dedica con passione a un’opera autobiografica di rara bellezza, in cui l’esperienza sentimentale si fa carne e in cui la carne si fa celluloide. Con il suo approccio personale e intimo al mezzo cinematografico, la film-maker statunitense inaugura una particolare direzione di cinema femminista. Non molto tempo dopo, a soli ventiquattro anni, la regista belga Chantal Akerman si metterà totalmente a nudo nel suo Je, tu, il, elle (1974), riuscendo a rinnovare ancora una volta il modo di mostrare e guardare un corpo di donna al cinema. Ma la forza di molte rotture a venire è già in Fuses, nei suoi moti esasperati e appassionati. La stessa Schneemann avrebbe poi ricordato un’esperienza emblematica con una spettatrice, dopo una delle prime proiezioni del film: “Mi ha detto di non aver mai guardato ai propri genitali, nemmeno a quelli di un’altra donna, che Fuses le aveva permesso di sentire la sua curiosità sessuale come qualcosa di naturale, e che ora pensava di poter iniziare a sperimentare la propria integrità psichica nei modi che aveva sempre desiderato”.
In realtà Fuses è il primo capitolo di una trilogia sperimentale. Il capitolo successivo, Plumb Line, è un cortometraggio bagnato di malinconia, che nella confusa simultaneità delle sue immagini realizza dei meccanismi di ricordo verso un passato irrecuperabile. Il film segna un addio al compagno James Tenney (con cui l’artista resterà amica per il resto della sua vita) e afferma la consapevolezza di una perdita, di un amore che non potrà più esprimersi nella sincerità della carne. Il terzo capitolo è Kitch’s Last Meal (purtroppo assente nella retrospettiva a Bologna), incentrato sulla morte del gatto che ha accompagnato i due amanti nella relazione, unico testimone diretto dei rapporti mostrati in Fuses. Questo lungo e doloroso film sperimentale a doppio canale si chiude con l’immagine del cadavere rigido del gatto, il dettaglio dei suoi occhi morti e quello degli occhi pieni di lacrime della sua padrona e amica. Un’ultima inquadratura ci mostra un treno in movimento attraverso la finestra di casa: la vita che nonostante tutto continua? la morte che avanza nella sua corsa meccanica? È guardando questa trilogia nella sua interezza che Fuses guadagna retroattivamente uno spessore malinconico, quello di una perdita già annunciata, di un amore troppo puro per essere eterno. È in questo modo che un film gioioso e romantico, che tratta della vita e del sesso, muta sotto i nostri occhi in un’opera decisiva sulla caducità dell’esistenza.
L’evento organizzato da Archivio Aperto si è mosso a partire dall’uscita del volume Cartas como películas, a cura di Garbiñe Ortega. Questa preziosa pubblicazione raccoglie la corrispondenza tra diversi cineasti, compresa quella tra Schneemann e Brakhage. Una ricostruzione epistolare inevitabilmente incompleta e frammentaria (alcune lettere vennero rubate a casa di Schneemann, molte altre bruciate da Brakhage), ma che delinea i tratti fondamentali di un’amicizia ricca di attriti, conflitti e critiche spietate. Nella rassegna di Archivio Aperto, oltre a Fuses e Plumb Line, sono stati proiettati anche Viet Flakes di Schneemann e Window Water Baby Moving e Anticipation of the Night di Brakhage. Ma per chi volesse continuare ad approfondire i rapporti tra questi due grandi film-maker le corrispondenze non si esauriscono qui. Si potrebbe mettere l’accento sul già citato Kitch’s Last Meal e su come di fatto sviluppi in un’altra direzione lo stesso tema già presentato in Sirius Remembered di Brakhage, dedicato alla morte e sepoltura del proprio cane. In più, Loving e Cat’s Cradle sono stati filmati da Brakhage nella casa di Schneemann e Tenney nel pieno di una tentata convivenza tra i due cineasti e i loro rispettivi compagni di vita (convivenza che avrebbe dovuto rappresentare anche un ampliamento dei limiti comunemente imposti dal matrimonio). In particolare, l’esperienza di Cat’s Cradle sarà sempre ricordata in modo molto negativo da Schneemann, che non perdonerà mai a Brakhage le implicazioni patriarcali del suo lavoro: “Gli ultimi metri di pellicola [Stan] li ha girati con strana insensatezza mentre dipingevo MJ [Mary Jane Brakhage] in studio e lui voleva che dipingessi con il grembiule!”.
Se è vero che i rapporti tra i due sono stati assolutamente problematici, il loro lavoro artistico ne ha tratto degli spunti fondamentali. In un’intervista del 2009, Schneemann ha dichiarato: “È l’influenza della mia pittura che ha ispirato o motivato Stan ad abbandonare il cinema in bianco e nero e a guardare più intensamente la natura, le forme naturali... Ho avuto l’impressione che fosse in un vicolo cieco con gli psicodrammi in bianco e nero, data la sua incredibile capacità visuale e il suo occhio”. In definitiva questa “storia sperimentale” riportata alla luce dall’ultima edizione di Archivio Aperto consiste in uno scontro tra sguardi, uno maschile e l’altro femminile, ma entrambi attenti, sensibili e pronti a cogliere i mutamenti della luce, della materia, del corpo. Senza questo scontro, forse la storia dell’underground americano sarebbe stata un’altra.