Venezia 82,
recensione di Cecilia Parini
RV-117
29.08.2025
“Di chi sono i nostri giorni?”, chiese la figlia al padre, lasciando quest’ultimo, uomo rigoroso e pieno di principi, per la prima volta senza una risposta pronta. Quest’uomo non è una persona qualsiasi, ma il Presidente della Repubblica Italiana.
Paolo Sorrentino apre l’82ª Mostra del cinema di Venezia con il suo nuovo film La Grazia, un’opera rimasta nel cassetto per quattro anni prima di vedere la luce. Il regista napoletano, completata la trilogia partenopea, torna a raccontare gli uomini di potere, questa volta però non soffermandosi su un personaggio realmente esistito. Mariano De Santis, uomo di legge ed ex magistrato diventato celebre nel mondo giuridico grazie al suo manuale di diritto penale da 2.046 pagine, si trova a vivere i suoi ultimi sei mesi prima dello scadere del suo mandato come Capo di Stato. Tra gli ultimi compiti che gli vengono chiesti di svolgere nel pieno dei suoi poteri ci sono due grazie per dei detenuti, ma soprattutto di firmare la nascente legge sull’eutanasia.
. Sorrentino non vuole parlare solo dell’uomo di potere, ma soffermarsi sull’essere umano che ricopre la più alta carica dello Stato. Mariano De Santis, interpretato magistralmente dall’ormai inseparabile "compagno di film" Toni Servillo, è un uomo che si presenta tutto d’un pezzo, tanto da essere soprannominato tra le mura del Quirinale (e fuori), cemento armato. Servillo porta in scena un personaggio che nell'intimo è ancora distrutto dalla morte dell’amata moglie Aurora e che, nonostante la sua passione per il diritto e i suoi principi, si ritrova stanco dell’autorità che ricopre - la stessa dimora del presidente, il Quirinale, viene raffigurata, non a caso, come una gabbia, un luogo di solitudine e non più il simbolo del potere.
Questa solitudine si rispecchia anche nella scelta della fotografia che Daria D’Antonio, celebre DOP e collaboratrice storica di Sorrentino, ha creato. Difatti lo stile è molto sobrio rispetto ai precedenti Parthenope (2024) e La grande bellezza (2013), ma, nonostante la "veste” meno appariscente, D’Antonio e Sorrentino non rinunciano all’aspetto surreale, e spesso onirico, che da sempre caratterizza la griffa del regista. Sorrentino, infatti, gioca anche in questo caso con i rituali della politica, ma mai quanto aveva fatto in opere come Il divo (2008) e Loro (2018), anche perché come ha confessato in conferenza stampa, per quanto la ritualità politica si sposi perfettamente con il genere cinematografico, in questo caso voleva concentrarsi più sull’uomo che si cela dietro la carica e non sulla maschera politica.
Insieme al presidente De Santis troviamo la figlia Dorotea, interpretata da Anna Ferzetti, anche lei giurista che aiuta il padre nel suo lavoro, ma soprattutto che ha a cuore la legge sull’eutanasia, che Mariano , però, sembra sempre più restio a voler firmare. La descrizione del rapporto tra padre e figlia non scade mai nel sentimentalismo-cliché tipico di molti film che trattano la relazione tra un genitore e la sua progenie, ma si sviluppa, invece, in uno scontro intellettuale tra chi è ancora ancorato al passato e chi invece si muove verso il futuro. Il grande lavoro svolto da Servillo e Ferzetti nella costruzione dei propri ruoli traspare chiaramente dallo schermo, portando i due personaggi a dialogare tra loro con estrema naturalezza e facendo emergere l’amore dell’uno per l’altro non nella quotidianità famigliare, ma attraverso scontri ideologici e politici.
Oltre alla figlia, il presidente De Santis è circondato non solo dal proprio entourage, ma da persone fidate che allietano anche solo per poco la sua solitudine, come il Corazziere Massimo Labaro, interpretato da Orlando Cinque, ma è soprattutto Coco Valori ad essere una figura importante nella vita di Mariano. Coco è la sua più cara amica dai tempi del liceo, critica d’arte rinomata e con la risposta sempre pronta. La figura di Coco Valori si distingue non solo per la brillante interpretazione di Milvia Marigliano, ma anche per la genialità dei dialoghi che Sorrentino scrive per lei.
Il regista, inoltre, colpisce ancora una volta nel segno per la ricercatezza della colonna sonora, che essendo parte integrante della scena, permette allo spettatore di immergersi ancora più in profondità nell'universo di Mariano De Santis. Da Surf Rider dei Il Est Vilaine, brano tecno che aveva spopolato su tiktok e Instagram e che qui accompagna i momenti più stranianti, ma anche ufficiali, del presidente in maniera frequente e ripetitiva, passando poi per brani più orchestrali per poi contaminare il tutto con brani rap, tra cui regna sovrana la musica di Guè Pequeno.
La Grazia è un film che non si può raccontare troppo senza temere di rovinarne la visione - non è un caso che prima della presentazione a Venezia si sia voluto mantenere il massimo riserbo. Come un grande comico che "carica" gli spettatori prima di colpire con la battuta finale, Sorrentino prepara il suo pubblico all’inaspettato. L'autore napoletano riesce a mostrare il lato comico e assurdo dell'esistenza anche nei gesti più semplici e, a tratti, banali. Non manca, anche in questo caso, la sua satira politica e di costume, un elemento che però lascia spazio a temi maggiormente stratificati e rilevanti. Perché alla fine è questa la grazia per Sorrentino: la capacità di non cercare la verità solo attraverso le norme o i propri principi morali, ma abbracciando il dubbio che si possano vedere le cose per quello che davvero sono.
Venezia 82,
recensione di Cecilia Parini
RV-117
29.08.2025
“Di chi sono i nostri giorni?”, chiese la figlia al padre, lasciando quest’ultimo, uomo rigoroso e pieno di principi, per la prima volta senza una risposta pronta. Quest’uomo non è una persona qualsiasi, ma il Presidente della Repubblica Italiana.
Paolo Sorrentino apre l’82ª Mostra del cinema di Venezia con il suo nuovo film La Grazia, un’opera rimasta nel cassetto per quattro anni prima di vedere la luce. Il regista napoletano, completata la trilogia partenopea, torna a raccontare gli uomini di potere, questa volta però non soffermandosi su un personaggio realmente esistito. Mariano De Santis, uomo di legge ed ex magistrato diventato celebre nel mondo giuridico grazie al suo manuale di diritto penale da 2.046 pagine, si trova a vivere i suoi ultimi sei mesi prima dello scadere del suo mandato come Capo di Stato. Tra gli ultimi compiti che gli vengono chiesti di svolgere nel pieno dei suoi poteri ci sono due grazie per dei detenuti, ma soprattutto di firmare la nascente legge sull’eutanasia.
. Sorrentino non vuole parlare solo dell’uomo di potere, ma soffermarsi sull’essere umano che ricopre la più alta carica dello Stato. Mariano De Santis, interpretato magistralmente dall’ormai inseparabile "compagno di film" Toni Servillo, è un uomo che si presenta tutto d’un pezzo, tanto da essere soprannominato tra le mura del Quirinale (e fuori), cemento armato. Servillo porta in scena un personaggio che nell'intimo è ancora distrutto dalla morte dell’amata moglie Aurora e che, nonostante la sua passione per il diritto e i suoi principi, si ritrova stanco dell’autorità che ricopre - la stessa dimora del presidente, il Quirinale, viene raffigurata, non a caso, come una gabbia, un luogo di solitudine e non più il simbolo del potere.
Questa solitudine si rispecchia anche nella scelta della fotografia che Daria D’Antonio, celebre DOP e collaboratrice storica di Sorrentino, ha creato. Difatti lo stile è molto sobrio rispetto ai precedenti Parthenope (2024) e La grande bellezza (2013), ma, nonostante la "veste” meno appariscente, D’Antonio e Sorrentino non rinunciano all’aspetto surreale, e spesso onirico, che da sempre caratterizza la griffa del regista. Sorrentino, infatti, gioca anche in questo caso con i rituali della politica, ma mai quanto aveva fatto in opere come Il divo (2008) e Loro (2018), anche perché come ha confessato in conferenza stampa, per quanto la ritualità politica si sposi perfettamente con il genere cinematografico, in questo caso voleva concentrarsi più sull’uomo che si cela dietro la carica e non sulla maschera politica.
Insieme al presidente De Santis troviamo la figlia Dorotea, interpretata da Anna Ferzetti, anche lei giurista che aiuta il padre nel suo lavoro, ma soprattutto che ha a cuore la legge sull’eutanasia, che Mariano , però, sembra sempre più restio a voler firmare. La descrizione del rapporto tra padre e figlia non scade mai nel sentimentalismo-cliché tipico di molti film che trattano la relazione tra un genitore e la sua progenie, ma si sviluppa, invece, in uno scontro intellettuale tra chi è ancora ancorato al passato e chi invece si muove verso il futuro. Il grande lavoro svolto da Servillo e Ferzetti nella costruzione dei propri ruoli traspare chiaramente dallo schermo, portando i due personaggi a dialogare tra loro con estrema naturalezza e facendo emergere l’amore dell’uno per l’altro non nella quotidianità famigliare, ma attraverso scontri ideologici e politici.
Oltre alla figlia, il presidente De Santis è circondato non solo dal proprio entourage, ma da persone fidate che allietano anche solo per poco la sua solitudine, come il Corazziere Massimo Labaro, interpretato da Orlando Cinque, ma è soprattutto Coco Valori ad essere una figura importante nella vita di Mariano. Coco è la sua più cara amica dai tempi del liceo, critica d’arte rinomata e con la risposta sempre pronta. La figura di Coco Valori si distingue non solo per la brillante interpretazione di Milvia Marigliano, ma anche per la genialità dei dialoghi che Sorrentino scrive per lei.
Il regista, inoltre, colpisce ancora una volta nel segno per la ricercatezza della colonna sonora, che essendo parte integrante della scena, permette allo spettatore di immergersi ancora più in profondità nell'universo di Mariano De Santis. Da Surf Rider dei Il Est Vilaine, brano tecno che aveva spopolato su tiktok e Instagram e che qui accompagna i momenti più stranianti, ma anche ufficiali, del presidente in maniera frequente e ripetitiva, passando poi per brani più orchestrali per poi contaminare il tutto con brani rap, tra cui regna sovrana la musica di Guè Pequeno.
La Grazia è un film che non si può raccontare troppo senza temere di rovinarne la visione - non è un caso che prima della presentazione a Venezia si sia voluto mantenere il massimo riserbo. Come un grande comico che "carica" gli spettatori prima di colpire con la battuta finale, Sorrentino prepara il suo pubblico all’inaspettato. L'autore napoletano riesce a mostrare il lato comico e assurdo dell'esistenza anche nei gesti più semplici e, a tratti, banali. Non manca, anche in questo caso, la sua satira politica e di costume, un elemento che però lascia spazio a temi maggiormente stratificati e rilevanti. Perché alla fine è questa la grazia per Sorrentino: la capacità di non cercare la verità solo attraverso le norme o i propri principi morali, ma abbracciando il dubbio che si possano vedere le cose per quello che davvero sono.