

Superman nell'era
della convergenza mediale,
di Lorenzo Sartor
TR-133
25.07.2025
In quello che rappresenta uno dei video più chiacchierati e famigerati dei primi anni dalla nascita del Web, un uomo si getta da una delle due Torri Gemelle mentre queste stanno ancora crollando. Nel video, conosciuto in rete col titolo di “Lol Superman”, la sua figura svanisce nel fumo dell’esplosione, impedendo a chi guarda di vedere lo schianto. Già dal titolo si percepisce un sentimento di ironia, di scherno verso l’idea che, dopo la visione di immagini come queste, il cittadino statunitense possa ancora credere nel mito del supereroe emblema del sogno americano.
Ma ciò che è maggiormente interessante è in primis la natura da Lost media del documento: avendo il Web perso qualunque traccia del video, chi ne racconta non può fare altro che credere alla verità testimoniata da chi dice di averlo visto, entrando in contatto con le incoerenze nate da esposizioni sul contenuto del materiale che cambiano a seconda della versione narrata. C’è chi sostiene che nel video si vedano i corpi cadere al suolo, chi sostiene scompaiano senza lasciar traccia, chi ne confonde i contenuti con tutti quelli esistenti in Rete riguardanti quello che è l’evento più coperto e mediato del XXI secolo.
Nel suo saggio Fare la differenza (2014) Luca Malavasi dice che “l’evento reale non è stato semplicemente coperto, ma ricoperto. L’attentato solleva un problema che le teorie ontologiche del cinema conoscono bene: il problema della referenzialità del visivo, di quel legame logico, matematico e sensibile che l’immagine realizza nel suo rapporto con la realtà”. Secondo Malavasi questo spettatore scettico, che vive nell’epoca post-mediale e che ha assistito alla sovra-esposizione di immagini dell’11 settembre, è poco incline a riconoscere nel cinema un luogo di incontro col reale, come se la digitalizzazione avesse posto fine a quel rapporto di fiducia che aveva distinto il Novecento.
Come gli spettatori di film non credono più nelle immagini che vedono, è diventato impossibile per i nuovi lettori di fumetti credere nelle icone supereroistiche che hanno fatto la fortuna della nona arte americana. Tutto ciò l’ha intuito anche James Gunn, dato che nella sua ultima rilettura del personaggio più influente della storia della DC ha strettamente collegato l’incertezza verso le immagini proposte dai nuovi media con la sfiducia che il popolo americano sembra aver ormai riposto nella figura dell’uomo d’acciaio.

Le immagini dell'11 Settembre 2001
Superman è infatti immagine-emblema dell’America e la sfiducia verso la nazione, che nasce in seguito agli attentati di inizio millennio, non può che andare di pari passo con la diffidenza verso i valori portati avanti dalle sue figure più importanti. Prima di vedere come Gunn metta in discussione il nostro rapporto con l’icona del personaggio e il nuovo statuto delle immagini contemporanee, bisogna capire come, tra cinema e fumetto, sia cambiata la rappresentazione dell’eroe nel corso del nuovo millennio. Già nel suo medium di nascita la figura di Superman ha subito profondi mutamenti, sorti dall’impossibilità del lettore contemporaneo di credere ancora all’immagine che l’America voleva vendere di sé attraverso le sue storie.
Nel post-11 Settembre gli eroi fumettistici non sono più visti come il simulacro fantastico di ciò che l’America rappresenta agli occhi del mondo, ma come l’imitazione di ciò che essa vorrebbe far credere di essere. Successivamente a questo attacco alle certezze americane le nuove storie a fumetti devono fare i conti con un filtro inedito con cui questo nuovo lettore scettico guarda a tali racconti, ovvero quello dei nuovi media e della sfiducia verso l’immagine degli Stati Uniti, mentre questi invadono il Medio Oriente per esportare la democrazia occidentale.
Nel suo saggio The Mediated Hero: Superman in the Post 9/11 Era, Paul Thomas Enger discute di come gli autori moderni del personaggio abbiano reagito ai mutamenti della politica estera americana, inserendo elementi all’interno dei fumetti che stravolgono il codice morale del personaggio fumettistico per adattarlo allo smarrimento del contemporaneo. L’autore si focalizza sulla visione di Superman come immigrato e su come egli stesso possa essere vittima della paranoia discriminatoria verso tutti i cittadini americani di origini arabe, ma ancor più importante è come l’icona statunitense venga usata nei primi anni Duemila per abbandonare la difesa dello status quo del sistema di valori di stampo USA e mettere in discussione il concetto stesso di post-verità e le azioni dell’amministrazione Bush in Iraq.

Superman, emblema dell'eroe americano
Nel secondo volume di DC: New Frontier (Darwin Cooke, 2004) il personaggio di Superman passa dal seguire ciecamente le direttive governative al convincersi nel supportare una rivoluzione anti-occidentale avvenuta in un inesistente villaggio coreano. All’affermazione di Wonder Woman secondo cui “l’America in cui crediamo è un’ideale, non un’amministrazione”, il personaggio prima reagisce smarrito e poi assume consapevolezza di “di non voler più prendere parte alla persecuzione di cittadini liberi” e quindi alla politica estera di uno stato imperialista. Sempre nello stesso fumetto viene esplorato un inedito scetticismo verso i media, laddove le prime pagine delle testate fuorviano i lettori manipolando le notizie e riportando le storie con modalità che mettono in cattiva luce gli eroi che non portano avanti gli interessi nazionali, similmente a quanto accadrà poi nell’adattamento diretto da James Gunn con i nuovi media digitali.
Successivamente in For Tomorrow (Brian Azzarello/Jim Lee, 2005) il personaggio cercherà di fermare un conflitto tra due forze militari in Medio Oriente togliendo loro le armi e causando così un’escalation che porterà esclusivamente al perdurare della guerra e all’instaurarsi di un governo-fantoccio gestito dall’America. Nella storia il continuo dialogo tra Superman e un prete fungerà da simbolico confronto tra gli Stati Uniti e i cittadini che hanno smesso di credere nella sua immagine. Sicuramente il liberalismo americano di cui Superman è sempre stato emblema non ne esce completamente destabilizzato, ma da questo nuovo approccio si percepisce comunque la volontà del fumetto americano di abbracciare un nuovo status quo.
Anche al cinema la figura dell’uomo d’acciaio ha dovuto fare i conti con la crisi di valori causata dall’11 Settembre, reagendo di volta in volta con mutamenti sempre opposti gli uni agli altri. Fino a quel momento l’unica versione arrivata al cinema del personaggio era la quadrilogia uscita tra il 1978 e il 1987 interpretata da Christopher Reeve, in cui l’iconico eroe era ancora emblema di come gli Stati Uniti apparivano agli occhi dei suoi cittadini e poteva ergersi al di sopra del diritto internazionale per risolvere tra scroscianti applausi il conflitto della Guerra Fredda e i capricci dei leader mondiali.

Il Superman impersonata dall'attore Christopher Reeve
Nella prima rilettura cinematografica uscita dopo la caduta delle Torri, Superman Returns (Bryan Singer, 2006), l’eroe viene criticato per non essersi palesato durante le tragedie avvenute al paese in sua assenza. L’umanità sembra disorientata per la mancanza di un’icona a cui ispirarsi e la risposta del cineasta a questo smarrimento identitario risiede nel ritorno al passato e, come sostiene Mauro Antonini nella sua recensione, nel tendere verso “un eterno presente cristallizzato nel mettere in scena un eroe che al suo nascere è come se fosse esistito da sempre, che è apparso in tutti i media senza mai mutare, quasi fosse un diamante grezzo”. Nell’unica scena che rimanda alle immagini del giorno dell’attacco, il personaggio salva un aereo dirottato e che sta per schiantarsi contro i cittadini, senza che questo però dialoghi realmente con il trauma dell’evento reale. Una delle ragioni per cui questa lettura così classica e inviolata dal filtro mediale non ha ottenuto l’interesse del nuovo pubblico disilluso, nasce proprio dall’impossibilità di credere a quanto poteva essere credibile all’epoca del Superman di Reeve, ovvero che “un uomo potesse volare” e l’ingenuità politica che quel pensiero portava con sé.
All’estremo opposto troviamo il successivo reboot diretto da Zack Snyder, che nel dittico composto da Man of Steel (2013) e Batman V Superman: Dawn of Justice (2016), cala l’icona DC all’interno del contemporaneo statunitense, rendendo il personaggio simbolo di tutte le paranoie nei confronti di una potenziale invasione terroristica sul suolo americano. L’attacco di Zod (Michael Shannon) e dei suoi adepti alla città di Metropolis vuole esplicitamente riportare la memoria dello spettatore al disorientamento e alla devastazione dell’11 Settembre, mostrando un paese smarrito dinnanzi alla minaccia di ciò che viene dall’esterno. Lo stesso personaggio di Bruce Wayne (Ben Affleck) vedrà nell’evento tragico l’inizio della sua diffidenza nei confronti del diverso, usando la violenza come meccanismo per reagire al timore di una nuova invasione.
Del resto, la visione che Snyder ha del superomismo è pesantemente influenzata dalla Trilogia del Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e dal timore verso la rottura dello status quo e della sicurezza verso le istituzioni. Come espone Matteo Pollone nel saggio Tutto si tiene, tutto di distrugge, nella figura del Joker di Heath Ledger persiste lo spettro metatestuale dell’11 Settembre e il nuovo villan è un personaggio “spiazzante, inesistente, privo di motivazioni e soprattutto consapevole”, simulacro ideale delle preoccupazioni degli Stati Uniti verso il fantasma senza volto del terrorismo. Sia Joker che Zod nei rispettivi film di Nolan e Snyder comunicano il proprio messaggio attraverso l’azione mediale, si rivelano al pubblico con televisori e schermi che richiamano ai video di Saddam Hussein e Bin Laden e in cui la minaccia posta è quella dello sconvolgimento delle certezze occidentali e l’impossibilità di continuare a fidarsi ciecamente delle immagini messe in scena, di trovare una verità laddove l’unica realtà è quella che ci viene mediata.

Superman Returns (2006) di Bryan Singer
Al disordine rappresentato dai loro villain, i rispettivi eroi si propongono invece come agenti dell’ordine e del controllo, anche laddove essi si ritrovano costretti ad agire in opposizione al diritto internazionale e alle imposizioni governative. Basti pensare alla sequenza del Cavaliere Oscuro (2008) in cui Batman (Christian Bale) riesce a sconfiggere l’avversario con un visore-panottico che tutto vede e tutto controlla, o a Superman (Henry Cavill) che rifiuta il controllo del satellite governativo mentre si permette allo stesso tempo di controllare con i suoi poteri le azioni e la posizione di ogni essere umano sulla Terra. Per quanto negli anni la lettura di Snyder dei supereroi DC abbia creato più scalpore e divisone di quella compiuta da Nolan, alla fine entrambi i cineasti raccontano la stessa America e danno ai loro eroi la medesima necessità di rappresentare l’ordine in una società fortemente destabilizzata dal disordine ideologico del mondo mediale contemporaneo e che più non ha fede nel sistema e in chi lo difende. Ma queste riletture, pur prendendo atto della diffidenza contemporanea verso le immagini e la capacità del cinema di riportare il reale, non si offrono comunque di spingere lo spettatore a ritornare ad avere fiducia nelle immagini, bensì a diffidare verso il loro utilizzo, qualora non sia orientato al mantenimento dell’ordine.
Il sentimento di diffidenza nei confronti dell’icona non farà altro che aumentare nel corso degli anni, tanto che a ottenere il favore del pubblico non saranno più le storie dell’ultimo figlio di Krypton, ma sue riletture satiriche e dissacranti come il personaggio di Homelander (Antony Starr) in The Boys (2019) o quello di Omni-Man (J.K. Simmons) in Invincible (2021), destinate a un pubblico più adulto e quindi disilluso nei confronti delle istituzioni americane e dei suoi media di riferimento.
Ma dal 2001 in poi lo statuto delle immagini è nuovamente mutato e il Superman (2025) portato in scena da James Gunn si cala nell’attualità e nei nuovi cambiamenti del dialogo tra spettatori e cinema. Nell’opera del regista ex-membro della Troma, la rivelazione che sconvolge il protagonista e il suo rapporto con le proprie origini extraterrestri avviene attraverso gli strumenti della comunicazione mediale, con un video proiettato su decine di schermi e telefoni intorno a lui, in cui i genitori biologici lo invitano a colonizzare il pianeta. Ciò sconvolge la prospettiva del personaggio riguardo al proprio ruolo di salvatore dell’umanità, dato che per tutta la vita si era affidato a quelle immagini dei suoi genitori come modello su cui basare il proprio eroismo. Durante l’opera non verrà mai rivelato se quel video fosse reale o fosse stato manipolato da Lex Luthor (Nicholas Hoult), lasciando l’eroe e lo spettatore con la medesima incertezza riguardo la possibilità o meno di avere fede nelle immagini viste.

Il Superman (2025) di James Gunn
La contemporaneità messa in scena da Gunn è quindi quella del post-mediale, del deepfake come strumento per manipolare le informazioni, del timore della sorveglianza da parte del potere, dell’intelligenza artificiale che oggi più che mai mette in dubbio la referenzialità del visivo di cui parlava Malavasi, tanto che il cinema può solo porsi come agente mediatore tra la realtà e chi subisce le immagini. Superman (David Corenswet) non può più credere alle immagini dei genitori come chi guarda il video non può più credere nell’eroe e nei valori di cui si fa vece. Clark Kent è smarrito nel flusso mediale contemporaneo quanto lo spettatore, come infatti mostra la sequenza ambientata nell’universo-tasca creato dal villain, in cui alla fine lo stesso protagonista viene sommerso da un fiume di pixel. Ritrovandosi smarrito come lo è lo spettatore nell’epoca della digitalizzazione e del flusso di dati, numeri e immagini. I pixel trasportano così l’icona di Superman verso il suo annullamento, verso questo buco nero che appiattisce e rende uguale ogni rappresentazione.
La stessa informazione online viene manipolata da Luthor, che trova forza nel controllo del flusso mediale e nella costruzione di immagini prefabbricate. L’alterazione delle immagini non solo giova al personaggio nel suo controllo della politica estera - facendo apparire agli occhi degli spettatori il paese fittizio di Jarhanpur come una minaccia per l’occidente, similmente a come nella realtà i media sionisti diffondono disinformazione per creare nella Palestina un nemico da temere - ma soprattutto mostra la profonda differenza ideologica nell’uso che l’alieno di Krypton e il suo avversario fanno dei media.
Luthor crea infatti un clone di Superman a cui nel corso del film impartisce ordini e direttive, immettendo nel suo sistema codici di azioni come se fossero prompt da inserire in un programma di intelligenza artificiale e visualizzando su altri schermi ogni gesto compiuto dal duplicato, contrapponendo la creazione sistematica e meccanica delle immagini all’irrazionalità e alla istintività del protagonista. Luthor può controllare la copia del nemico solo laddove riesce a sorvegliarlo, a vederlo con altre telecamere che gli permettono di avere un potere scopico sulla sua creatura. Ma la visione che Gunn propone delle immagini contemporanee non è unilaterale in senso negativo, perché la verità arriva alla luce attraverso le foto fatte da una influencer e dalla possibilità del digitale di ingrandire le immagini per trovare il reale che sta sotto la superficie.

La decostruzione dell'icona nell'era della convergenza mediale
In un’attualità definita dall’impossibilità di credere a immagini artificiali e manipolabili, la risposta di questa nuova lettura del simbolo massimo del fumetto americano è quella di ritornare a credere nell’intervento umano sullo sfondo visuale e di accettare il suo nuovo statuto e, come ricorda Malavasi, “celebrarlo nella sua natura crossmediale, cortocircuitata, magmatica, frammentaria, fluida, convergente e sociale”. Come nel suo saggio trattato in apertura quest’ultimo usava Zero Dark Thirty (Kathryn Bigelow, 2013) come esempio del modo in cui il cinema americano avesse ordinato le immagini frammentarie dell’attacco alle Torri Gemelle per venire a capo con il proprio trauma, nel 2025 possiamo usare Superman di James Gunn come ultima tappa di un percorso necessario al cittadino americano per ritornare a credere nelle icone, ormai mediate e inserite nel flusso moderno.
Nella sequenza finale del film, di fronte all’impossibilità di continuare ad avere fede nel video fatto dai genitori biologici, Clark sceglie di quali immagini circondarsi e su quali modelli impostare la sua azione eroica. Superman stesso può tornare a credere nelle immagini e con lui lo spettatore può tornare a “credere che un uomo possa volare”.

Superman nell'era
della convergenza mediale,
di Lorenzo Sartor
TR-133
25.07.2025
In quello che rappresenta uno dei video più chiacchierati e famigerati dei primi anni dalla nascita del Web, un uomo si getta da una delle due Torri Gemelle mentre queste stanno ancora crollando. Nel video, conosciuto in rete col titolo di “Lol Superman”, la sua figura svanisce nel fumo dell’esplosione, impedendo a chi guarda di vedere lo schianto. Già dal titolo si percepisce un sentimento di ironia, di scherno verso l’idea che, dopo la visione di immagini come queste, il cittadino statunitense possa ancora credere nel mito del supereroe emblema del sogno americano.
Ma ciò che è maggiormente interessante è in primis la natura da Lost media del documento: avendo il Web perso qualunque traccia del video, chi ne racconta non può fare altro che credere alla verità testimoniata da chi dice di averlo visto, entrando in contatto con le incoerenze nate da esposizioni sul contenuto del materiale che cambiano a seconda della versione narrata. C’è chi sostiene che nel video si vedano i corpi cadere al suolo, chi sostiene scompaiano senza lasciar traccia, chi ne confonde i contenuti con tutti quelli esistenti in Rete riguardanti quello che è l’evento più coperto e mediato del XXI secolo.
Nel suo saggio Fare la differenza (2014) Luca Malavasi dice che “l’evento reale non è stato semplicemente coperto, ma ricoperto. L’attentato solleva un problema che le teorie ontologiche del cinema conoscono bene: il problema della referenzialità del visivo, di quel legame logico, matematico e sensibile che l’immagine realizza nel suo rapporto con la realtà”. Secondo Malavasi questo spettatore scettico, che vive nell’epoca post-mediale e che ha assistito alla sovra-esposizione di immagini dell’11 settembre, è poco incline a riconoscere nel cinema un luogo di incontro col reale, come se la digitalizzazione avesse posto fine a quel rapporto di fiducia che aveva distinto il Novecento.
Come gli spettatori di film non credono più nelle immagini che vedono, è diventato impossibile per i nuovi lettori di fumetti credere nelle icone supereroistiche che hanno fatto la fortuna della nona arte americana. Tutto ciò l’ha intuito anche James Gunn, dato che nella sua ultima rilettura del personaggio più influente della storia della DC ha strettamente collegato l’incertezza verso le immagini proposte dai nuovi media con la sfiducia che il popolo americano sembra aver ormai riposto nella figura dell’uomo d’acciaio.

Le immagini dell'11 Settembre 2001
Superman è infatti immagine-emblema dell’America e la sfiducia verso la nazione, che nasce in seguito agli attentati di inizio millennio, non può che andare di pari passo con la diffidenza verso i valori portati avanti dalle sue figure più importanti. Prima di vedere come Gunn metta in discussione il nostro rapporto con l’icona del personaggio e il nuovo statuto delle immagini contemporanee, bisogna capire come, tra cinema e fumetto, sia cambiata la rappresentazione dell’eroe nel corso del nuovo millennio. Già nel suo medium di nascita la figura di Superman ha subito profondi mutamenti, sorti dall’impossibilità del lettore contemporaneo di credere ancora all’immagine che l’America voleva vendere di sé attraverso le sue storie.
Nel post-11 Settembre gli eroi fumettistici non sono più visti come il simulacro fantastico di ciò che l’America rappresenta agli occhi del mondo, ma come l’imitazione di ciò che essa vorrebbe far credere di essere. Successivamente a questo attacco alle certezze americane le nuove storie a fumetti devono fare i conti con un filtro inedito con cui questo nuovo lettore scettico guarda a tali racconti, ovvero quello dei nuovi media e della sfiducia verso l’immagine degli Stati Uniti, mentre questi invadono il Medio Oriente per esportare la democrazia occidentale.
Nel suo saggio The Mediated Hero: Superman in the Post 9/11 Era, Paul Thomas Enger discute di come gli autori moderni del personaggio abbiano reagito ai mutamenti della politica estera americana, inserendo elementi all’interno dei fumetti che stravolgono il codice morale del personaggio fumettistico per adattarlo allo smarrimento del contemporaneo. L’autore si focalizza sulla visione di Superman come immigrato e su come egli stesso possa essere vittima della paranoia discriminatoria verso tutti i cittadini americani di origini arabe, ma ancor più importante è come l’icona statunitense venga usata nei primi anni Duemila per abbandonare la difesa dello status quo del sistema di valori di stampo USA e mettere in discussione il concetto stesso di post-verità e le azioni dell’amministrazione Bush in Iraq.

Superman, emblema dell'eroe americano
Nel secondo volume di DC: New Frontier (Darwin Cooke, 2004) il personaggio di Superman passa dal seguire ciecamente le direttive governative al convincersi nel supportare una rivoluzione anti-occidentale avvenuta in un inesistente villaggio coreano. All’affermazione di Wonder Woman secondo cui “l’America in cui crediamo è un’ideale, non un’amministrazione”, il personaggio prima reagisce smarrito e poi assume consapevolezza di “di non voler più prendere parte alla persecuzione di cittadini liberi” e quindi alla politica estera di uno stato imperialista. Sempre nello stesso fumetto viene esplorato un inedito scetticismo verso i media, laddove le prime pagine delle testate fuorviano i lettori manipolando le notizie e riportando le storie con modalità che mettono in cattiva luce gli eroi che non portano avanti gli interessi nazionali, similmente a quanto accadrà poi nell’adattamento diretto da James Gunn con i nuovi media digitali.
Successivamente in For Tomorrow (Brian Azzarello/Jim Lee, 2005) il personaggio cercherà di fermare un conflitto tra due forze militari in Medio Oriente togliendo loro le armi e causando così un’escalation che porterà esclusivamente al perdurare della guerra e all’instaurarsi di un governo-fantoccio gestito dall’America. Nella storia il continuo dialogo tra Superman e un prete fungerà da simbolico confronto tra gli Stati Uniti e i cittadini che hanno smesso di credere nella sua immagine. Sicuramente il liberalismo americano di cui Superman è sempre stato emblema non ne esce completamente destabilizzato, ma da questo nuovo approccio si percepisce comunque la volontà del fumetto americano di abbracciare un nuovo status quo.
Anche al cinema la figura dell’uomo d’acciaio ha dovuto fare i conti con la crisi di valori causata dall’11 Settembre, reagendo di volta in volta con mutamenti sempre opposti gli uni agli altri. Fino a quel momento l’unica versione arrivata al cinema del personaggio era la quadrilogia uscita tra il 1978 e il 1987 interpretata da Christopher Reeve, in cui l’iconico eroe era ancora emblema di come gli Stati Uniti apparivano agli occhi dei suoi cittadini e poteva ergersi al di sopra del diritto internazionale per risolvere tra scroscianti applausi il conflitto della Guerra Fredda e i capricci dei leader mondiali.

Il Superman impersonata dall'attore Christopher Reeve
Nella prima rilettura cinematografica uscita dopo la caduta delle Torri, Superman Returns (Bryan Singer, 2006), l’eroe viene criticato per non essersi palesato durante le tragedie avvenute al paese in sua assenza. L’umanità sembra disorientata per la mancanza di un’icona a cui ispirarsi e la risposta del cineasta a questo smarrimento identitario risiede nel ritorno al passato e, come sostiene Mauro Antonini nella sua recensione, nel tendere verso “un eterno presente cristallizzato nel mettere in scena un eroe che al suo nascere è come se fosse esistito da sempre, che è apparso in tutti i media senza mai mutare, quasi fosse un diamante grezzo”. Nell’unica scena che rimanda alle immagini del giorno dell’attacco, il personaggio salva un aereo dirottato e che sta per schiantarsi contro i cittadini, senza che questo però dialoghi realmente con il trauma dell’evento reale. Una delle ragioni per cui questa lettura così classica e inviolata dal filtro mediale non ha ottenuto l’interesse del nuovo pubblico disilluso, nasce proprio dall’impossibilità di credere a quanto poteva essere credibile all’epoca del Superman di Reeve, ovvero che “un uomo potesse volare” e l’ingenuità politica che quel pensiero portava con sé.
All’estremo opposto troviamo il successivo reboot diretto da Zack Snyder, che nel dittico composto da Man of Steel (2013) e Batman V Superman: Dawn of Justice (2016), cala l’icona DC all’interno del contemporaneo statunitense, rendendo il personaggio simbolo di tutte le paranoie nei confronti di una potenziale invasione terroristica sul suolo americano. L’attacco di Zod (Michael Shannon) e dei suoi adepti alla città di Metropolis vuole esplicitamente riportare la memoria dello spettatore al disorientamento e alla devastazione dell’11 Settembre, mostrando un paese smarrito dinnanzi alla minaccia di ciò che viene dall’esterno. Lo stesso personaggio di Bruce Wayne (Ben Affleck) vedrà nell’evento tragico l’inizio della sua diffidenza nei confronti del diverso, usando la violenza come meccanismo per reagire al timore di una nuova invasione.
Del resto, la visione che Snyder ha del superomismo è pesantemente influenzata dalla Trilogia del Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e dal timore verso la rottura dello status quo e della sicurezza verso le istituzioni. Come espone Matteo Pollone nel saggio Tutto si tiene, tutto di distrugge, nella figura del Joker di Heath Ledger persiste lo spettro metatestuale dell’11 Settembre e il nuovo villan è un personaggio “spiazzante, inesistente, privo di motivazioni e soprattutto consapevole”, simulacro ideale delle preoccupazioni degli Stati Uniti verso il fantasma senza volto del terrorismo. Sia Joker che Zod nei rispettivi film di Nolan e Snyder comunicano il proprio messaggio attraverso l’azione mediale, si rivelano al pubblico con televisori e schermi che richiamano ai video di Saddam Hussein e Bin Laden e in cui la minaccia posta è quella dello sconvolgimento delle certezze occidentali e l’impossibilità di continuare a fidarsi ciecamente delle immagini messe in scena, di trovare una verità laddove l’unica realtà è quella che ci viene mediata.

Superman Returns (2006) di Bryan Singer
Al disordine rappresentato dai loro villain, i rispettivi eroi si propongono invece come agenti dell’ordine e del controllo, anche laddove essi si ritrovano costretti ad agire in opposizione al diritto internazionale e alle imposizioni governative. Basti pensare alla sequenza del Cavaliere Oscuro (2008) in cui Batman (Christian Bale) riesce a sconfiggere l’avversario con un visore-panottico che tutto vede e tutto controlla, o a Superman (Henry Cavill) che rifiuta il controllo del satellite governativo mentre si permette allo stesso tempo di controllare con i suoi poteri le azioni e la posizione di ogni essere umano sulla Terra. Per quanto negli anni la lettura di Snyder dei supereroi DC abbia creato più scalpore e divisone di quella compiuta da Nolan, alla fine entrambi i cineasti raccontano la stessa America e danno ai loro eroi la medesima necessità di rappresentare l’ordine in una società fortemente destabilizzata dal disordine ideologico del mondo mediale contemporaneo e che più non ha fede nel sistema e in chi lo difende. Ma queste riletture, pur prendendo atto della diffidenza contemporanea verso le immagini e la capacità del cinema di riportare il reale, non si offrono comunque di spingere lo spettatore a ritornare ad avere fiducia nelle immagini, bensì a diffidare verso il loro utilizzo, qualora non sia orientato al mantenimento dell’ordine.
Il sentimento di diffidenza nei confronti dell’icona non farà altro che aumentare nel corso degli anni, tanto che a ottenere il favore del pubblico non saranno più le storie dell’ultimo figlio di Krypton, ma sue riletture satiriche e dissacranti come il personaggio di Homelander (Antony Starr) in The Boys (2019) o quello di Omni-Man (J.K. Simmons) in Invincible (2021), destinate a un pubblico più adulto e quindi disilluso nei confronti delle istituzioni americane e dei suoi media di riferimento.
Ma dal 2001 in poi lo statuto delle immagini è nuovamente mutato e il Superman (2025) portato in scena da James Gunn si cala nell’attualità e nei nuovi cambiamenti del dialogo tra spettatori e cinema. Nell’opera del regista ex-membro della Troma, la rivelazione che sconvolge il protagonista e il suo rapporto con le proprie origini extraterrestri avviene attraverso gli strumenti della comunicazione mediale, con un video proiettato su decine di schermi e telefoni intorno a lui, in cui i genitori biologici lo invitano a colonizzare il pianeta. Ciò sconvolge la prospettiva del personaggio riguardo al proprio ruolo di salvatore dell’umanità, dato che per tutta la vita si era affidato a quelle immagini dei suoi genitori come modello su cui basare il proprio eroismo. Durante l’opera non verrà mai rivelato se quel video fosse reale o fosse stato manipolato da Lex Luthor (Nicholas Hoult), lasciando l’eroe e lo spettatore con la medesima incertezza riguardo la possibilità o meno di avere fede nelle immagini viste.

Il Superman (2025) di James Gunn
La contemporaneità messa in scena da Gunn è quindi quella del post-mediale, del deepfake come strumento per manipolare le informazioni, del timore della sorveglianza da parte del potere, dell’intelligenza artificiale che oggi più che mai mette in dubbio la referenzialità del visivo di cui parlava Malavasi, tanto che il cinema può solo porsi come agente mediatore tra la realtà e chi subisce le immagini. Superman (David Corenswet) non può più credere alle immagini dei genitori come chi guarda il video non può più credere nell’eroe e nei valori di cui si fa vece. Clark Kent è smarrito nel flusso mediale contemporaneo quanto lo spettatore, come infatti mostra la sequenza ambientata nell’universo-tasca creato dal villain, in cui alla fine lo stesso protagonista viene sommerso da un fiume di pixel. Ritrovandosi smarrito come lo è lo spettatore nell’epoca della digitalizzazione e del flusso di dati, numeri e immagini. I pixel trasportano così l’icona di Superman verso il suo annullamento, verso questo buco nero che appiattisce e rende uguale ogni rappresentazione.
La stessa informazione online viene manipolata da Luthor, che trova forza nel controllo del flusso mediale e nella costruzione di immagini prefabbricate. L’alterazione delle immagini non solo giova al personaggio nel suo controllo della politica estera - facendo apparire agli occhi degli spettatori il paese fittizio di Jarhanpur come una minaccia per l’occidente, similmente a come nella realtà i media sionisti diffondono disinformazione per creare nella Palestina un nemico da temere - ma soprattutto mostra la profonda differenza ideologica nell’uso che l’alieno di Krypton e il suo avversario fanno dei media.
Luthor crea infatti un clone di Superman a cui nel corso del film impartisce ordini e direttive, immettendo nel suo sistema codici di azioni come se fossero prompt da inserire in un programma di intelligenza artificiale e visualizzando su altri schermi ogni gesto compiuto dal duplicato, contrapponendo la creazione sistematica e meccanica delle immagini all’irrazionalità e alla istintività del protagonista. Luthor può controllare la copia del nemico solo laddove riesce a sorvegliarlo, a vederlo con altre telecamere che gli permettono di avere un potere scopico sulla sua creatura. Ma la visione che Gunn propone delle immagini contemporanee non è unilaterale in senso negativo, perché la verità arriva alla luce attraverso le foto fatte da una influencer e dalla possibilità del digitale di ingrandire le immagini per trovare il reale che sta sotto la superficie.

La decostruzione dell'icona nell'era della convergenza mediale
In un’attualità definita dall’impossibilità di credere a immagini artificiali e manipolabili, la risposta di questa nuova lettura del simbolo massimo del fumetto americano è quella di ritornare a credere nell’intervento umano sullo sfondo visuale e di accettare il suo nuovo statuto e, come ricorda Malavasi, “celebrarlo nella sua natura crossmediale, cortocircuitata, magmatica, frammentaria, fluida, convergente e sociale”. Come nel suo saggio trattato in apertura quest’ultimo usava Zero Dark Thirty (Kathryn Bigelow, 2013) come esempio del modo in cui il cinema americano avesse ordinato le immagini frammentarie dell’attacco alle Torri Gemelle per venire a capo con il proprio trauma, nel 2025 possiamo usare Superman di James Gunn come ultima tappa di un percorso necessario al cittadino americano per ritornare a credere nelle icone, ormai mediate e inserite nel flusso moderno.
Nella sequenza finale del film, di fronte all’impossibilità di continuare ad avere fede nel video fatto dai genitori biologici, Clark sceglie di quali immagini circondarsi e su quali modelli impostare la sua azione eroica. Superman stesso può tornare a credere nelle immagini e con lui lo spettatore può tornare a “credere che un uomo possa volare”.