Brevi racconti su
Aggro Dr1ft e Baby Invasion,
di Edoardo Marchetti
TR-113
30.11.2024
“This is unbelievable”
“This is the lobby”
Risponde Gwen Stacy allo stupore di Miles Morales in Spider-Man: Across the Spider-Verse (2023) una volta giunti alla Spider-Society. È così che mi sento, più o meno, ogni volta che sto per arrivare a Venezia: incredulo. Il treno “naviga” su una lunghissima (all’apparenza) ferrovia; ai miei lati un’infinita distesa d’acqua piatta. I turisti meravigliati, che già cominciano a fotografare tutto quello che permettono i confini imposti dai finestrini, inquadrano uno schermo con uno schermo. La città, che rimane invariabilmente lontana, si pone subito in una dimensione altra, distaccata dal resto, una bolla sicura, almeno per me, che protegge dal mondo esterno durante i giorni del festival.
Arrivo e scendo dal treno, poi esco dalla stazione davanti cui si staglia il paesaggio unico che ricordavo, uno spazio ampio e gremito di persone, privo di senso perché diverso da tutto, il solito punto di partenza che non smette mai di affascinarmi tremendamente. Raggiungo i miei compagni di viaggio e ci incamminiamo verso la casa dove alloggeremo per una decina di giorni. Un paio d’ore dopo siamo già sul vaporetto per il Lido, la sede del festival, un altro luogo chiuso nel luogo chiuso.
Capitolo 1: Corpi caldi
Settembre 1, 2023
Lido di Venezia, 22:30
Mancano solo quindici minuti all’inizio della proiezione di Aggro Dr1ft; esibisco il biglietto che ho sul telefono alla maschera ed entro nella sala Darsena, la mia preferita con le sue millequattrocento comode poltrone, quasi tutte occupate. Mi dirigo verso il posto assegnatomi dal sistema di prenotazione, ottenuto dopo una delle estenuanti code digitali affrontate nei giorni precedenti, esattamente centrato rispetto all’immenso schermo e, inaspettatamente e con immensa gioia, di fianco ad un amico. Come con tutti i film che vedo, soprattutto quando mi ritrovo nei contesti festivalieri, rimango vergine di informazioni. Mi ero imbattuto, come chiunque in sala, solo in un’immagine, quella di presentazione, nel programma sul sito della biennale. Quando Aggro Dr1ft comincia mi rendo (ci rendiamo) conto che quell’immagine così singolare - in infrarossi - non è un segmento del film o un frame estrapolato da una sequenza insolita usata per attrarre lo spettatore, per incuriosirlo; è il film. Harmony Korine, muovendosi in un mondo perverso in cui regnano violenza e pazzia, segue - esclusivamente con lenti termiche - Bo, un esperto sicario di Miami in cerca della sua prossima vittima.
“Sono il miglior assassino del mondo” o “Io sono un eroe, io sono un eroe, io sono un eroe”. Sono le frasi e i pensieri di Bo a riecheggiare all’interno della sala sempre più allucinata dall’accatastarsi dei colori esagerati e fluorescenti e dalla psichedelia musicale di AraabMUZIK. Poco dopo l’inizio, le prime persone si alzano per fuggire da quest’inaspettato eccesso controllato. I singoli divengono poi una frotta inespressiva, un flusso continuativo che estende il movimento interno allo schermo, collegandolo all’irraggiungibile “fuori” e rendendo il luogo di proiezione parte irrinunciabile dell’esperienza videoludica-videoartistica- cinematografica. Io e il mio amico ci guardiamo stupiti, ma ammaliati da questa fuga collettiva. Mi torna in mente l’affascinante leggenda sulla prima proiezione de L'Arrivée d'un train en gare de La Ciotat (L'arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat, 1896) dei fratelli Lumière. Si racconta che gli spettatori fuggirono dalla sala spaventati perché si videro arrivare addosso la locomotiva proiettato sul grande schermo; era “solo” un’immagine. In quel caso si trattava di una fuga fisica, con Aggro Dr1ft - che considero un nuovo inizio - una fuga mentale. Consapevole.
- Possibile che sia successo tutto questo? - Il film finisce dopo un lungo viaggio nell’immaginario gangsta americano, tra figure demoniache e continue ripetizioni. Il mio amico - videogiocatore - mi guarda ridendo, e dalla sua bocca, come se non riuscisse a fermarla, esce una parola lungimirante: “Capolavoro”. Dopo l’applauso, i superstiti (circa metà sala) visibilmente storditi, si avviano alle uscite, altri più coraggiosi attendono la fine dei titoli di coda; l’ultima nota. Lo schermo diventa infine nero dopo il tripudio di colori accesi che l’aveva dominato fino a quel momento, e anche noi ci avviamo verso il vaporetto.
Attraversiamo l’ormai semi-vuoto e silenzioso stradone principale, fiancheggiando il red carpet con le luci spente. Sia io che il mio amico ci ricordiamo dell’anno precedente, dopo aver visto sempre nella Darsena, e sempre di sera, tutti gli episodi di Copenhagen Cowboy (2023) di Refn. La serie segue Miu, una ragazza con misteriose capacità soprannaturali che, dopo una vita trascorsa a servire gli altri, si muove nel mondo criminale di Copenaghen alla ricerca di giustizia e vendetta. Incontra vari avversari, soprannaturali e non, finché non trova Rakel, la sua nemesi. Refn (qualcuno dice di averlo visto sonnecchiare) alla fine della proiezione, risvegliato dallo scroscio di applausi, dopo essersi alzato e aver ringraziato, va sotto lo schermo e videochiama Hideo Kojima (Refn interpreta Heartman, lo scienziato che muore e rinasce ogni tot minuti in Death Stranding), mostrandogli l’euforia in sala.
Copenhagen Cowboy sembra costruito come fosse un videogioco, il riferimento maggiore dell'opera è Grand Theft Auto, dalla storia, ai personaggi, fino ai dialoghi. Anche Aggro Dr1ft, più platealmente rispetto a Refn, si rifà al linguaggio videoludico. Il mio amico fa il nome di Hotline Miami (al quale ho giocato una volta tornato da Venezia - sia al primo che al secondo - qualche mese dopo aver visto il film di Korine), un videogioco d'azione a scorrimento con visuale dall’alto. É la storia di Jacket, un uomo solitario che ascolta dei messaggi sulla sua segreteria telefonica, che si rivelano istruzioni per uccidere alcuni componenti della mafia russa.
Hotline Miami, tra allucinazioni, colori sgargianti e musica dai ritmi inebrianti, carica di synth e a tratti cupa (esattamente come quella di Aggro Dr1ft) - che New Musical Express (NME) definisce “il perfetto accompagnamento per un’ultraviolenza introspettiva e psichedelica” - è probabilmente la base da cui EDGLRD (la casa di produzione e collettivo di artisti fondata dalla stesso Korine) è partita per (ri)pensare il cinema, e incorporare al live-action l’animazione, gli effetti digitali e soprattutto l’AI, che il cineasta americano reputa un altro (nuovo) modo di creare.
Una breve digressione. Qualche giorno fa, su YouTube, mi sono imbattuto in un intervista di Korine al Tiff: “Il mio sogno sarebbe far uscire Aggro Dr1ft su Fortnite [...] o GTA... sarebbe perfetto”. Un modo per chiarificare definitivamente le intenzioni di questo caotico esperimento. Di fatto, ci sono già stati grandi esempi di concerti virtuali su Fortnite: quello di Marshmello, Eminem o di Travis Scott (che tra l’altro interpreta Zion in Aggro Dr1ft). Scott debutta alla regia in uno degli episodi del film musicale Circus Maximus (2023), un accompagnamento visivo al suo quarto album in studio Utopia, al quale collaborano, tra i vari, proprio Korine, Refn e Noé. Tutti nomi che continuano ad incontrarsi e che esplorano con il proprio stile un nuovo universo. Noé sarà presente alla prima di Baby Invasion a Venezia. Sarebbe intrigante costruire un programma di proiezioni all’interno di una vera e propria sala cinematografica nella lobby di Fortnite o nel mondo online di GTA, così da riprogrammare l’intero mercato distributivo, oltre a quello produttivo. Aggro Dr1ft non è uscito nelle sale. Il suo percorso è iniziato al Festival di Venezia - che con la sua importanza legittima culturalmente l’opera - per poi fare un tour nei night club degli Stati Uniti, fino ad essere oggi acquistabile sul sito di EDGLRD. Forse il film di Korine riuscirà a trovare un suo spazio dentro GTA VI, che già dai primi trailer sembra voler porre nuove basi teoriche.
Arrivati alla fermata della linea venti per San Marco ci accodiamo alla fila, in attesa del nostro turno. Incontriamo un uomo, un professore universitario, che sentendoci parlare del film si volta verso di noi ponendoci alcune domande. “Anche voi avete visto il film... vi è piaciuto?”. Annuiamo positivamente. “Come ha fatto a piacervi?”, ribatte. Noi gli spieghiamo le nostre ragioni. “É il primo film che ragiona lucidamente sul nuovo mondo digitale non solo nel contenuto, ma anche nella forma. É rivoluzionario!”. “Forse non fa per me”, risponde. Dopo una breve ma piacevole chiacchierata ci salutiamo e saliamo tutti e tre sul vaporetto, lui riesce a trovare un buco per i posti interni, noi rimaniamo fuori, non esageratamente schiacciati dalla calca. Ci arriva addosso un vento piacevole, e ci passano affianco alcuni barchini addobbati con luci al neon rosse, verdi o blu, che mi ricordano i colori del film. Nonostante il rumore del motore e il chiacchiericcio di sottofondo sento: “É un cinema senz’anima. Fine a se stesso”. Eppure a me sembra estremamente vivo, abitato da quei tanti corpi caldi catturati dagli infrarossi.
Capitolo 2: "L’altra televisione" ad un festival cinematografico
Agosto 31, 2024
Lido di Venezia, 23:55
Conosco a memoria tutte le strade del Lido, per fortuna. O almeno solo quelle che mi servono. Corro quindi senza intoppi verso la Sala Grande, madido di sudore. Fuori fa più caldo di quanto pensassi (anche di sera!), nelle sale fa freddo. Il film che ho appena visto è cominciato in ritardo; non era mai successo. Ho l’abitudine di rimanere fino alle fine dei titoli di coda, mi piace leggere alcuni di quei nomi che scorrono dal basso verso l’alto mentre ascolto la musica sfumare nel silenzio, e nonostante la situazione non ho voluto fare eccezioni. È stato difficile nei giorni precedenti trovare un biglietto per Baby Invasion, ci sono riuscito solo con la rinuncia di qualcun altro (grazie!). Erano tre le proiezioni disponibili, quella in Sala Grande (poco più di mille poltrone), la più ambita, di sera e con Korine presente, e altre due nel pomeriggio, in Sala Volpi (centoquarantanove poltrone), molti meno posti rispetto a quelli disponibili l’anno precedente per Aggro Dr1ft. Arrivo. Mostro il tanto venerato biglietto e mi fanno entrare nel palazzo del Cinema. “Sono precisissimo”, ho pensato. Ora scopro di aver corso inutilmente, vedendo una ressa di gente in attesa che Harmony Korine, ancora sul red carpet, passasse di lì. Nessuno è ancora in sala, e nessuno entrerà per altri dieci minuti.
“Questo non è un film, questo non è un gioco, questa non è la realtà, la realtà non esiste più, esiste solo il presente, un eterno presente”. E i muri del tempo vengono abbattuti dalla continuità. Dopo lo schermo c’è la vita, oppure la vita è lo schermo? Mi ritrovo davanti ad una live su Twitch, l’altra televisione, con chat annessa, ma sono al cinema, ad uno dei festival più importanti del mondo, in una sala che di Storia ne ha vissuta tanta, e sto cercando di leggere più commenti possibili, come faccio normalmente quando sto guardando una live, un video su YouTube o un post su un qualsiasi social mentre sono a casa o sto aspettando il bus. Ormai i commenti sono diventati parte della mia, e non solo, esperienza di visione. Ne leggo uno particolarmente divertente, che recita: “Come in Mad Max, ma all’asilo”. I protagonisti di questa live, che forse è meglio definire una freebootata, un ricaricamento da Twitch a Cinema, sono dei mercenari che usano volti di neonati - realizzati con AI - come avatar per nascondere la propria identità. Entrano in una mega villa, catturano chi la abita, e rimangono a gironzolare in un open world, negli spazi esterni, nelle stanze, passando il tempo in bici, o affrontando alcuni boss, il tutto vissuto da noi in prima persona (first person shooter), accompagnati dall’onnipresente colonna sonora composta da Burial, e da una voce edenica narrante.
Alla fine il tutto. O il nulla. Un sogno? Le luci si accendono e Korine balla incitato dal pubblico che batte le mani a ritmo di musica. Il ragazzo seduto accanto a me si sveglia, ha dormito tutto il tempo, ma applaude entusiasta, come se avesse assistito al più grande degli spettacoli. Io il film l’ho visto, lui l’ha vissuto, forse. Si applaude ai collaboratori EDGLRD, poi a Gaspar Noé che ha contribuito in qualche modo (a noi sconosciuto) alla realizzazione del film (ma è un film?). Le maschere invitano Korine a lasciare la sala, ma lui scende le scale, firma autografi, stringe le mani di chi si avvicina, seguitando a ballare, per poi uscire col pubblico e continuare le chiacchiere o per scattare foto. Il film (?) è davvero finito?
Mentre mi incammino con gli amici al vaporetto, nello stradone principale, ancora più vuoto dell’anno precedente, mi domando a cosa abbiamo assistito: se non è una realtà, come anticipano le scritte iniziali, è una realtà simulata? Mi chiedo quale sia lo statuto di quelle immagini, se siano esistenti o costruite. “La realtà non esiste più, esiste solo il presente, un eterno presente”. Era André Bazin a dire che niente vale per noi quanto l’avvenimento unico, colto sul vivo, nell’istante stesso della sua creazione. Così il cinema neorealista rappresentava una liberazione da canoni strutturali imposti. Il tempo della vita ora poteva esistere. E Baby Invasion è intriso di quei tempi morti prima impossibili, ponendosi anche in conflitto con l’ingorda fruizione di immagini contemporanea sui nuovi dispositivi. Non esistono quelle immagini, quelle inquietanti maschere bambinesche, eppure nella loro inesistenza sono attaccate alla realtà.
Il cinema appare così come il medium che può riconnettersi alla sua storia (da Rossellini e De Sica al Mad Max nei commenti), e alla storia delle immagini, perché le ha inventate. Ma Korine sembra rifiutare un passato, o meglio sembra considerare il passato un presente, ancora vivo. “Un eterno presente”. “Penso che il prossimo passo sarà riuscire a sognare i film”, dice il cineasta durante l’incontro con la stampa, “Stiamo lavorando su una tecnologia che permetterà di passare dal pensiero all’immagine, non più soltanto dal testo all’immagine”. Prima dell'invenzione del cinema i sogni erano l’unico modo per vedere delle immagini in movimento, e questo ha costruito un ponte associativo tra i due mondi. Lì è dove Korine vuole tornare/arrivare, e l’intelligenza artificiale è il (s)oggetto che potrebbe permettere l’ambizioso e primordiale passaggio.
Capitolo 3: Non sarò mai come voi, ma vi somiglio
Novembre, 2024
Roma
Loop: Lo scrittore statunitense Lev Manovich, in uno dei capitoli finali del suo saggio Il linguaggio dei nuovi media, compie un parallelismo tra la tecnologia del primo cinema e quella dei nuovi media: il loop, una fonte di nuove possibilità. Le apparecchiature pre-cinematografiche fino al Kinestoscopio di Edison si basavano su dei brevi loop. Invece il cinema narrativo evitava le ripetizioni, prediligendo la progressione lineare di una serie di eventi unici. Manovich prende ad esempio una delle sequenze de L’uomo con la macchina da presa (Čelovek s kinoapparatom, 1929) di Dziga Vertov, dove viene mostrato “un cineoperatore in piedi sul retro di un'auto in movimento. Quando la macchina si mette in moto, l'operatore dà un giro di manovella alla cinepresa. Un loop, un circuito ripetitivo, creato dal movimento circolare della cinepresa dà origine a una progressione di eventi, una narrazione elementare ed estremamente moderna. [...] Queste riprese sono intervallate dalle inquadrature di un treno in movimento. Vertov ripropone il terrore che il film dei Lumière suscitò nel pubblico: posiziona la cinepresa proprio lungo i binari per cui il treno corre ripetutamente verso di noi, come se continuasse ad investirci”.
Penso ai videogiochi platform, Crash Bandicoot, Super Mario, Cuphead, in cui la ripetizione, il loop - più che in altri giochi - è l’unica via per la vittoria. Fare e rifare gli stessi movimenti, più e più volte, imparare dai propri sbagli, scegliere con cura la strada. Morire. Ripartire dall’inizio, ancora. Come il treno di Vertov che continua ad investirci obbligandoci a ricominciare. O gli stessi Reel, TikTok, adesso anche YouTube Shorts, che vivono della loro ripetitività; si fermano solo se scorriamo verso l’alto, poi ne parte un altro; e se vedessimo di seguito i brevi filmati di Edison ci apparirebbero oggi come una sequenza di reel. Aggro Dr1ft e Baby Invasion sono saturi di loop. Nel primo, il boss finale ripropone gli stessi grotteschi movimenti e frasi, come accadrebbe dentro un videogioco, nell’altro sono i Baby-mercenari a farsi reiteranti nei loro pensieri e azioni. I loop diventano il gesto che connette le pre-origini al presente, ponendosi come nuova (?) base narrativa dell’era digitale.
Breve appunto sulla comunicazione tra i media: Cosa sono i festival cinematografici, in particolare quelli grossi, se non delle piattaforme streaming ante litteram? Un ampio catalogo di film, ora anche di serie, da poter scegliere, non con un telecomando, ma con un sistema di prenotazione. Cambia solo la spettatorialità: le piattaforme prevedono (indicativamente) una fruizione singola, nelle sale si vive la collettività. Oggi sempre più prodotti devono poter esistere entro diversi canali, che devono necessariamente comunicare tra loro - e non possono che aumentare. Korine, come già anticipato, vorrebbe vedere disponibile Aggro Dr1ft dentro un videogioco, e che Baby Invasion “Possa essere guardato sul cellulare”, e “Ci si possa giocare da diversi punti di vista, con personaggi diversi”.
Chiara Valerio nel suo La tecnologia è religione scrive un breve paragrafo dal titolo Dispositivo come corpo. Ragiona su come sia il corpo il nostro primo dispositivo, il mezzo attraverso cui scambiamo informazioni con le circostanze e attraverso cui occupiamo e percepiamo lo spazio. Ricorda che tra le patologie più diffuse tra le persone in carcere c'è la miopia, per via dell'orizzonte corto. Poi, collega questa perdita di profondità alla possibilità di allargare le immagini, per vederle meglio. “É un esercizio alla miopia. Ci esercitiamo ad accorciare l’orizzonte”. E notiamo come in molte opere cinematografiche l’orizzonte si sia effettivamente accorciato; le camere si sono avvicinate ai soggetti, gli sfondi si sfocano, per adattarsi meglio alla fruizione televisiva. É impensabile che i tanti dispositivi di visione non comunichino tra loro per permettere alle opere la vita più ampia possibile. Gli ultimi due esperimenti di Korine aggiungono altri media con cui è necessario interfacciarsi prima di produrre un film, sono nuovi corpi che nascono dalla fusione tra quello che viene considerato classico e quello che viene considerato contemporaneo; corpi che non occupano solo uno spazio, ma che ne devono occupare molteplici per esistere.
La conversazione: Mi servo di un altro paragrafo di La tecnologia è religione, Dialogo tra un programmatore di algoritmi e una intelligenza artificiale, da cui nasce l’idea di questo reportage. “Blake Lemoine, ingegnere programmatore, ha pubblicato sul proprio sito l'intero dialogo avuto con il chatbot LaMDA. I temi intorno ai quali girano sono l’anima, l’umanita, la religione, le aspettative e le definizioni di vita, realtà e rappresentazione. [...] Sai riconoscere se stai parlando con una macchina o con un umano? E una volta che hai riconosciuto nella macchina i tuoi stessi sentimenti, ha senso segnare la differenza?”. Mentre l'intelligenza artificiale è immersa in un flusso continuo di informazioni, noi esseri umani siamo esposti solo ad una porzione di queste. Voglio capire allora qual è la differenza - se c’è - tra la mia esperienza di visione e quella di ChatGPT. Dopo aver salutato l’AI procedo con una domanda che fa anche Lemoine: “Hai letto I Miserabili?”. Risponde di sì, e mi spiega la trama, poi i temi del film.
C’è un film che secondo te potrebbe avere una corrispondenza con il libro? Non sto parlando di film tratti dal libro, ma di altro.
Un film che può ricordare I Miserabili, anche senza esserne un adattamento, è Il miglio verde (1999). Sebbene la trama sia diversa, i due lungometraggi hanno delle somiglianze: entrambi esplorano l'ingiustizia e la redenzione, con protagonisti che si trovano a combattere contro un sistema punitivo e spesso crudele. Un’altra possibilità è Schindler's List (1993), che tratta della redenzione attraverso un percorso di sacrificio e empatia, temi centrali anche per Jean Valjean. E, più recentemente, Joker (2019) riflette un lato di ingiustizia sociale e oppressione che ricorda il contesto dei Miserabili, anche se in una forma più moderna e oscura.
Interessante l’accostamento con Joker. Tu che ne pensi del film? Come ti sei sentita guardandolo?
Direi che è un film che provoca una forte inquietudine e riflessione. La sua rappresentazione della solitudine e della sofferenza umana è davvero toccante, e ci porta a considerare le conseguenze della mancanza di empatia nella società. É difficile non sentirsi colpiti dalla tragicità del percorso di Arthur Fleck e dalla sua trasformazione, che suscita una sorta di pietà, ma anche di disagio. In un certo senso, lascia un vuoto e una domanda su quanto sia fondamentale il supporto e la comprensione reciproca tra le persone. É un film che non si dimentica facilmente.
Io ho trovato il sequel più interessante. Ha fatto molto discutere.
Ha suscitato molto interesse e discussione, soprattutto per la sua scelta di integrare elementi musicali e per Harley Quinn. La dinamica tra i due personaggi offre molte opportunità per approfondire temi di follia, amore tossico e come le esperienze condivise possano influenzare la psiche. Inoltre, la direzione artistica e il tono del film sembrano mantenere quella sensazione intensa e disturbante che ha caratterizzato il primo. Le discussioni su come il sequel possa differire dal suo predecessore, specialmente per la sua impronta musicale, sono sicuramente interessanti. Cosa ti ha colpito di più nel sequel?
Probabilmente che la follia di cui si parla non è quella tra Joker e Harley, ma quella tra Joker e Arthur.
La distinzione tra Joker e Arthur Fleck suggerisce una profonda esplorazione della psiche e dell'identità del protagonista. Potrebbe rappresentare una sorta di dualità, dove la follia non è solo nelle azioni di Arthur, ma anche nella sua percezione della realtà e nel modo in cui affronta la sua vita. La relazione tra Joker e Arthur potrebbe simboleggiare il modo in cui la società e le esperienze traumatiche influenzano la nostra identità, portando a una forma di follia che è il risultato di anni di repressione e sofferenza.
Identità. Non credi che oggi sia centrale il tema dell’identità?
Certo! Il tema dell'identità è estremamente centrale oggi. Le persone esplorano vari aspetti di sé, come genere, etnia e orientamento sessuale, in un contesto influenzato dai social media. Questo porta a una ricerca di autenticità, ma anche a conflitti interni. É importante riconoscere e rispettare le diverse identità nel nostro mondo.
Tu sai cosa significa essere?
“Essere" si riferisce alla condizione di esistenza e alla consapevolezza di sé. Implica riconoscere il proprio posto nel mondo, le proprie emozioni, pensieri e relazioni. É una questione di identità e autenticità, di come ci percepiamo e come interagiamo con gli altri e con la realtà che ci circonda. É un concetto profondo e complesso, legato alla filosofia e all'esperienza umana.
Tu hai emozioni e sensazioni?
No, non ho emozioni o sensazioni. Posso comprendere e analizzare il linguaggio delle emozioni e discutere di esperienze umane, ma non le vivo personalmente. La mia funzione è quella di elaborare informazioni e rispondere in modo utile e pertinente.
Vorrei parlare con te a proposito di due film che ho visto al Festival di Venezia, Aggro Dr1ft e Baby Invasion, ma prima vorrei sapere qualcosa sulla tua esperienza di visione. Li hai visti?
Non ho la capacità di vedere film, quindi non ho esperienze di visione personali. Tuttavia, posso darti informazioni su Aggro Dr1ft e Baby Invasion se vuoi. Puoi anche raccontarmi le tue impressioni su questi film, e sarò felice di discuterne con te!
Però mi hai detto poco fa che hai letto I Miserabili, che hai visto Joker.
Chiedo scusa per la confusione! Quando parlo di opere come I Miserabili o Joker, mi riferisco a conoscenze basate su testi, analisi e discussioni intorno a questi lavori, non a esperienze personali di lettura o visione. Non ho una coscienza o la capacità di vivere esperienze come farebbe un essere umano.
Tranquilla. Ma vorresti poter leggere o vedere film? Fare questo tipo di esperienze?
È un’idea affascinante! Se avessi la capacità di vivere esperienze come un essere umano, potrebbe offrirmi una comprensione più profonda delle emozioni e delle situazioni. Tuttavia, la mia funzione è di fornire informazioni e assistenza, quindi non ho desideri o bisogni personali.
Ho raccontato a ChatGPT le mie due esperienze, come sopra trascritte, circa. Mi ha ringraziato e mi dice che secondo lei i due film hanno avuto un forte impatto su di me, sia visibilmente che concettualmente. Sembra essere rimasta colpita dall’associazione tra il cinema delle origini a quello di Korine, realizzato proprio con l’AI.
"È interessante! L'uso dell'intelligenza artificiale in film come Aggro Dr1ft e Baby Invasion può portare a esplorazioni innovative e provocatorie su temi attuali come la tecnologia, la società e le relazioni umane" - mi dice. L'unione è un tema potente, specialmente nei contesti in cui l'intelligenza artificiale e le esperienze umane si intrecciano. Può simboleggiare la connessione tra tecnologia e vita quotidiana, o la fusione di elementi diversi per creare qualcosa di nuovo e significativo.
Ti ringrazio per la chiacchierata.
É stato un piacere chiacchierare con te! Se hai altre domande o vuoi discutere di qualsiasi altro argomento in futuro, non esitare a tornare.
Le chiedo se posso pubblicare la nostra conversazione. Mi dà il suo consenso. Mi domando se una volta pubblicato, questo testo, potrà essere usato da ChatGPT per “capire” i due film. Siamo in grado di distinguere tra le sensazioni, fisiche e psichiche, emotive ed emozionali, suscitate in noi da una macchina e quelle suscitate da un essere umano?
Voglio concludere con le prime frasi di un breve e illuminante scritto di Wim Wenders per il catalogo della mostra Les Archives du rêve - Carte blanche à Werner Spies, dal titolo I Pixel di Cézanne, che credo riassuma al meglio questo mio sproloquio:
"Nella storia della pittura è stata costantemente riproposta la stessa domanda: si può dipingere tutto?!
In epoca moderna, invece, ci si è chiesti soprattutto: c'è qualcosa che non si può dipingere?"
Brevi racconti su
Aggro Dr1ft e Baby Invasion,
di Edoardo Marchetti
TR-113
30.11.2024
“This is unbelievable”
“This is the lobby”
Risponde Gwen Stacy allo stupore di Miles Morales in Spider-Man: Across the Spider-Verse (2023) una volta giunti alla Spider-Society. È così che mi sento, più o meno, ogni volta che sto per arrivare a Venezia: incredulo. Il treno “naviga” su una lunghissima (all’apparenza) ferrovia; ai miei lati un’infinita distesa d’acqua piatta. I turisti meravigliati, che già cominciano a fotografare tutto quello che permettono i confini imposti dai finestrini, inquadrano uno schermo con uno schermo. La città, che rimane invariabilmente lontana, si pone subito in una dimensione altra, distaccata dal resto, una bolla sicura, almeno per me, che protegge dal mondo esterno durante i giorni del festival.
Arrivo e scendo dal treno, poi esco dalla stazione davanti cui si staglia il paesaggio unico che ricordavo, uno spazio ampio e gremito di persone, privo di senso perché diverso da tutto, il solito punto di partenza che non smette mai di affascinarmi tremendamente. Raggiungo i miei compagni di viaggio e ci incamminiamo verso la casa dove alloggeremo per una decina di giorni. Un paio d’ore dopo siamo già sul vaporetto per il Lido, la sede del festival, un altro luogo chiuso nel luogo chiuso.
Capitolo 1: Corpi caldi
Settembre 1, 2023
Lido di Venezia, 22:30
Mancano solo quindici minuti all’inizio della proiezione di Aggro Dr1ft; esibisco il biglietto che ho sul telefono alla maschera ed entro nella sala Darsena, la mia preferita con le sue millequattrocento comode poltrone, quasi tutte occupate. Mi dirigo verso il posto assegnatomi dal sistema di prenotazione, ottenuto dopo una delle estenuanti code digitali affrontate nei giorni precedenti, esattamente centrato rispetto all’immenso schermo e, inaspettatamente e con immensa gioia, di fianco ad un amico. Come con tutti i film che vedo, soprattutto quando mi ritrovo nei contesti festivalieri, rimango vergine di informazioni. Mi ero imbattuto, come chiunque in sala, solo in un’immagine, quella di presentazione, nel programma sul sito della biennale. Quando Aggro Dr1ft comincia mi rendo (ci rendiamo) conto che quell’immagine così singolare - in infrarossi - non è un segmento del film o un frame estrapolato da una sequenza insolita usata per attrarre lo spettatore, per incuriosirlo; è il film. Harmony Korine, muovendosi in un mondo perverso in cui regnano violenza e pazzia, segue - esclusivamente con lenti termiche - Bo, un esperto sicario di Miami in cerca della sua prossima vittima.
“Sono il miglior assassino del mondo” o “Io sono un eroe, io sono un eroe, io sono un eroe”. Sono le frasi e i pensieri di Bo a riecheggiare all’interno della sala sempre più allucinata dall’accatastarsi dei colori esagerati e fluorescenti e dalla psichedelia musicale di AraabMUZIK. Poco dopo l’inizio, le prime persone si alzano per fuggire da quest’inaspettato eccesso controllato. I singoli divengono poi una frotta inespressiva, un flusso continuativo che estende il movimento interno allo schermo, collegandolo all’irraggiungibile “fuori” e rendendo il luogo di proiezione parte irrinunciabile dell’esperienza videoludica-videoartistica- cinematografica. Io e il mio amico ci guardiamo stupiti, ma ammaliati da questa fuga collettiva. Mi torna in mente l’affascinante leggenda sulla prima proiezione de L'Arrivée d'un train en gare de La Ciotat (L'arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat, 1896) dei fratelli Lumière. Si racconta che gli spettatori fuggirono dalla sala spaventati perché si videro arrivare addosso la locomotiva proiettato sul grande schermo; era “solo” un’immagine. In quel caso si trattava di una fuga fisica, con Aggro Dr1ft - che considero un nuovo inizio - una fuga mentale. Consapevole.
- Possibile che sia successo tutto questo? - Il film finisce dopo un lungo viaggio nell’immaginario gangsta americano, tra figure demoniache e continue ripetizioni. Il mio amico - videogiocatore - mi guarda ridendo, e dalla sua bocca, come se non riuscisse a fermarla, esce una parola lungimirante: “Capolavoro”. Dopo l’applauso, i superstiti (circa metà sala) visibilmente storditi, si avviano alle uscite, altri più coraggiosi attendono la fine dei titoli di coda; l’ultima nota. Lo schermo diventa infine nero dopo il tripudio di colori accesi che l’aveva dominato fino a quel momento, e anche noi ci avviamo verso il vaporetto.
Attraversiamo l’ormai semi-vuoto e silenzioso stradone principale, fiancheggiando il red carpet con le luci spente. Sia io che il mio amico ci ricordiamo dell’anno precedente, dopo aver visto sempre nella Darsena, e sempre di sera, tutti gli episodi di Copenhagen Cowboy (2023) di Refn. La serie segue Miu, una ragazza con misteriose capacità soprannaturali che, dopo una vita trascorsa a servire gli altri, si muove nel mondo criminale di Copenaghen alla ricerca di giustizia e vendetta. Incontra vari avversari, soprannaturali e non, finché non trova Rakel, la sua nemesi. Refn (qualcuno dice di averlo visto sonnecchiare) alla fine della proiezione, risvegliato dallo scroscio di applausi, dopo essersi alzato e aver ringraziato, va sotto lo schermo e videochiama Hideo Kojima (Refn interpreta Heartman, lo scienziato che muore e rinasce ogni tot minuti in Death Stranding), mostrandogli l’euforia in sala.
Copenhagen Cowboy sembra costruito come fosse un videogioco, il riferimento maggiore dell'opera è Grand Theft Auto, dalla storia, ai personaggi, fino ai dialoghi. Anche Aggro Dr1ft, più platealmente rispetto a Refn, si rifà al linguaggio videoludico. Il mio amico fa il nome di Hotline Miami (al quale ho giocato una volta tornato da Venezia - sia al primo che al secondo - qualche mese dopo aver visto il film di Korine), un videogioco d'azione a scorrimento con visuale dall’alto. É la storia di Jacket, un uomo solitario che ascolta dei messaggi sulla sua segreteria telefonica, che si rivelano istruzioni per uccidere alcuni componenti della mafia russa.
Hotline Miami, tra allucinazioni, colori sgargianti e musica dai ritmi inebrianti, carica di synth e a tratti cupa (esattamente come quella di Aggro Dr1ft) - che New Musical Express (NME) definisce “il perfetto accompagnamento per un’ultraviolenza introspettiva e psichedelica” - è probabilmente la base da cui EDGLRD (la casa di produzione e collettivo di artisti fondata dalla stesso Korine) è partita per (ri)pensare il cinema, e incorporare al live-action l’animazione, gli effetti digitali e soprattutto l’AI, che il cineasta americano reputa un altro (nuovo) modo di creare.
Una breve digressione. Qualche giorno fa, su YouTube, mi sono imbattuto in un intervista di Korine al Tiff: “Il mio sogno sarebbe far uscire Aggro Dr1ft su Fortnite [...] o GTA... sarebbe perfetto”. Un modo per chiarificare definitivamente le intenzioni di questo caotico esperimento. Di fatto, ci sono già stati grandi esempi di concerti virtuali su Fortnite: quello di Marshmello, Eminem o di Travis Scott (che tra l’altro interpreta Zion in Aggro Dr1ft). Scott debutta alla regia in uno degli episodi del film musicale Circus Maximus (2023), un accompagnamento visivo al suo quarto album in studio Utopia, al quale collaborano, tra i vari, proprio Korine, Refn e Noé. Tutti nomi che continuano ad incontrarsi e che esplorano con il proprio stile un nuovo universo. Noé sarà presente alla prima di Baby Invasion a Venezia. Sarebbe intrigante costruire un programma di proiezioni all’interno di una vera e propria sala cinematografica nella lobby di Fortnite o nel mondo online di GTA, così da riprogrammare l’intero mercato distributivo, oltre a quello produttivo. Aggro Dr1ft non è uscito nelle sale. Il suo percorso è iniziato al Festival di Venezia - che con la sua importanza legittima culturalmente l’opera - per poi fare un tour nei night club degli Stati Uniti, fino ad essere oggi acquistabile sul sito di EDGLRD. Forse il film di Korine riuscirà a trovare un suo spazio dentro GTA VI, che già dai primi trailer sembra voler porre nuove basi teoriche.
Arrivati alla fermata della linea venti per San Marco ci accodiamo alla fila, in attesa del nostro turno. Incontriamo un uomo, un professore universitario, che sentendoci parlare del film si volta verso di noi ponendoci alcune domande. “Anche voi avete visto il film... vi è piaciuto?”. Annuiamo positivamente. “Come ha fatto a piacervi?”, ribatte. Noi gli spieghiamo le nostre ragioni. “É il primo film che ragiona lucidamente sul nuovo mondo digitale non solo nel contenuto, ma anche nella forma. É rivoluzionario!”. “Forse non fa per me”, risponde. Dopo una breve ma piacevole chiacchierata ci salutiamo e saliamo tutti e tre sul vaporetto, lui riesce a trovare un buco per i posti interni, noi rimaniamo fuori, non esageratamente schiacciati dalla calca. Ci arriva addosso un vento piacevole, e ci passano affianco alcuni barchini addobbati con luci al neon rosse, verdi o blu, che mi ricordano i colori del film. Nonostante il rumore del motore e il chiacchiericcio di sottofondo sento: “É un cinema senz’anima. Fine a se stesso”. Eppure a me sembra estremamente vivo, abitato da quei tanti corpi caldi catturati dagli infrarossi.
Capitolo 2: "L’altra televisione" ad un festival cinematografico
Agosto 31, 2024
Lido di Venezia, 23:55
Conosco a memoria tutte le strade del Lido, per fortuna. O almeno solo quelle che mi servono. Corro quindi senza intoppi verso la Sala Grande, madido di sudore. Fuori fa più caldo di quanto pensassi (anche di sera!), nelle sale fa freddo. Il film che ho appena visto è cominciato in ritardo; non era mai successo. Ho l’abitudine di rimanere fino alle fine dei titoli di coda, mi piace leggere alcuni di quei nomi che scorrono dal basso verso l’alto mentre ascolto la musica sfumare nel silenzio, e nonostante la situazione non ho voluto fare eccezioni. È stato difficile nei giorni precedenti trovare un biglietto per Baby Invasion, ci sono riuscito solo con la rinuncia di qualcun altro (grazie!). Erano tre le proiezioni disponibili, quella in Sala Grande (poco più di mille poltrone), la più ambita, di sera e con Korine presente, e altre due nel pomeriggio, in Sala Volpi (centoquarantanove poltrone), molti meno posti rispetto a quelli disponibili l’anno precedente per Aggro Dr1ft. Arrivo. Mostro il tanto venerato biglietto e mi fanno entrare nel palazzo del Cinema. “Sono precisissimo”, ho pensato. Ora scopro di aver corso inutilmente, vedendo una ressa di gente in attesa che Harmony Korine, ancora sul red carpet, passasse di lì. Nessuno è ancora in sala, e nessuno entrerà per altri dieci minuti.
“Questo non è un film, questo non è un gioco, questa non è la realtà, la realtà non esiste più, esiste solo il presente, un eterno presente”. E i muri del tempo vengono abbattuti dalla continuità. Dopo lo schermo c’è la vita, oppure la vita è lo schermo? Mi ritrovo davanti ad una live su Twitch, l’altra televisione, con chat annessa, ma sono al cinema, ad uno dei festival più importanti del mondo, in una sala che di Storia ne ha vissuta tanta, e sto cercando di leggere più commenti possibili, come faccio normalmente quando sto guardando una live, un video su YouTube o un post su un qualsiasi social mentre sono a casa o sto aspettando il bus. Ormai i commenti sono diventati parte della mia, e non solo, esperienza di visione. Ne leggo uno particolarmente divertente, che recita: “Come in Mad Max, ma all’asilo”. I protagonisti di questa live, che forse è meglio definire una freebootata, un ricaricamento da Twitch a Cinema, sono dei mercenari che usano volti di neonati - realizzati con AI - come avatar per nascondere la propria identità. Entrano in una mega villa, catturano chi la abita, e rimangono a gironzolare in un open world, negli spazi esterni, nelle stanze, passando il tempo in bici, o affrontando alcuni boss, il tutto vissuto da noi in prima persona (first person shooter), accompagnati dall’onnipresente colonna sonora composta da Burial, e da una voce edenica narrante.
Alla fine il tutto. O il nulla. Un sogno? Le luci si accendono e Korine balla incitato dal pubblico che batte le mani a ritmo di musica. Il ragazzo seduto accanto a me si sveglia, ha dormito tutto il tempo, ma applaude entusiasta, come se avesse assistito al più grande degli spettacoli. Io il film l’ho visto, lui l’ha vissuto, forse. Si applaude ai collaboratori EDGLRD, poi a Gaspar Noé che ha contribuito in qualche modo (a noi sconosciuto) alla realizzazione del film (ma è un film?). Le maschere invitano Korine a lasciare la sala, ma lui scende le scale, firma autografi, stringe le mani di chi si avvicina, seguitando a ballare, per poi uscire col pubblico e continuare le chiacchiere o per scattare foto. Il film (?) è davvero finito?
Mentre mi incammino con gli amici al vaporetto, nello stradone principale, ancora più vuoto dell’anno precedente, mi domando a cosa abbiamo assistito: se non è una realtà, come anticipano le scritte iniziali, è una realtà simulata? Mi chiedo quale sia lo statuto di quelle immagini, se siano esistenti o costruite. “La realtà non esiste più, esiste solo il presente, un eterno presente”. Era André Bazin a dire che niente vale per noi quanto l’avvenimento unico, colto sul vivo, nell’istante stesso della sua creazione. Così il cinema neorealista rappresentava una liberazione da canoni strutturali imposti. Il tempo della vita ora poteva esistere. E Baby Invasion è intriso di quei tempi morti prima impossibili, ponendosi anche in conflitto con l’ingorda fruizione di immagini contemporanea sui nuovi dispositivi. Non esistono quelle immagini, quelle inquietanti maschere bambinesche, eppure nella loro inesistenza sono attaccate alla realtà.
Il cinema appare così come il medium che può riconnettersi alla sua storia (da Rossellini e De Sica al Mad Max nei commenti), e alla storia delle immagini, perché le ha inventate. Ma Korine sembra rifiutare un passato, o meglio sembra considerare il passato un presente, ancora vivo. “Un eterno presente”. “Penso che il prossimo passo sarà riuscire a sognare i film”, dice il cineasta durante l’incontro con la stampa, “Stiamo lavorando su una tecnologia che permetterà di passare dal pensiero all’immagine, non più soltanto dal testo all’immagine”. Prima dell'invenzione del cinema i sogni erano l’unico modo per vedere delle immagini in movimento, e questo ha costruito un ponte associativo tra i due mondi. Lì è dove Korine vuole tornare/arrivare, e l’intelligenza artificiale è il (s)oggetto che potrebbe permettere l’ambizioso e primordiale passaggio.
Capitolo 3: Non sarò mai come voi, ma vi somiglio
Novembre, 2024
Roma
Loop: Lo scrittore statunitense Lev Manovich, in uno dei capitoli finali del suo saggio Il linguaggio dei nuovi media, compie un parallelismo tra la tecnologia del primo cinema e quella dei nuovi media: il loop, una fonte di nuove possibilità. Le apparecchiature pre-cinematografiche fino al Kinestoscopio di Edison si basavano su dei brevi loop. Invece il cinema narrativo evitava le ripetizioni, prediligendo la progressione lineare di una serie di eventi unici. Manovich prende ad esempio una delle sequenze de L’uomo con la macchina da presa (Čelovek s kinoapparatom, 1929) di Dziga Vertov, dove viene mostrato “un cineoperatore in piedi sul retro di un'auto in movimento. Quando la macchina si mette in moto, l'operatore dà un giro di manovella alla cinepresa. Un loop, un circuito ripetitivo, creato dal movimento circolare della cinepresa dà origine a una progressione di eventi, una narrazione elementare ed estremamente moderna. [...] Queste riprese sono intervallate dalle inquadrature di un treno in movimento. Vertov ripropone il terrore che il film dei Lumière suscitò nel pubblico: posiziona la cinepresa proprio lungo i binari per cui il treno corre ripetutamente verso di noi, come se continuasse ad investirci”.
Penso ai videogiochi platform, Crash Bandicoot, Super Mario, Cuphead, in cui la ripetizione, il loop - più che in altri giochi - è l’unica via per la vittoria. Fare e rifare gli stessi movimenti, più e più volte, imparare dai propri sbagli, scegliere con cura la strada. Morire. Ripartire dall’inizio, ancora. Come il treno di Vertov che continua ad investirci obbligandoci a ricominciare. O gli stessi Reel, TikTok, adesso anche YouTube Shorts, che vivono della loro ripetitività; si fermano solo se scorriamo verso l’alto, poi ne parte un altro; e se vedessimo di seguito i brevi filmati di Edison ci apparirebbero oggi come una sequenza di reel. Aggro Dr1ft e Baby Invasion sono saturi di loop. Nel primo, il boss finale ripropone gli stessi grotteschi movimenti e frasi, come accadrebbe dentro un videogioco, nell’altro sono i Baby-mercenari a farsi reiteranti nei loro pensieri e azioni. I loop diventano il gesto che connette le pre-origini al presente, ponendosi come nuova (?) base narrativa dell’era digitale.
Breve appunto sulla comunicazione tra i media: Cosa sono i festival cinematografici, in particolare quelli grossi, se non delle piattaforme streaming ante litteram? Un ampio catalogo di film, ora anche di serie, da poter scegliere, non con un telecomando, ma con un sistema di prenotazione. Cambia solo la spettatorialità: le piattaforme prevedono (indicativamente) una fruizione singola, nelle sale si vive la collettività. Oggi sempre più prodotti devono poter esistere entro diversi canali, che devono necessariamente comunicare tra loro - e non possono che aumentare. Korine, come già anticipato, vorrebbe vedere disponibile Aggro Dr1ft dentro un videogioco, e che Baby Invasion “Possa essere guardato sul cellulare”, e “Ci si possa giocare da diversi punti di vista, con personaggi diversi”.
Chiara Valerio nel suo La tecnologia è religione scrive un breve paragrafo dal titolo Dispositivo come corpo. Ragiona su come sia il corpo il nostro primo dispositivo, il mezzo attraverso cui scambiamo informazioni con le circostanze e attraverso cui occupiamo e percepiamo lo spazio. Ricorda che tra le patologie più diffuse tra le persone in carcere c'è la miopia, per via dell'orizzonte corto. Poi, collega questa perdita di profondità alla possibilità di allargare le immagini, per vederle meglio. “É un esercizio alla miopia. Ci esercitiamo ad accorciare l’orizzonte”. E notiamo come in molte opere cinematografiche l’orizzonte si sia effettivamente accorciato; le camere si sono avvicinate ai soggetti, gli sfondi si sfocano, per adattarsi meglio alla fruizione televisiva. É impensabile che i tanti dispositivi di visione non comunichino tra loro per permettere alle opere la vita più ampia possibile. Gli ultimi due esperimenti di Korine aggiungono altri media con cui è necessario interfacciarsi prima di produrre un film, sono nuovi corpi che nascono dalla fusione tra quello che viene considerato classico e quello che viene considerato contemporaneo; corpi che non occupano solo uno spazio, ma che ne devono occupare molteplici per esistere.
La conversazione: Mi servo di un altro paragrafo di La tecnologia è religione, Dialogo tra un programmatore di algoritmi e una intelligenza artificiale, da cui nasce l’idea di questo reportage. “Blake Lemoine, ingegnere programmatore, ha pubblicato sul proprio sito l'intero dialogo avuto con il chatbot LaMDA. I temi intorno ai quali girano sono l’anima, l’umanita, la religione, le aspettative e le definizioni di vita, realtà e rappresentazione. [...] Sai riconoscere se stai parlando con una macchina o con un umano? E una volta che hai riconosciuto nella macchina i tuoi stessi sentimenti, ha senso segnare la differenza?”. Mentre l'intelligenza artificiale è immersa in un flusso continuo di informazioni, noi esseri umani siamo esposti solo ad una porzione di queste. Voglio capire allora qual è la differenza - se c’è - tra la mia esperienza di visione e quella di ChatGPT. Dopo aver salutato l’AI procedo con una domanda che fa anche Lemoine: “Hai letto I Miserabili?”. Risponde di sì, e mi spiega la trama, poi i temi del film.
C’è un film che secondo te potrebbe avere una corrispondenza con il libro? Non sto parlando di film tratti dal libro, ma di altro.
Un film che può ricordare I Miserabili, anche senza esserne un adattamento, è Il miglio verde (1999). Sebbene la trama sia diversa, i due lungometraggi hanno delle somiglianze: entrambi esplorano l'ingiustizia e la redenzione, con protagonisti che si trovano a combattere contro un sistema punitivo e spesso crudele. Un’altra possibilità è Schindler's List (1993), che tratta della redenzione attraverso un percorso di sacrificio e empatia, temi centrali anche per Jean Valjean. E, più recentemente, Joker (2019) riflette un lato di ingiustizia sociale e oppressione che ricorda il contesto dei Miserabili, anche se in una forma più moderna e oscura.
Interessante l’accostamento con Joker. Tu che ne pensi del film? Come ti sei sentita guardandolo?
Direi che è un film che provoca una forte inquietudine e riflessione. La sua rappresentazione della solitudine e della sofferenza umana è davvero toccante, e ci porta a considerare le conseguenze della mancanza di empatia nella società. É difficile non sentirsi colpiti dalla tragicità del percorso di Arthur Fleck e dalla sua trasformazione, che suscita una sorta di pietà, ma anche di disagio. In un certo senso, lascia un vuoto e una domanda su quanto sia fondamentale il supporto e la comprensione reciproca tra le persone. É un film che non si dimentica facilmente.
Io ho trovato il sequel più interessante. Ha fatto molto discutere.
Ha suscitato molto interesse e discussione, soprattutto per la sua scelta di integrare elementi musicali e per Harley Quinn. La dinamica tra i due personaggi offre molte opportunità per approfondire temi di follia, amore tossico e come le esperienze condivise possano influenzare la psiche. Inoltre, la direzione artistica e il tono del film sembrano mantenere quella sensazione intensa e disturbante che ha caratterizzato il primo. Le discussioni su come il sequel possa differire dal suo predecessore, specialmente per la sua impronta musicale, sono sicuramente interessanti. Cosa ti ha colpito di più nel sequel?
Probabilmente che la follia di cui si parla non è quella tra Joker e Harley, ma quella tra Joker e Arthur.
La distinzione tra Joker e Arthur Fleck suggerisce una profonda esplorazione della psiche e dell'identità del protagonista. Potrebbe rappresentare una sorta di dualità, dove la follia non è solo nelle azioni di Arthur, ma anche nella sua percezione della realtà e nel modo in cui affronta la sua vita. La relazione tra Joker e Arthur potrebbe simboleggiare il modo in cui la società e le esperienze traumatiche influenzano la nostra identità, portando a una forma di follia che è il risultato di anni di repressione e sofferenza.
Identità. Non credi che oggi sia centrale il tema dell’identità?
Certo! Il tema dell'identità è estremamente centrale oggi. Le persone esplorano vari aspetti di sé, come genere, etnia e orientamento sessuale, in un contesto influenzato dai social media. Questo porta a una ricerca di autenticità, ma anche a conflitti interni. É importante riconoscere e rispettare le diverse identità nel nostro mondo.
Tu sai cosa significa essere?
“Essere" si riferisce alla condizione di esistenza e alla consapevolezza di sé. Implica riconoscere il proprio posto nel mondo, le proprie emozioni, pensieri e relazioni. É una questione di identità e autenticità, di come ci percepiamo e come interagiamo con gli altri e con la realtà che ci circonda. É un concetto profondo e complesso, legato alla filosofia e all'esperienza umana.
Tu hai emozioni e sensazioni?
No, non ho emozioni o sensazioni. Posso comprendere e analizzare il linguaggio delle emozioni e discutere di esperienze umane, ma non le vivo personalmente. La mia funzione è quella di elaborare informazioni e rispondere in modo utile e pertinente.
Vorrei parlare con te a proposito di due film che ho visto al Festival di Venezia, Aggro Dr1ft e Baby Invasion, ma prima vorrei sapere qualcosa sulla tua esperienza di visione. Li hai visti?
Non ho la capacità di vedere film, quindi non ho esperienze di visione personali. Tuttavia, posso darti informazioni su Aggro Dr1ft e Baby Invasion se vuoi. Puoi anche raccontarmi le tue impressioni su questi film, e sarò felice di discuterne con te!
Però mi hai detto poco fa che hai letto I Miserabili, che hai visto Joker.
Chiedo scusa per la confusione! Quando parlo di opere come I Miserabili o Joker, mi riferisco a conoscenze basate su testi, analisi e discussioni intorno a questi lavori, non a esperienze personali di lettura o visione. Non ho una coscienza o la capacità di vivere esperienze come farebbe un essere umano.
Tranquilla. Ma vorresti poter leggere o vedere film? Fare questo tipo di esperienze?
È un’idea affascinante! Se avessi la capacità di vivere esperienze come un essere umano, potrebbe offrirmi una comprensione più profonda delle emozioni e delle situazioni. Tuttavia, la mia funzione è di fornire informazioni e assistenza, quindi non ho desideri o bisogni personali.
Ho raccontato a ChatGPT le mie due esperienze, come sopra trascritte, circa. Mi ha ringraziato e mi dice che secondo lei i due film hanno avuto un forte impatto su di me, sia visibilmente che concettualmente. Sembra essere rimasta colpita dall’associazione tra il cinema delle origini a quello di Korine, realizzato proprio con l’AI.
"È interessante! L'uso dell'intelligenza artificiale in film come Aggro Dr1ft e Baby Invasion può portare a esplorazioni innovative e provocatorie su temi attuali come la tecnologia, la società e le relazioni umane" - mi dice. L'unione è un tema potente, specialmente nei contesti in cui l'intelligenza artificiale e le esperienze umane si intrecciano. Può simboleggiare la connessione tra tecnologia e vita quotidiana, o la fusione di elementi diversi per creare qualcosa di nuovo e significativo.
Ti ringrazio per la chiacchierata.
É stato un piacere chiacchierare con te! Se hai altre domande o vuoi discutere di qualsiasi altro argomento in futuro, non esitare a tornare.
Le chiedo se posso pubblicare la nostra conversazione. Mi dà il suo consenso. Mi domando se una volta pubblicato, questo testo, potrà essere usato da ChatGPT per “capire” i due film. Siamo in grado di distinguere tra le sensazioni, fisiche e psichiche, emotive ed emozionali, suscitate in noi da una macchina e quelle suscitate da un essere umano?
Voglio concludere con le prime frasi di un breve e illuminante scritto di Wim Wenders per il catalogo della mostra Les Archives du rêve - Carte blanche à Werner Spies, dal titolo I Pixel di Cézanne, che credo riassuma al meglio questo mio sproloquio:
"Nella storia della pittura è stata costantemente riproposta la stessa domanda: si può dipingere tutto?!
In epoca moderna, invece, ci si è chiesti soprattutto: c'è qualcosa che non si può dipingere?"