Il percorso autoriale del regista
attraverso tre opere cardine,
di Francesco Sellitti
TR-100
07.05.2024
Molto spesso quando si pensa al regista David Cronenberg, il primo, immediato pensiero va al suo Videodrome, e decisamente non a torto. Sesso, violenza, malattie, ibridazioni meccaniche e molto altro si fondono armoniosamente in un’opera volta a una salace critica sociale. Certo, una fusione armoniosa di elementi non implica necessariamente una semplice comprensione. La prima visione di Videodrome è infatti destabilizzante: come pubblico ci troviamo immersi in una narrazione costantemente in bilico fra realismo e surrealismo, e mentre via via ci troviamo sempre più coinvolti e interpellati da una storia che parla di e a noi spettatori, giungiamo ad un finale criptico che eufemisticamente ci lascia con un senso di smarrimento e angoscia. E dopo aver riflettuto e analizzato il film ancora e ancora nei giorni successivi (perché stiamo parlando di quel tipo di opera che non finisce di occupare la mente allo scorrere dei titoli di coda), allora e solo allora… ci sentiamo ancora peggio.
La parabola di Max Renn viene per tutte queste ragioni spesso utilizzata come manifesto artistico dell’opera cronenberghiana, una summa poetica del suo stile e delle sue tematiche: ma è davvero così? Sono davvero riscontrabili tutte le principali tematiche dell’autore all’interno del suo film del 1983? E qualora ciò non corrispondesse al vero, quale film potrebbe sostituirlo? L’obiettivo della nostra ricerca è dunque il seguente: analizzare la filmografia del regista e scoprire quale sia la sua opera più personale, quella che più di tutte sia in grado di restituirci il vero e completo Cronenberg.
Ricercando la massima autorialità possibile, prenderemo in esame solamente i lungometraggi che sono stati sia scritti che diretti da Cronenberg; fra questi porremo l’attenzione principalmente su tre pellicole, ciascuna delle quali è considerabile come massima espressione di una determinata tematica ricorrente all’interno della poetica dell’autore. Scoprire Cronenberg in tre film è possibile? È giunto il momento di verificarlo.
Scanners (1981)
Reclutato dalla sezione di ricerca della multinazionale ConSec, Cameron Vale (Stephen Lack) scopre di essere uno “scanner”, un uomo dotato di straordinari poteri telepatici. Istruito dal dottor Routh (Patrick McGoohan), Cameron viene inviato a fermare Darryl Revok (Michael Ironside), uno scanner particolarmente potente e ambizioso a capo di un’organizzazione di telepatici pronti a minacciare la sicurezza della società.
Sembra quasi fuori luogo che un regista come Cronenberg, rinomato per essere uno dei principali esponenti del body horror, realizzi una pellicola il cui oggetto principale sia la telepatia. Cosa c’entra la telepatia con il corpo? Che posto ha nella poetica dell’autore? Una prima risposta sta nel modo in cui la telepatia viene interpretata dal regista: la connessione mentale in Scanners non è solamente di tipo comunicativo, legato quindi a un innocuo scambio di informazioni in una lingua che non preveda l’utilizzo della bocca, bensì anche di tipo coercitivo.
Uno scanner può non solo parlare con altri simili utilizzando la mente, ma è anche in grado di controllare le azioni degli altri esseri umani e degli scanner più deboli, come se avesse accesso e dominio sull’intero sistema nervoso dell’altro. Ancora più interessante è la deriva tecnologica di questa capacità sovrannaturale, in quanto gli scanner sono infatti in grado di controllare telepaticamente le moderne tecnologie elettroniche, come ad esempio i computer: non esiste dunque distinzione fra cervelli naturali e artificiali.
In quest’ottica è possibile interpretare la telepatia degli scanner come una sorta di hackeraggio biologico, un metodo di interferenza e controllo efficace su esseri umani e macchine, entrambi dipendenti da impulsi elettrici e predisposti alle impostazioni di un programmatore esterno. L’uomo “semplice” diventa quindi un essere inferiore, un semplice strumento nelle mani di uomini di potere o un curioso oggetto di studio per scienziati e ricercatori.
Nella filmografia di Cronenberg non è tuttavia in Scanners che ricerca scientifica e telepatia si incontrano per la prima volta, e per questo è bene dunque fare un passo indietro, in particolare al suo primo lungometraggio: Stereo, del 1969.
Il film è uno pseudo-documentario con richiami avanguardisti: registrato senza audio, in bianco e nero, con una colonna sonora composta solo da commenti e girato interamente allo Scarborough College (Ontario) con una manciata di attori. Stereo mostra la permanenza di un gruppo di ragazzi con poteri telepatici in un sanatorio, isolati per poterne studiare attitudini e capacità. Seguendo le azioni dei personaggi come fossero protagonisti di un reality show, Cronenberg ipotizza, e tenta di portare in scena con pochissimi mezzi, gli effetti che la telepatia potrebbe avere su dei ragazzi, analizzandoli e descrivendoli nella maniera più scientifica possibile.
Nell’evoluzione autoriale tra Stereo e Scanners è interessante notare come vengano ripresi non solo la tematica principale, ma anche uno specifico episodio narrativo: nella prima pellicola, nei commenti che ascoltiamo nelle fasi iniziali, viene raccontato di come uno dei soggetti dell’esperimento si sarebbe perforato la testa da solo con un trapano; nella seconda, l’antagonista principale, Darryl Revok, ha un foro sulla fronte che si è procurato autonomamente per ridurre la pressione telepatica nella sua testa… un foro realizzato ancora una volta con un trapano.
Stereo sembra inoltre creare un particolare legame fra telepatia e sessualità: nonostante la trasmissione di informazioni e sensazioni tra gli individui sia possibile utilizzando la mente, molto spesso i protagonisti si trovano a ricercare e sperimentare rapporti sessuali in varie modalità, che siano eterosessuali o omosessuali, in coppia o in guppo, a distanza o a contatto, giungendo infine ad ipotizzare la possibilità di una omni-sessualità. È probabile che una presenza così forte della tematica sessuale, ricercata senza limiti o preconcetti, sia stata influenzata dal contesto sociale rivoluzionario di fine anni Sessanta, tuttavia per Cronenberg queste non sono tematiche passeggere: telepatia e sesso, infatti, si sarebbero incontrati ancora molto più avanti nella sua filmografia, più precisamente nel 1991, con l’uscita di Naked Lunch(Il pasto nudo).
In una sorta di noir surreale, il film segue le vicende di William Lee (Peter Weller), scrittore e disinfestatore che viene assoldato da un'associazione di alieni come spia contro un’organizzazione nemica. Qualora doveste sentirvi confusi non preoccupatevi, fa parte del gioco. A dieci anni da Scanners, Cronenberg torna quindi a parlare di linguaggio mentale, questa volta declinandolo al massimo della straniamento: in Naked Lunch la telepatia diventa il linguaggio esclusivo degli scrittori, una capacità sensoriale che sfuma tra l’intuizione dell’artista e l’effetto stupefacente delle droghe che assume. Ciò è reso ben chiaro in un dialogo fra William Lee e Tom Frost (Ian Holm), in cui il labiale di Frost e la voce che ascoltiamo non sono corrispondenti, il tutto mentre lo stesso Frost spiega come la conversazione stia avvenendo in modo telepatico.
“Not consciously. This is all happening… telepathically. Nonconsciously” - Tom Forst
Ulteriore complicazione è data dalle macchine da scrivere, le quali assumono ciascuna una forma zoo/antropomorfa differente a seconda del modello di produzione e delle sensazioni che esse comunicano agli scrittori. In particolare, la scrittura appare in qualche modo legata alla sessualità, con le macchine per scrivere che sembrano provare piacere mentre vengono utilizzate. Esemplare è la scena in cui William ha un rapporto con Joan Frost (Judy Davis): dopo aver scritto entrambi sulla stessa macchina, questa si trasforma in un torso tentacolare antropomorfo dotato di cavità riproduttorie che tenta persino di unirsi all’amplesso fra i due. Sesso e telepatia si fondono dunque nella produzione artistica: la scrittura in questo senso diventa particolarmente efficace come metafora, in quanto l’autore, attraverso i propri testi, è in grado di trasmettere sensazioni fisiche al lettore mediante un legame quasi telepatico. La lettura di un testo, e per estensione la fruizione di un prodotto artistico, diventa quindi per Cronenberg un’esperienza erotica.
Dead Ringers (Inseparabili, 1988)
Due gemelli monozigoti, Beverly ed Elliot Mantle (Jeremy Irons), divengono dei luminari della chirurgia ginecologica. I due hanno sempre condiviso tutto, perfino le amanti, senza che ci fossero complicazioni, ma la situazione muta con l’arrivo dell'attrice Claire Niveau (Geneviève Bujold). Beverly si innamora della donna e il progressivo attaccamento emotivo tra i due mina il rapporto con il fratello.
Nella storia del cinema il tema del doppio è stato trattato infinite volte da numerosi autori, da Hitchcock con Vertigo (La donna che visse due volte, 1958) a Nolan con The Prestige (2006), e un regista come Cronenberg non poteva certo esimersi da un tale confronto. La duplicità dell’animo umano, freudianamente l’es emotivo e passionale e il super-io analitico e calcolatore, è qui incarnata nei gemelli Mantle da un singolo attore, Jeremy Irons. Il modo in cui Irons rappresenta queste due anime e come queste si relazionano con il mondo esterno, spesso confondendosi e intercambiandosi, rende subito chiare ed evidenti le nevrosi dell’essere umano, costantemente dilaniato da desideri conflittuali.
In questo senso è interessante considerare i gemelli a partire dai loro nomi: da una parte Beverly, nome femminile per il fratello più emotivo, colui che si innamora e si strugge per amore, lo studioso e il creatore delle nuove strumentazioni, l’artista tormentato che cade vittima delle sostanze stupefacenti; dall'altra Elliot, nome maschile per il fratello più razionale, manipolatore, l’esecutore dei risultati delle ricerche, colui che si interfaccia con il mondo esterno, quello che tutti invidiano e che raccoglie gli onori del lavoro svolto. Con questa caratterizzazione è chiara la concezione di Cronenberg secondo cui in ognuno di noi convivano una parte femminile e una maschile che vanno oltre le limitazioni e gli stereotipi di genere (questione già affrontata diversamente in Stereo).
Queste due anime sono dunque complementari, ma non sono autonomamente indipendenti: ciascuna infatti trova il proprio senso nella collaborazione con l’altra, trovandosi in difficoltà e persino ad invidiare la controparte nel momento in cui si trova da sola. Esemplari sono in questo senso la scena in cui Beverly irrompe durante uno dei discorsi del fratello, completamente ubriaco e reclamante i propri meriti, e quella in cui Elliot si trova a letto con due prostitute, chiedendo di essere chiamato da una con il proprio nome e dall’altra col nome del fratello.
In tutto questo continuo gioco di rimandi e di specchi, la cifra stilistica di Cronenberg è ben evidente nella scrittura e nell’estetica di determinati elementi. Un primo esempio è riscontrabile nella natura di Claire Niveau, la quale, a seguito di una visita ginecologica dai Mantle, scopre di avere un utero triforcuto; un altro è visivamente notabile nel design degli attrezzi chirurgici ideati da Beverly, degli utensili di metallo organiforme simili a strumenti di tortura. Mutazioni fisiche e sincrasie fra organico e meccanico sono tematiche spesso presenti nella filmografia di Cronenberg, e in un film su delle persone che di mestiere utilizzano strumenti metallici per indagare l’interno di esseri umani non potevano certo mancare. Oltre a queste, Dead Ringers affronta in maniera esplicita e diretta un altro tema caro al regista, ossia il mondo della medicina, della ricerca e della scienza in generale.
Spesso nelle opere di Cronenberg sono presenti degli scienziati, non di rado dei medici ricercatori, che se non sono strettamente protagonisti risultano quantomeno fra i principali motori narrativi della storia. Esempio sopracitato è per l’appunto Stereo, il cui fulcro è proprio l’esperimento di un ricercatore, ma ancora più calzante è il primo lungometraggio del regista dotato di dialoghi registrati, ovvero Shivers (Il demone sotto la pelle, 1975). La trama ruota attorno ad una malattia che gradualmente si diffonde all’interno di un resort su un’isola, mentre il dottor Roger St. Luc (Paul Hampton) tenta di evitarne la proliferazione. Ovviamente si parla di Cronenberg, quindi la malattia non può avere dei connotati comuni: si parla infatti di un parassita, trasmissibile attraverso rapporti sessuali, in grado di tramutare l’ospite in uno zombie assetato di sesso, e qualora il parassita dovesse diffondersi su larga scala, il mondo intero diverrebbe una gigantesca orgia collettiva.
Il parassita è dunque presentato come una via di mezzo fra un potente afrodisiaco e una malattia venerea, il che rende possibile una duplice interpretazione dell’amplesso: il sesso è foriero di morbi o è un morbo il sesso stesso? Un concetto molto simile è presente anche nel successivo Rabid - Sete di sangue (1977), in cui la giovane e avvenente Rose (Marilyn Chambers), a seguito di un incidente stradale, viene soccorsa e monitorata in una vicina clinica chirurgica, ma al suo risveglio si ritrova con una un’irrefrenabile sete di sangue umano.
Il rimando alla sfera sessuale è dato dalle modalità d’azione della nuova Rose: prima seduce le proprie vittime, poi le penetra con una protuberanza acuminata - che le spunta da sotto l’ascella - attraverso cui ne succhia il sangue contagiandole con un virus che le trasforma in una sorta di zombie. Evidentemente in quel periodo Cronenberg era in fissa con Romero. Degno di nota è però il fatto che buona parte della storia sia ambientata al centro di chirurgia, e che qui i protagonisti principali siano proprio i medici che monitorano e studiano il caso di Rose, senza riuscire però pienamente a comprenderlo e controllarlo.
Una simile dinamica, ma a rapporti inversi, viene ripresa qualche anno dopo in The Brood (Brood - La covata malefica,1979). La storia segue il dottor Raglan (Oliver Reed), uno psichiatra che ha in cura nella propria clinica Nola (Samantha Eggar), una madre di famiglia affetta da un particolare disturbo; nel mentre, il marito di Nola, Frank (Art Hindle) e la figlia Candice (Cindy Hinds) si trovano a fronteggiare degli strani omicidi che coinvolgono persone a loro vicine.
In questo film il dottore non è uno dei protagonisti, bensì l’antagonista principale della narrazione, colui che segrega Nola per i suoi studi impedendo a Frank di scoprire la verità. The Brood tenta quindi una sintesi delle tematiche care al regista fino a quel momento: oltre al citato ambito scientifico, ritroviamo il tema della mutazione, esplicitato fisicamente dal personaggio di Nola nel finale, e quello della telepatia. Gli omicidi infatti vengono perpetrati da una serie di ominidi, simili a nanetti, che sono il tangibile frutto dell’emotività incontrollata e dei disturbi psichici di Nola: quando lei prova un’emozione forte, quest’ultima viene trasmessa telepaticamente agli ominidi, i quali la convertono in azioni spesso aggressive e violente. E in buona sostanza, se questi ominidi se ne vanno in giro a seminare zizzania indisturbati, significa che nonostante i suoi sforzi anche il dottor Raglan non è stato in grado di controllare il proprio caso di studio.
Ancora qualche anno più tardi, Cronenberg realizza forse il film che più di tutti mostra l’impossibilità della scienza di controllare appieno i suoi esperimenti: The Fly (La mosca,1986). Il plot, infatti, si concentra su Seth Brundle (Jeff Goldblum), uno scienziato impegnato in una ricerca sul teletrasporto che decide di mostrare il proprio laboratorio alla giornalista Veronica Quaife (Geena Davis). I due diventano collaboratori e compagni, ma il rapporto si complica nel momento in cui, per errore, durante un esperimento una mosca entra in un macchinario assieme a Seth, fondendosi con lui a livello cellulare.
Cronenberg realizza qui un riadattamento de L’esperimento del dottor K. (1958) di Kurt Neumann, a sua volta tratto dal racconto La mosca di George Langelaan del 1957. L’attenzione del regista in questa nuova versione anni Ottanta è rivolta principalmente alla graduale mutazione di Seth da uomo a mosca-umana, supportato da un comparto tecnico che valse alla pellicola l’Oscar per il miglior trucco a Chris Walas (regista poi del sequel La mosca 2) e Stephan Dupuis. La disgustosa e disturbante mutazione fisica dello scienziato è però solamente il contraltare visivo di una trasformazione emotiva del personaggio: l’incidente con la mosca infatti non è presente nelle premesse della narrazione, bensì avviene a circa un terzo della pellicola, a storia già avviata. Tutta la parte iniziale vuole quindi presentarci più attentamente la personalità di Seth, mostrando come la sua corruzione, dovuta all’ambizione e soprattutto alla gelosia nei confronti di Veronica, inizi già prima che si trasformi in uno scioccante ibrido, e come dunque il mostro sia solo un’esteriorizzazione estrema di tale degenerazione.
Alcuni degli effetti secondari della mutazione dello scienziato sono inoltre riscontrabili in altre pellicole che abbiamo già citato, come ad esempio in quello che potremmo ora definire come “afrodisia da mutazione” - già presente in Shivers e Rabid - a seguito di cui si palesa una trasformazione dove l’appetito sessuale cresce a dismisura. Dopo l’incidente anche Seth diviene preda di un irrefrenabile impulso che lo porta prima a stremare la compagna (fortunatamente non in maniera letale come accadeva con Rose o gli altri infetti), e poi a voler andare oltre il semplice rapporto sessuale, oltre il limite imposto dalla carne.
"I'm talking about penetration beyond the veil of the flesh - a deep, penetrating dive into the plasma pool" - Seth Brundle
Un altro rimando registico legato invece alla scenografia è dato dalla trasformazione del laboratorio stesso: uno spazio inizialmente pulito e ordinato che progressivamente diviene sporco e caotico, duplicando anche nell’ambiente la degenerazione del protagonista. Medesimo effetto è riscontrabile proprio in Dead Ringers, in cui lo studio dei gemelli Mantle perde sempre più il proprio ordine man mano che il rapporto fra i due fratelli viene corrotto.
Una piccola menzione d’onore, correlata sempre all’ambito scientifico nella filmografia dell’autore, va a Cosmopolis (2012). La pellicola è incentrata sul giovane miliardario Eric Packer (Robert Pattinson), il quale, in una giornata di crisi per Wall Street, vuole dirigersi dal proprio barbiere di fiducia in limousine. La vettura funge sostanzialmente da ufficio, e nel percorso Eric si interfaccia con varie figure. Una in particolare però lo turba: il medico. A seguito di una visita di controllo, scopre di avere la prostata asimmetrica e tale informazione lo porterà ad interrograsi per tutto il film su quale sia il significato della propria deformità. Sì, forse messa così può suonare un po’ ridicola, ma nella pellicola diviene una questione affrontata con la massima serietà.
Seppur in maniera atipica, e con una sobrietà in contrasto con lo stile grottesco usuale di Cronenberg, anche in Cosmopolis viene trattato il tema della mutazione, divenendo qui un punto di partenza per una ricerca filosofica a cui, ancora una volta, la scienza non è in grado di dare una risposta. Il regista sembra dunque fare di tutto per mostrare il rovescio della medaglia di quella branca del sapere che vorrebbe avere il controllo su qualsiasi aspetto dell’esistenza e la risposta a ogni domanda: la verità però è che la scienza è fallibile per sua stessa natura e l’illusione della sua onniscienza è solo il frutto della hybris umana.
Crimes of the Future (2022)
Saul Tenser (Viggo Mortensen) è in grado di generare all’interno del proprio corpo dei nuovi organi in maniera naturale e sfrutta tale condizione per delle performance artistiche, facendosi asportare pubblicamente ogni nuovo organo dalla collega Caprice (Léa Seydoux). Il loro concetto di arte verrà però messo in discussione quando un uomo proporrà ai due di eseguire una pubblica autopsia del giovanissimo figlio morto, garantendo sorprese al suo interno.
Una distopia in piena regola quella presentata in Crimes of the Future: una società al collasso in un mondo decadente e abbandonato a sé stesso, una popolazione ormai insensibile e apatica alla ricerca della trasgressione più estrema per ritrovare quelle sensazioni perdute… e parlando di Cronenberg, tutto questo è chiaramente restituito nella maniera più fisica possibile. Nel futuro ipotizzato dall’autore, infatti, il progresso biologico e tecnologico ha fatto sì che le persone non abbiano più la percezione del dolore, rendendo quindi ogni ferita non più causa di sofferenza e insegnamento per una futura autoconservazione, bensì un’occasione di esplorazione corporale, il più delle volte generatrice di libidine sessuale. Eliminando il dolore, un’apertura nella carne diviene un’opportunità per esplorare il corpo in maniera inusuale, rendendo di fatto la chirurgia la nuova frontiera del sesso. Il superamento dei limiti, in realtà, è uno dei temi centrali all’interno del film, e viene declinato in diversi ambiti: oltre al sesso, anche l’arte supera i propri confini, utilizzando il corpo come vero e proprio materiale espressivo, plasmabile e alterabile a piacimento dell’artista.
Il confine forse più importante che viene però oltrepassato è quello biologico: se da una parte Saul è in grado di generare nuovi organi, dall’altra una nuova categoria di esseri umani sta prendendo parte nella società, ossia i mangiaplastica. Questi ultimi sono uomini che hanno modificato il proprio sistema digerente per poter assimilare anche sostanze sintetiche normalmente nocive, per potersi meglio adattare ad un mondo ormai corrotto dall’inquinamento. Una nuova frontiera per l’uomo. Una necessaria evoluzione. Il personaggio di Saul diviene quindi simbolo delle capacità di adattamento delle forme di vita rispetto all’ambiente circostante, una pulsione vitale costantemente repressa da una filosofia industriale che invece si oppone ad ogni forma di cambiamento.
Saul, come tanti altri, per espletare le sue normali funzioni vitali come dormire o mangiare, ha bisogno di alcuni macchinari in grado di adattarsi al suo corpo per semplificarne le attività: così il suo letto si muove per poter conciliare meglio il sonno e la sedia ha spasmi per favorire l’ingoio e la digestione. Le società produttrici di queste macchine, così come i servizi governativi con cui Saul si trova a collaborare, sono tutti contrari all’evoluzione dell’uomo, in quanto un suo cambiamento significa una potenziale perdita di controllo su di esso. E così le macchine che in teoria dovrebbero essere di supporto a Saul per ciò che viene considerato un problema, un malfunzionamento dell’organismo, si rivelano essere delle gabbie per la sua natura mutevole, così come è la natura stessa dell’essere umano. Per poter andare avanti, per evolversi, è necessario abbracciare il cambiamento.
Bisogna anche riconoscere che il cambiamento non è solo osteggiato da chi è al potere, ma spesso anche dalle persone semplici, che hanno soltanto paura. La pellicola si apre proprio con una madre che uccide il proprio figlio poiché considerato troppo dissimile da lei: per una donna “normale” vedere il suo bambino mangiare con gusto oggetti di plastica (secernendo una bava acida per digerirli meglio esattamente come avveniva per il dottor Brundle ne La mosca) di sicuro rappresenta una sfida cognitiva non indifferente. Ma allo stesso tempo permanere nello stesso stato ignorando il cambiamento equivale alla morte. La stagnazione è per natura sinonimo di annichilimento.
Ma tutto questo interesse di Cronenberg per il futuro, l’adattamento, l’evoluzione, è forse una novità dell’ultimo minuto? La risposta è molto semplice ed è presente già in una sua pellicola del 1970: Crimes of the Future. Ebbene sì, il secondo lungometraggio di Cronenberg porta lo stesso titolo del suo (attuale) ultimo. La questione non deve tuttavia trarre in inganno, dato che le due pellicole sono quasi interamente indipendenti. La narrazione segue infatti il dottor Adrian Tripod (Ronald Mlodzik) nei suoi incontri con personaggi bizzarri che cercano di adattarsi a un mondo in cui, a causa di un’epidemia causata dai cosmetici, tutte le donne di età post-puberale sono morte. Ogni uomo cerca di colmare l’assenza del femminile come può, chi col trucco, chi con il travestimento, chi con l’archeologia di indumenti e chi, in extremis, con la pedofilia.
Gli unici importanti punti di contatto fra le pellicole omonime sono l’immaginazione di una possibile distopia (un mondo inquinato e senza dolore da un lato e uno senza donne dall’altro) e la presenza di un particolare personaggio: seppur privo di nome, già nella pellicola del ‘70 è presente un uomo in grado di generare autonomamente nuovi organi, ognuno unico ma senza scopo. Tale malattia viene definita come “cancro creativo”. Saul Tenser dunque è sempre stato un personaggio latente in Cronenberg e che solamente nel 2022 ha trovato la propria dimensione.
Il concetto di evoluzione inteso come nuova frontiera dell’uomo e della società trova invece piena applicazione nel rapporto simbiotico con la tecnologia nel sopracitato, e famigerato, Videodrome (1983). Max Renn (James Woods) è il proprietario di una piccola TV che trasmette contenuti trasgressivi e, tramite uno dei suoi tecnici, scopre il segnale di un’emittente pirata che mostra “Videodrome”, un programma in cui dominano torture e violenze non simulate. Max inizia dunque ad indagare sulla trasmissione, rimanendone progressivamente attratto e corrotto. Videodrome indaga il rapporto tra spettacolo e spettatore, tra realtà e finzione, tra uomo e macchina, tra piacere e dolore, tutto questo in un’unica opera in cui tutto è fisico, tutto è corpo: l’iconica scena in cui una mano armata di pistola attraversa lo schermo di un televisore come fosse una semplice membrana, o ancora quella in cui Max si scambia effusioni con un televisore pulsante, sono tangibili rappresentazioni del potere di assoggettamento che la trans-realtà tecnologica è in grado di esercitare su di noi. Ed è incredibile (e inquietante) come a distanza di oltre quarant’anni le dinamiche descritte rimangano ancora oggi estremamente attuali.
Ciò che il film prospetta per l’uomo del domani è una vera e propria interiorizzazione della tecnologia nella sfera dell’esistenza: in un mondo sempre più soggetto alle perversioni dello schermo, l’unica soluzione è accogliere il cambiamento ed elevarsi allo stadio successivo. Far sì che il verbo del video si faccia carne: un’ontologica fusione fra uomo e macchina, che porta però alla morte dell’essere umano naturale. Un concetto simile viene ripreso anche nel finale di The Fly, in cui l’ibrido si ritrova ibridato a sua volta con il macchinario del laboratorio. Una fisica fusione con la tecnologia che porta tuttavia all’annientamento.
Sulla stessa linea di Videodrome, nel 1999 debutta in sala eXistenZ, pellicola alle prese non più con la televisione ma con un suo derivato: il videogame. Alla presentazione di un nuovo videogioco in cui la realtà virtuale è in grado di sostituire quella fisica, un membro del pubblico attenta alla vita della programmatrice del gioco, Allegra Geller (Jennifer Jason Leigh); questa riesce a fuggire e, assieme all’addetto marketing Ted Pikul (Jude Law), cercherà di portare in salvo la propria creazione, “eXistenZ”, dalle grinfie dei realisti, assoluti detrattori della realtà virtuale.
Realtà. Ecco cosa vuole indagare eXistenz: cosa è la realtà? In questo senso il film è considerabile come un sequel spirituale di Videodrome, nel quale già si affermava "After all, there is nothing real outside our perception of reality", e attraverso l’idea fantascientifica (per l’epoca) della realtà virtuale Cronenberg esaspera tale assioma filosofico, mettendo costantemente alla prova l’individuazione del discrimine fra illusione tecnologica e mondo esistente. I personaggi della pellicola si perdono all’interno del gioco, smarrendo in toto il contatto con la realtà… e in fondo non è ciò che facciamo noi guardando il film stesso? Il fruitore di opere audiovisive entra come in stato di trance durante la proiezione, interamente rapito da quei mondi in cui può sperimentare migliaia di vite, … ma la realtà è fuori che aspetta e prima o poi reclamerà le dovute attenzioni.
Con eXistenZ l’autore prospetta ancor più di prima un mondo sempre più disconnesso dalla natura, dal concreto, dal reale, e tenta di avvertirci nel modo più diretto possibile attraverso la fazione dei realisti: come in Crimes of the Future (2022), quelli che appaiono come gli antagonisti della narrazione si rivelano al contrario come gli eroi della storia umana, coloro che si oppongono alla subordinazione della tecnologia e che permettono alla specie di continuare a vivere ed evolversi. A dimostrazione dell’assoggettamento alle macchine, è degno di nota quale sia in eXistenZ il mezzo attraverso cui è possibile giocare: un controller organico, contenente l’intero programma, collegato mediante un cavo simile a un cordone ombelicale direttamente al sistema nervoso del giocatore. Il cavo viene inserito in un piccolo foro aperto ad altezza della zona pelvica, in modo da essere facilmente connesso alla spina dorsale. Visivamente, Cronenberg mostra come la tecnologia penetri il suo fruitore, arrecandogli un piacere paragonabile a quello sessuale… ma come abbiamo visto fino ad ora, per il regista spesso piacere non è sinonimo di positività.
Parlando ancora di rapporto fra uomo e macchina, anche qui va una menzione d’onore a un film del 1996: Crash. La pellicola segue infatti le vicende di James Ballard (James Spader), il quale entra a far parte di un gruppo di persone sessualmente attratte dagli incidenti stradali. Qui il rapporto fra sesso, dolore e macchina è totale. All’interno della filmografia autoriale di Cronenberg, Crash è il film che più di tutti affronta la tematica sessuale, tanto che potremmo definrlo senza problemi come un prodotto erotico. Il sesso però non è fine a sé stesso, ma diviene il falso obiettivo posto per superare i propri limiti: all’interno della pellicola infatti viene spiegato come l’adrenalina rilasciata dopo essere sopravvissuti ad un incidente d’auto sia un potentissimo afrodisiaco, e l’amplesso subito successivo viene definito come la nuova frontiera del sesso. Sfiorare la morte è la condizione necessaria per superare i limiti del sesso tradizionale. È la sua evoluzione.
Risulta particolarmente curioso un dialogo del film tra James e Vaughan (Elias Koteas), in cui Cronenberg sembra mettere in discussione la propria filmografia precedente, considerando la fisica rimodellazione del corpo da parte della tecnologia come qualcosa di semplicemente fantascientifico, non in grado di cogliere l’essenza del reale avvenire.
James: “What about the reshaping of the human body by modern technology? I thought that was your project”
Vaughan: “That’s just a crude Sci-Fi concept. It kind of floats on the surface and doesn’t threaten anybody”
Ironia della sorte, il film subito successivo sarà proprio eXistenZ.
Il concetto di evoluzione in Cronenberg non risulta sempre uguale a sé stesso: nel corso della sua filmografia, la nuova frontiera dell’uomo viene vista come qualcosa di necessario e fortemente condizionata dal contesto circostante… ma non è sempre un cambiamento positivo. In pellicole come Videodrome o eXistenZ l’accettare passivamente il mutamento è sinonimo di autodistruzione, in quanto totale rinnegamento della condizione di natura. In Crimes of the Future (2022), invece, il nuovo adattamento è presentato come unica possibilità non solo di sopravvivenza, ma di rinascita. L’unico aspetto immutato nell’opera di Cronenberg è il rapporto conflittuale con la tecnologia: fino a quando sarà l’uomo ad avere il controllo su di essa sarà possibile continuare ad esistere, quando invece i ruoli si invertiranno l’uomo sarà costretto a distorcere sé stesso o a perire nel tentativo.
Alla luce di quanto analizzato, è possibile dunque trovare un film di Cronenberg che possa sostituire Videodrome come manifesto poetico? Quale tra Scanners, Dead Ringers e l’ultimo Crimes of the Future possono ricoprire questo ruolo? La risposta sembra ormai chiara: nessuno. O forse tutti, a dire il vero. E anzi, ad essere corretti non potremmo considerare nemmeno il solo Videodrome come singolo baluardo cronenberghiano.
David Cronenberg è un autore che, come ogni artista che si rispetti, muta opinioni e tecniche realizzative nel corso del tempo. Voler ridurre un regista a un singolo film equivarrebbe a ridurre a un’unica tela un pittore: è forse possibile affermare che basti ammirare la Monna Lisa per conoscere l’intero operato tecnico e poetico di Leonardo da Vinci?
Possibile invece è riscontrare tematiche ricorrenti: la telepatia, intimo linguaggio; la scienza, illusione del controllo; l’evoluzione, nuova frontiera dell’essere umano; il sesso, unione di eros e thanatos; la contaminazione fra uomo e tecnologia, falso Prometeo; l’arte, linguaggio che può cambiare il mondo. Questo e molto altro costituiscono l’operato di oltre cinquant’anni di un regista… e davvero c’è ancora qualcuno convinto che possa esistere un singolo manifesto poetico per un artista simile?
Il percorso autoriale del regista
attraverso tre opere cardine,
di Francesco Sellitti
TR-100
07.05.2024
Molto spesso quando si pensa al regista David Cronenberg, il primo, immediato pensiero va al suo Videodrome, e decisamente non a torto. Sesso, violenza, malattie, ibridazioni meccaniche e molto altro si fondono armoniosamente in un’opera volta a una salace critica sociale. Certo, una fusione armoniosa di elementi non implica necessariamente una semplice comprensione. La prima visione di Videodrome è infatti destabilizzante: come pubblico ci troviamo immersi in una narrazione costantemente in bilico fra realismo e surrealismo, e mentre via via ci troviamo sempre più coinvolti e interpellati da una storia che parla di e a noi spettatori, giungiamo ad un finale criptico che eufemisticamente ci lascia con un senso di smarrimento e angoscia. E dopo aver riflettuto e analizzato il film ancora e ancora nei giorni successivi (perché stiamo parlando di quel tipo di opera che non finisce di occupare la mente allo scorrere dei titoli di coda), allora e solo allora… ci sentiamo ancora peggio.
La parabola di Max Renn viene per tutte queste ragioni spesso utilizzata come manifesto artistico dell’opera cronenberghiana, una summa poetica del suo stile e delle sue tematiche: ma è davvero così? Sono davvero riscontrabili tutte le principali tematiche dell’autore all’interno del suo film del 1983? E qualora ciò non corrispondesse al vero, quale film potrebbe sostituirlo? L’obiettivo della nostra ricerca è dunque il seguente: analizzare la filmografia del regista e scoprire quale sia la sua opera più personale, quella che più di tutte sia in grado di restituirci il vero e completo Cronenberg.
Ricercando la massima autorialità possibile, prenderemo in esame solamente i lungometraggi che sono stati sia scritti che diretti da Cronenberg; fra questi porremo l’attenzione principalmente su tre pellicole, ciascuna delle quali è considerabile come massima espressione di una determinata tematica ricorrente all’interno della poetica dell’autore. Scoprire Cronenberg in tre film è possibile? È giunto il momento di verificarlo.
Scanners (1981)
Reclutato dalla sezione di ricerca della multinazionale ConSec, Cameron Vale (Stephen Lack) scopre di essere uno “scanner”, un uomo dotato di straordinari poteri telepatici. Istruito dal dottor Routh (Patrick McGoohan), Cameron viene inviato a fermare Darryl Revok (Michael Ironside), uno scanner particolarmente potente e ambizioso a capo di un’organizzazione di telepatici pronti a minacciare la sicurezza della società.
Sembra quasi fuori luogo che un regista come Cronenberg, rinomato per essere uno dei principali esponenti del body horror, realizzi una pellicola il cui oggetto principale sia la telepatia. Cosa c’entra la telepatia con il corpo? Che posto ha nella poetica dell’autore? Una prima risposta sta nel modo in cui la telepatia viene interpretata dal regista: la connessione mentale in Scanners non è solamente di tipo comunicativo, legato quindi a un innocuo scambio di informazioni in una lingua che non preveda l’utilizzo della bocca, bensì anche di tipo coercitivo.
Uno scanner può non solo parlare con altri simili utilizzando la mente, ma è anche in grado di controllare le azioni degli altri esseri umani e degli scanner più deboli, come se avesse accesso e dominio sull’intero sistema nervoso dell’altro. Ancora più interessante è la deriva tecnologica di questa capacità sovrannaturale, in quanto gli scanner sono infatti in grado di controllare telepaticamente le moderne tecnologie elettroniche, come ad esempio i computer: non esiste dunque distinzione fra cervelli naturali e artificiali.
In quest’ottica è possibile interpretare la telepatia degli scanner come una sorta di hackeraggio biologico, un metodo di interferenza e controllo efficace su esseri umani e macchine, entrambi dipendenti da impulsi elettrici e predisposti alle impostazioni di un programmatore esterno. L’uomo “semplice” diventa quindi un essere inferiore, un semplice strumento nelle mani di uomini di potere o un curioso oggetto di studio per scienziati e ricercatori.
Nella filmografia di Cronenberg non è tuttavia in Scanners che ricerca scientifica e telepatia si incontrano per la prima volta, e per questo è bene dunque fare un passo indietro, in particolare al suo primo lungometraggio: Stereo, del 1969.
Il film è uno pseudo-documentario con richiami avanguardisti: registrato senza audio, in bianco e nero, con una colonna sonora composta solo da commenti e girato interamente allo Scarborough College (Ontario) con una manciata di attori. Stereo mostra la permanenza di un gruppo di ragazzi con poteri telepatici in un sanatorio, isolati per poterne studiare attitudini e capacità. Seguendo le azioni dei personaggi come fossero protagonisti di un reality show, Cronenberg ipotizza, e tenta di portare in scena con pochissimi mezzi, gli effetti che la telepatia potrebbe avere su dei ragazzi, analizzandoli e descrivendoli nella maniera più scientifica possibile.
Nell’evoluzione autoriale tra Stereo e Scanners è interessante notare come vengano ripresi non solo la tematica principale, ma anche uno specifico episodio narrativo: nella prima pellicola, nei commenti che ascoltiamo nelle fasi iniziali, viene raccontato di come uno dei soggetti dell’esperimento si sarebbe perforato la testa da solo con un trapano; nella seconda, l’antagonista principale, Darryl Revok, ha un foro sulla fronte che si è procurato autonomamente per ridurre la pressione telepatica nella sua testa… un foro realizzato ancora una volta con un trapano.
Stereo sembra inoltre creare un particolare legame fra telepatia e sessualità: nonostante la trasmissione di informazioni e sensazioni tra gli individui sia possibile utilizzando la mente, molto spesso i protagonisti si trovano a ricercare e sperimentare rapporti sessuali in varie modalità, che siano eterosessuali o omosessuali, in coppia o in guppo, a distanza o a contatto, giungendo infine ad ipotizzare la possibilità di una omni-sessualità. È probabile che una presenza così forte della tematica sessuale, ricercata senza limiti o preconcetti, sia stata influenzata dal contesto sociale rivoluzionario di fine anni Sessanta, tuttavia per Cronenberg queste non sono tematiche passeggere: telepatia e sesso, infatti, si sarebbero incontrati ancora molto più avanti nella sua filmografia, più precisamente nel 1991, con l’uscita di Naked Lunch(Il pasto nudo).
In una sorta di noir surreale, il film segue le vicende di William Lee (Peter Weller), scrittore e disinfestatore che viene assoldato da un'associazione di alieni come spia contro un’organizzazione nemica. Qualora doveste sentirvi confusi non preoccupatevi, fa parte del gioco. A dieci anni da Scanners, Cronenberg torna quindi a parlare di linguaggio mentale, questa volta declinandolo al massimo della straniamento: in Naked Lunch la telepatia diventa il linguaggio esclusivo degli scrittori, una capacità sensoriale che sfuma tra l’intuizione dell’artista e l’effetto stupefacente delle droghe che assume. Ciò è reso ben chiaro in un dialogo fra William Lee e Tom Frost (Ian Holm), in cui il labiale di Frost e la voce che ascoltiamo non sono corrispondenti, il tutto mentre lo stesso Frost spiega come la conversazione stia avvenendo in modo telepatico.
“Not consciously. This is all happening… telepathically. Nonconsciously” - Tom Forst
Ulteriore complicazione è data dalle macchine da scrivere, le quali assumono ciascuna una forma zoo/antropomorfa differente a seconda del modello di produzione e delle sensazioni che esse comunicano agli scrittori. In particolare, la scrittura appare in qualche modo legata alla sessualità, con le macchine per scrivere che sembrano provare piacere mentre vengono utilizzate. Esemplare è la scena in cui William ha un rapporto con Joan Frost (Judy Davis): dopo aver scritto entrambi sulla stessa macchina, questa si trasforma in un torso tentacolare antropomorfo dotato di cavità riproduttorie che tenta persino di unirsi all’amplesso fra i due. Sesso e telepatia si fondono dunque nella produzione artistica: la scrittura in questo senso diventa particolarmente efficace come metafora, in quanto l’autore, attraverso i propri testi, è in grado di trasmettere sensazioni fisiche al lettore mediante un legame quasi telepatico. La lettura di un testo, e per estensione la fruizione di un prodotto artistico, diventa quindi per Cronenberg un’esperienza erotica.
Dead Ringers (Inseparabili, 1988)
Due gemelli monozigoti, Beverly ed Elliot Mantle (Jeremy Irons), divengono dei luminari della chirurgia ginecologica. I due hanno sempre condiviso tutto, perfino le amanti, senza che ci fossero complicazioni, ma la situazione muta con l’arrivo dell'attrice Claire Niveau (Geneviève Bujold). Beverly si innamora della donna e il progressivo attaccamento emotivo tra i due mina il rapporto con il fratello.
Nella storia del cinema il tema del doppio è stato trattato infinite volte da numerosi autori, da Hitchcock con Vertigo (La donna che visse due volte, 1958) a Nolan con The Prestige (2006), e un regista come Cronenberg non poteva certo esimersi da un tale confronto. La duplicità dell’animo umano, freudianamente l’es emotivo e passionale e il super-io analitico e calcolatore, è qui incarnata nei gemelli Mantle da un singolo attore, Jeremy Irons. Il modo in cui Irons rappresenta queste due anime e come queste si relazionano con il mondo esterno, spesso confondendosi e intercambiandosi, rende subito chiare ed evidenti le nevrosi dell’essere umano, costantemente dilaniato da desideri conflittuali.
In questo senso è interessante considerare i gemelli a partire dai loro nomi: da una parte Beverly, nome femminile per il fratello più emotivo, colui che si innamora e si strugge per amore, lo studioso e il creatore delle nuove strumentazioni, l’artista tormentato che cade vittima delle sostanze stupefacenti; dall'altra Elliot, nome maschile per il fratello più razionale, manipolatore, l’esecutore dei risultati delle ricerche, colui che si interfaccia con il mondo esterno, quello che tutti invidiano e che raccoglie gli onori del lavoro svolto. Con questa caratterizzazione è chiara la concezione di Cronenberg secondo cui in ognuno di noi convivano una parte femminile e una maschile che vanno oltre le limitazioni e gli stereotipi di genere (questione già affrontata diversamente in Stereo).
Queste due anime sono dunque complementari, ma non sono autonomamente indipendenti: ciascuna infatti trova il proprio senso nella collaborazione con l’altra, trovandosi in difficoltà e persino ad invidiare la controparte nel momento in cui si trova da sola. Esemplari sono in questo senso la scena in cui Beverly irrompe durante uno dei discorsi del fratello, completamente ubriaco e reclamante i propri meriti, e quella in cui Elliot si trova a letto con due prostitute, chiedendo di essere chiamato da una con il proprio nome e dall’altra col nome del fratello.
In tutto questo continuo gioco di rimandi e di specchi, la cifra stilistica di Cronenberg è ben evidente nella scrittura e nell’estetica di determinati elementi. Un primo esempio è riscontrabile nella natura di Claire Niveau, la quale, a seguito di una visita ginecologica dai Mantle, scopre di avere un utero triforcuto; un altro è visivamente notabile nel design degli attrezzi chirurgici ideati da Beverly, degli utensili di metallo organiforme simili a strumenti di tortura. Mutazioni fisiche e sincrasie fra organico e meccanico sono tematiche spesso presenti nella filmografia di Cronenberg, e in un film su delle persone che di mestiere utilizzano strumenti metallici per indagare l’interno di esseri umani non potevano certo mancare. Oltre a queste, Dead Ringers affronta in maniera esplicita e diretta un altro tema caro al regista, ossia il mondo della medicina, della ricerca e della scienza in generale.
Spesso nelle opere di Cronenberg sono presenti degli scienziati, non di rado dei medici ricercatori, che se non sono strettamente protagonisti risultano quantomeno fra i principali motori narrativi della storia. Esempio sopracitato è per l’appunto Stereo, il cui fulcro è proprio l’esperimento di un ricercatore, ma ancora più calzante è il primo lungometraggio del regista dotato di dialoghi registrati, ovvero Shivers (Il demone sotto la pelle, 1975). La trama ruota attorno ad una malattia che gradualmente si diffonde all’interno di un resort su un’isola, mentre il dottor Roger St. Luc (Paul Hampton) tenta di evitarne la proliferazione. Ovviamente si parla di Cronenberg, quindi la malattia non può avere dei connotati comuni: si parla infatti di un parassita, trasmissibile attraverso rapporti sessuali, in grado di tramutare l’ospite in uno zombie assetato di sesso, e qualora il parassita dovesse diffondersi su larga scala, il mondo intero diverrebbe una gigantesca orgia collettiva.
Il parassita è dunque presentato come una via di mezzo fra un potente afrodisiaco e una malattia venerea, il che rende possibile una duplice interpretazione dell’amplesso: il sesso è foriero di morbi o è un morbo il sesso stesso? Un concetto molto simile è presente anche nel successivo Rabid - Sete di sangue (1977), in cui la giovane e avvenente Rose (Marilyn Chambers), a seguito di un incidente stradale, viene soccorsa e monitorata in una vicina clinica chirurgica, ma al suo risveglio si ritrova con una un’irrefrenabile sete di sangue umano.
Il rimando alla sfera sessuale è dato dalle modalità d’azione della nuova Rose: prima seduce le proprie vittime, poi le penetra con una protuberanza acuminata - che le spunta da sotto l’ascella - attraverso cui ne succhia il sangue contagiandole con un virus che le trasforma in una sorta di zombie. Evidentemente in quel periodo Cronenberg era in fissa con Romero. Degno di nota è però il fatto che buona parte della storia sia ambientata al centro di chirurgia, e che qui i protagonisti principali siano proprio i medici che monitorano e studiano il caso di Rose, senza riuscire però pienamente a comprenderlo e controllarlo.
Una simile dinamica, ma a rapporti inversi, viene ripresa qualche anno dopo in The Brood (Brood - La covata malefica,1979). La storia segue il dottor Raglan (Oliver Reed), uno psichiatra che ha in cura nella propria clinica Nola (Samantha Eggar), una madre di famiglia affetta da un particolare disturbo; nel mentre, il marito di Nola, Frank (Art Hindle) e la figlia Candice (Cindy Hinds) si trovano a fronteggiare degli strani omicidi che coinvolgono persone a loro vicine.
In questo film il dottore non è uno dei protagonisti, bensì l’antagonista principale della narrazione, colui che segrega Nola per i suoi studi impedendo a Frank di scoprire la verità. The Brood tenta quindi una sintesi delle tematiche care al regista fino a quel momento: oltre al citato ambito scientifico, ritroviamo il tema della mutazione, esplicitato fisicamente dal personaggio di Nola nel finale, e quello della telepatia. Gli omicidi infatti vengono perpetrati da una serie di ominidi, simili a nanetti, che sono il tangibile frutto dell’emotività incontrollata e dei disturbi psichici di Nola: quando lei prova un’emozione forte, quest’ultima viene trasmessa telepaticamente agli ominidi, i quali la convertono in azioni spesso aggressive e violente. E in buona sostanza, se questi ominidi se ne vanno in giro a seminare zizzania indisturbati, significa che nonostante i suoi sforzi anche il dottor Raglan non è stato in grado di controllare il proprio caso di studio.
Ancora qualche anno più tardi, Cronenberg realizza forse il film che più di tutti mostra l’impossibilità della scienza di controllare appieno i suoi esperimenti: The Fly (La mosca,1986). Il plot, infatti, si concentra su Seth Brundle (Jeff Goldblum), uno scienziato impegnato in una ricerca sul teletrasporto che decide di mostrare il proprio laboratorio alla giornalista Veronica Quaife (Geena Davis). I due diventano collaboratori e compagni, ma il rapporto si complica nel momento in cui, per errore, durante un esperimento una mosca entra in un macchinario assieme a Seth, fondendosi con lui a livello cellulare.
Cronenberg realizza qui un riadattamento de L’esperimento del dottor K. (1958) di Kurt Neumann, a sua volta tratto dal racconto La mosca di George Langelaan del 1957. L’attenzione del regista in questa nuova versione anni Ottanta è rivolta principalmente alla graduale mutazione di Seth da uomo a mosca-umana, supportato da un comparto tecnico che valse alla pellicola l’Oscar per il miglior trucco a Chris Walas (regista poi del sequel La mosca 2) e Stephan Dupuis. La disgustosa e disturbante mutazione fisica dello scienziato è però solamente il contraltare visivo di una trasformazione emotiva del personaggio: l’incidente con la mosca infatti non è presente nelle premesse della narrazione, bensì avviene a circa un terzo della pellicola, a storia già avviata. Tutta la parte iniziale vuole quindi presentarci più attentamente la personalità di Seth, mostrando come la sua corruzione, dovuta all’ambizione e soprattutto alla gelosia nei confronti di Veronica, inizi già prima che si trasformi in uno scioccante ibrido, e come dunque il mostro sia solo un’esteriorizzazione estrema di tale degenerazione.
Alcuni degli effetti secondari della mutazione dello scienziato sono inoltre riscontrabili in altre pellicole che abbiamo già citato, come ad esempio in quello che potremmo ora definire come “afrodisia da mutazione” - già presente in Shivers e Rabid - a seguito di cui si palesa una trasformazione dove l’appetito sessuale cresce a dismisura. Dopo l’incidente anche Seth diviene preda di un irrefrenabile impulso che lo porta prima a stremare la compagna (fortunatamente non in maniera letale come accadeva con Rose o gli altri infetti), e poi a voler andare oltre il semplice rapporto sessuale, oltre il limite imposto dalla carne.
"I'm talking about penetration beyond the veil of the flesh - a deep, penetrating dive into the plasma pool" - Seth Brundle
Un altro rimando registico legato invece alla scenografia è dato dalla trasformazione del laboratorio stesso: uno spazio inizialmente pulito e ordinato che progressivamente diviene sporco e caotico, duplicando anche nell’ambiente la degenerazione del protagonista. Medesimo effetto è riscontrabile proprio in Dead Ringers, in cui lo studio dei gemelli Mantle perde sempre più il proprio ordine man mano che il rapporto fra i due fratelli viene corrotto.
Una piccola menzione d’onore, correlata sempre all’ambito scientifico nella filmografia dell’autore, va a Cosmopolis (2012). La pellicola è incentrata sul giovane miliardario Eric Packer (Robert Pattinson), il quale, in una giornata di crisi per Wall Street, vuole dirigersi dal proprio barbiere di fiducia in limousine. La vettura funge sostanzialmente da ufficio, e nel percorso Eric si interfaccia con varie figure. Una in particolare però lo turba: il medico. A seguito di una visita di controllo, scopre di avere la prostata asimmetrica e tale informazione lo porterà ad interrograsi per tutto il film su quale sia il significato della propria deformità. Sì, forse messa così può suonare un po’ ridicola, ma nella pellicola diviene una questione affrontata con la massima serietà.
Seppur in maniera atipica, e con una sobrietà in contrasto con lo stile grottesco usuale di Cronenberg, anche in Cosmopolis viene trattato il tema della mutazione, divenendo qui un punto di partenza per una ricerca filosofica a cui, ancora una volta, la scienza non è in grado di dare una risposta. Il regista sembra dunque fare di tutto per mostrare il rovescio della medaglia di quella branca del sapere che vorrebbe avere il controllo su qualsiasi aspetto dell’esistenza e la risposta a ogni domanda: la verità però è che la scienza è fallibile per sua stessa natura e l’illusione della sua onniscienza è solo il frutto della hybris umana.
Crimes of the Future (2022)
Saul Tenser (Viggo Mortensen) è in grado di generare all’interno del proprio corpo dei nuovi organi in maniera naturale e sfrutta tale condizione per delle performance artistiche, facendosi asportare pubblicamente ogni nuovo organo dalla collega Caprice (Léa Seydoux). Il loro concetto di arte verrà però messo in discussione quando un uomo proporrà ai due di eseguire una pubblica autopsia del giovanissimo figlio morto, garantendo sorprese al suo interno.
Una distopia in piena regola quella presentata in Crimes of the Future: una società al collasso in un mondo decadente e abbandonato a sé stesso, una popolazione ormai insensibile e apatica alla ricerca della trasgressione più estrema per ritrovare quelle sensazioni perdute… e parlando di Cronenberg, tutto questo è chiaramente restituito nella maniera più fisica possibile. Nel futuro ipotizzato dall’autore, infatti, il progresso biologico e tecnologico ha fatto sì che le persone non abbiano più la percezione del dolore, rendendo quindi ogni ferita non più causa di sofferenza e insegnamento per una futura autoconservazione, bensì un’occasione di esplorazione corporale, il più delle volte generatrice di libidine sessuale. Eliminando il dolore, un’apertura nella carne diviene un’opportunità per esplorare il corpo in maniera inusuale, rendendo di fatto la chirurgia la nuova frontiera del sesso. Il superamento dei limiti, in realtà, è uno dei temi centrali all’interno del film, e viene declinato in diversi ambiti: oltre al sesso, anche l’arte supera i propri confini, utilizzando il corpo come vero e proprio materiale espressivo, plasmabile e alterabile a piacimento dell’artista.
Il confine forse più importante che viene però oltrepassato è quello biologico: se da una parte Saul è in grado di generare nuovi organi, dall’altra una nuova categoria di esseri umani sta prendendo parte nella società, ossia i mangiaplastica. Questi ultimi sono uomini che hanno modificato il proprio sistema digerente per poter assimilare anche sostanze sintetiche normalmente nocive, per potersi meglio adattare ad un mondo ormai corrotto dall’inquinamento. Una nuova frontiera per l’uomo. Una necessaria evoluzione. Il personaggio di Saul diviene quindi simbolo delle capacità di adattamento delle forme di vita rispetto all’ambiente circostante, una pulsione vitale costantemente repressa da una filosofia industriale che invece si oppone ad ogni forma di cambiamento.
Saul, come tanti altri, per espletare le sue normali funzioni vitali come dormire o mangiare, ha bisogno di alcuni macchinari in grado di adattarsi al suo corpo per semplificarne le attività: così il suo letto si muove per poter conciliare meglio il sonno e la sedia ha spasmi per favorire l’ingoio e la digestione. Le società produttrici di queste macchine, così come i servizi governativi con cui Saul si trova a collaborare, sono tutti contrari all’evoluzione dell’uomo, in quanto un suo cambiamento significa una potenziale perdita di controllo su di esso. E così le macchine che in teoria dovrebbero essere di supporto a Saul per ciò che viene considerato un problema, un malfunzionamento dell’organismo, si rivelano essere delle gabbie per la sua natura mutevole, così come è la natura stessa dell’essere umano. Per poter andare avanti, per evolversi, è necessario abbracciare il cambiamento.
Bisogna anche riconoscere che il cambiamento non è solo osteggiato da chi è al potere, ma spesso anche dalle persone semplici, che hanno soltanto paura. La pellicola si apre proprio con una madre che uccide il proprio figlio poiché considerato troppo dissimile da lei: per una donna “normale” vedere il suo bambino mangiare con gusto oggetti di plastica (secernendo una bava acida per digerirli meglio esattamente come avveniva per il dottor Brundle ne La mosca) di sicuro rappresenta una sfida cognitiva non indifferente. Ma allo stesso tempo permanere nello stesso stato ignorando il cambiamento equivale alla morte. La stagnazione è per natura sinonimo di annichilimento.
Ma tutto questo interesse di Cronenberg per il futuro, l’adattamento, l’evoluzione, è forse una novità dell’ultimo minuto? La risposta è molto semplice ed è presente già in una sua pellicola del 1970: Crimes of the Future. Ebbene sì, il secondo lungometraggio di Cronenberg porta lo stesso titolo del suo (attuale) ultimo. La questione non deve tuttavia trarre in inganno, dato che le due pellicole sono quasi interamente indipendenti. La narrazione segue infatti il dottor Adrian Tripod (Ronald Mlodzik) nei suoi incontri con personaggi bizzarri che cercano di adattarsi a un mondo in cui, a causa di un’epidemia causata dai cosmetici, tutte le donne di età post-puberale sono morte. Ogni uomo cerca di colmare l’assenza del femminile come può, chi col trucco, chi con il travestimento, chi con l’archeologia di indumenti e chi, in extremis, con la pedofilia.
Gli unici importanti punti di contatto fra le pellicole omonime sono l’immaginazione di una possibile distopia (un mondo inquinato e senza dolore da un lato e uno senza donne dall’altro) e la presenza di un particolare personaggio: seppur privo di nome, già nella pellicola del ‘70 è presente un uomo in grado di generare autonomamente nuovi organi, ognuno unico ma senza scopo. Tale malattia viene definita come “cancro creativo”. Saul Tenser dunque è sempre stato un personaggio latente in Cronenberg e che solamente nel 2022 ha trovato la propria dimensione.
Il concetto di evoluzione inteso come nuova frontiera dell’uomo e della società trova invece piena applicazione nel rapporto simbiotico con la tecnologia nel sopracitato, e famigerato, Videodrome (1983). Max Renn (James Woods) è il proprietario di una piccola TV che trasmette contenuti trasgressivi e, tramite uno dei suoi tecnici, scopre il segnale di un’emittente pirata che mostra “Videodrome”, un programma in cui dominano torture e violenze non simulate. Max inizia dunque ad indagare sulla trasmissione, rimanendone progressivamente attratto e corrotto. Videodrome indaga il rapporto tra spettacolo e spettatore, tra realtà e finzione, tra uomo e macchina, tra piacere e dolore, tutto questo in un’unica opera in cui tutto è fisico, tutto è corpo: l’iconica scena in cui una mano armata di pistola attraversa lo schermo di un televisore come fosse una semplice membrana, o ancora quella in cui Max si scambia effusioni con un televisore pulsante, sono tangibili rappresentazioni del potere di assoggettamento che la trans-realtà tecnologica è in grado di esercitare su di noi. Ed è incredibile (e inquietante) come a distanza di oltre quarant’anni le dinamiche descritte rimangano ancora oggi estremamente attuali.
Ciò che il film prospetta per l’uomo del domani è una vera e propria interiorizzazione della tecnologia nella sfera dell’esistenza: in un mondo sempre più soggetto alle perversioni dello schermo, l’unica soluzione è accogliere il cambiamento ed elevarsi allo stadio successivo. Far sì che il verbo del video si faccia carne: un’ontologica fusione fra uomo e macchina, che porta però alla morte dell’essere umano naturale. Un concetto simile viene ripreso anche nel finale di The Fly, in cui l’ibrido si ritrova ibridato a sua volta con il macchinario del laboratorio. Una fisica fusione con la tecnologia che porta tuttavia all’annientamento.
Sulla stessa linea di Videodrome, nel 1999 debutta in sala eXistenZ, pellicola alle prese non più con la televisione ma con un suo derivato: il videogame. Alla presentazione di un nuovo videogioco in cui la realtà virtuale è in grado di sostituire quella fisica, un membro del pubblico attenta alla vita della programmatrice del gioco, Allegra Geller (Jennifer Jason Leigh); questa riesce a fuggire e, assieme all’addetto marketing Ted Pikul (Jude Law), cercherà di portare in salvo la propria creazione, “eXistenZ”, dalle grinfie dei realisti, assoluti detrattori della realtà virtuale.
Realtà. Ecco cosa vuole indagare eXistenz: cosa è la realtà? In questo senso il film è considerabile come un sequel spirituale di Videodrome, nel quale già si affermava "After all, there is nothing real outside our perception of reality", e attraverso l’idea fantascientifica (per l’epoca) della realtà virtuale Cronenberg esaspera tale assioma filosofico, mettendo costantemente alla prova l’individuazione del discrimine fra illusione tecnologica e mondo esistente. I personaggi della pellicola si perdono all’interno del gioco, smarrendo in toto il contatto con la realtà… e in fondo non è ciò che facciamo noi guardando il film stesso? Il fruitore di opere audiovisive entra come in stato di trance durante la proiezione, interamente rapito da quei mondi in cui può sperimentare migliaia di vite, … ma la realtà è fuori che aspetta e prima o poi reclamerà le dovute attenzioni.
Con eXistenZ l’autore prospetta ancor più di prima un mondo sempre più disconnesso dalla natura, dal concreto, dal reale, e tenta di avvertirci nel modo più diretto possibile attraverso la fazione dei realisti: come in Crimes of the Future (2022), quelli che appaiono come gli antagonisti della narrazione si rivelano al contrario come gli eroi della storia umana, coloro che si oppongono alla subordinazione della tecnologia e che permettono alla specie di continuare a vivere ed evolversi. A dimostrazione dell’assoggettamento alle macchine, è degno di nota quale sia in eXistenZ il mezzo attraverso cui è possibile giocare: un controller organico, contenente l’intero programma, collegato mediante un cavo simile a un cordone ombelicale direttamente al sistema nervoso del giocatore. Il cavo viene inserito in un piccolo foro aperto ad altezza della zona pelvica, in modo da essere facilmente connesso alla spina dorsale. Visivamente, Cronenberg mostra come la tecnologia penetri il suo fruitore, arrecandogli un piacere paragonabile a quello sessuale… ma come abbiamo visto fino ad ora, per il regista spesso piacere non è sinonimo di positività.
Parlando ancora di rapporto fra uomo e macchina, anche qui va una menzione d’onore a un film del 1996: Crash. La pellicola segue infatti le vicende di James Ballard (James Spader), il quale entra a far parte di un gruppo di persone sessualmente attratte dagli incidenti stradali. Qui il rapporto fra sesso, dolore e macchina è totale. All’interno della filmografia autoriale di Cronenberg, Crash è il film che più di tutti affronta la tematica sessuale, tanto che potremmo definrlo senza problemi come un prodotto erotico. Il sesso però non è fine a sé stesso, ma diviene il falso obiettivo posto per superare i propri limiti: all’interno della pellicola infatti viene spiegato come l’adrenalina rilasciata dopo essere sopravvissuti ad un incidente d’auto sia un potentissimo afrodisiaco, e l’amplesso subito successivo viene definito come la nuova frontiera del sesso. Sfiorare la morte è la condizione necessaria per superare i limiti del sesso tradizionale. È la sua evoluzione.
Risulta particolarmente curioso un dialogo del film tra James e Vaughan (Elias Koteas), in cui Cronenberg sembra mettere in discussione la propria filmografia precedente, considerando la fisica rimodellazione del corpo da parte della tecnologia come qualcosa di semplicemente fantascientifico, non in grado di cogliere l’essenza del reale avvenire.
James: “What about the reshaping of the human body by modern technology? I thought that was your project”
Vaughan: “That’s just a crude Sci-Fi concept. It kind of floats on the surface and doesn’t threaten anybody”
Ironia della sorte, il film subito successivo sarà proprio eXistenZ.
Il concetto di evoluzione in Cronenberg non risulta sempre uguale a sé stesso: nel corso della sua filmografia, la nuova frontiera dell’uomo viene vista come qualcosa di necessario e fortemente condizionata dal contesto circostante… ma non è sempre un cambiamento positivo. In pellicole come Videodrome o eXistenZ l’accettare passivamente il mutamento è sinonimo di autodistruzione, in quanto totale rinnegamento della condizione di natura. In Crimes of the Future (2022), invece, il nuovo adattamento è presentato come unica possibilità non solo di sopravvivenza, ma di rinascita. L’unico aspetto immutato nell’opera di Cronenberg è il rapporto conflittuale con la tecnologia: fino a quando sarà l’uomo ad avere il controllo su di essa sarà possibile continuare ad esistere, quando invece i ruoli si invertiranno l’uomo sarà costretto a distorcere sé stesso o a perire nel tentativo.
Alla luce di quanto analizzato, è possibile dunque trovare un film di Cronenberg che possa sostituire Videodrome come manifesto poetico? Quale tra Scanners, Dead Ringers e l’ultimo Crimes of the Future possono ricoprire questo ruolo? La risposta sembra ormai chiara: nessuno. O forse tutti, a dire il vero. E anzi, ad essere corretti non potremmo considerare nemmeno il solo Videodrome come singolo baluardo cronenberghiano.
David Cronenberg è un autore che, come ogni artista che si rispetti, muta opinioni e tecniche realizzative nel corso del tempo. Voler ridurre un regista a un singolo film equivarrebbe a ridurre a un’unica tela un pittore: è forse possibile affermare che basti ammirare la Monna Lisa per conoscere l’intero operato tecnico e poetico di Leonardo da Vinci?
Possibile invece è riscontrare tematiche ricorrenti: la telepatia, intimo linguaggio; la scienza, illusione del controllo; l’evoluzione, nuova frontiera dell’essere umano; il sesso, unione di eros e thanatos; la contaminazione fra uomo e tecnologia, falso Prometeo; l’arte, linguaggio che può cambiare il mondo. Questo e molto altro costituiscono l’operato di oltre cinquant’anni di un regista… e davvero c’è ancora qualcuno convinto che possa esistere un singolo manifesto poetico per un artista simile?