
NC-357
30.10.2025
Tra i pochi veri "film fantasma" del cinema italiano spicca Il generale dell'armata morta. Il lungometraggio è l'unica regia del maestro della fotografia Luciano Tovoli, che nel 1983 dopo aver realizzato capolavori di tecnica e colore - come Professione: Reporter (1975) di Michelangelo Antonioni e Suspiria (1977) di Dario Argento - accorpò un grandioso cast comprendente Marcello Mastroianni, Michel Piccoli, Anouk Aimée e un giovane Sergio Castellitto per portare sullo schermo l'adattamento del primo romanzo dello scrittore albanese Ismail Kadaré (1936-2024). Nonostante un grande successo di critica e un buon successo di pubblico in Francia, Il generale dell'armata morta non è mai approdato nelle sale italiane, e venne trasmesso una sola volta dalla RAI con il titolo storpiato de L'armata ritorna. Ufficialmente, la distribuzione del film era rimasta bloccata per il fallimento della Gaumont Italia di Renzo Rossellini, ma da sempre c'era stato il sospetto che dietro il blocco distributivo della pellicola aleggiasse una qualche ingerenza governativa - tanti più che altri film incappati nel fallimento del distaccamento italiano della Gaumont erano stati facilmente rilevati da altre società e usciti, a cominciare da La città delle donne (1980) di Fellini.
Con un incredibile lavoro di scavo in archivi italiani, albanesi e francesi, il giornalista Antonio Caiazza, già autore di diversi libri e reportage sui Balcani, ha raccolto le prove effettive di curiose macchinazioni che, prima ancora della realizzazione del film, avevano visto soprattutto il governo italiano osteggiare la pellicola, dream project di Tovoli e Piccoli. Il risultato di questo lavoro di scavo è il libro Una storia scomoda. La guerra segreta al film con Mastroianni sugli italiani in Albania negli anni del fascismo, edito da Bibliotheka, accattivante saggio ricco di documenti inediti che dimostra come un singolo film potesse diventare oggetto attenzione indebite e di ingerenze diplomatiche tra più stati pur di non toccare il nervo scoperto del colonialismo italiano nell'era fascista e non solo.

Luciano Tovoli

La copertina del volume
“Signor Ministro, vengo informato da fonte riservata dell’arrivo a Tirana di una troupe televisiva francese – di cui fa parte il noto attore Michel Piccoli – per iniziare le riprese cinematografiche di un film ricavato dal romanzo dello scrittore albanese Ismail Kadare, dal titolo Il Generale dell’armata morta. Il libro ha per oggetto il recupero delle salme dei caduti italiani da parte di una missione guidata da un generale e un sacerdote inviati dal nostro governo [in Albania] nel dopoguerra. Prendendo spunto, molto alla larga, da una missione che effettivamente si svolse in Albania alla fine degli anni Cinquanta, l’autore ne ha tratto un racconto che, a prescindere dalle sue non scadenti doti letterarie, è spietato, a volte irritante atto di accusa contro l’occupazione italiana dell’Albania, proiettandosi ben al di là di inventate efferatezze compiute dalle milizie fasciste. Attraverso i due protagonisti principali – l’uomo d’armi e l’uomo di chiesa – vengono infatti messi a ludibrio i più vieti, presunti tratti peggiorativi del carattere italiano… Ho creduto doveroso portare la notizia alla Sua attenzione affinché – se lo si giudica opportuno – non rimanga intentata una qualche azione diretta a scongiurare (o quanto meno dirottare) una iniziativa che sicuramente si rivelerebbe un ennesimo discredito, di cui proprio non sentiamo bisogno, dell’immagine dell’Italia nel mondo”.
Questa lettera, scritta il 20 dicembre 1980 dall’ambasciatore d’Italia in Albania Paolo Tozzoli direttamente al ministro degli Esteri di allora, segnò l’inizio delle operazioni diplomatiche per boicottare il film di Tovoli; proprio negli stessi giorni in cui l’ambasciatore albanese in Italia, Piro Bita, annunciava trionfalmente alla madre patria dell’incontro positivo avuto con Marcello Mastroianni. Dal lato italiano, Sergio Romano, a capo della Direzione generale per la cooperazione culturale, scientifica e tecnica alla Farnesina, convocò Bita ai primi di gennaio 1981, risultandone uno strano incontro in cui nessuno dei due poteva calcare troppo la mano per difendere o attaccare il film ancora da realizzarsi.

Marcello Mastroianni e Michel Piccoli in Il generale dell'armata morta (1983)
Parallelamente a questa trama diplomatica, era in corso anche un incessante impegno da parte di Ismail Kadare per assicurarsi la collaborazione delle istituzioni albanesi per la realizzazione del film sul territorio nazionale. Il libro di Caiazza riporta numerose lettere del grande scrittore albanese rivolte a diversi rappresentanti politici e istituzionali del paese, in cui Kadare si diceva disponibile a creare un gruppo di lavoro per revisionare la sceneggiatura scritta da Tovoli, Piccoli e dallo sceneggiatore francese Jean-Claude Carrière per inserire scene di flashback che rappresentassero l’eroismo dei partigiani albanesi nella lotta contro le truppe invasori e “dare un’immagine il più positiva possibile allo spettatore straniero dell’Albania di oggi”.
Non riuscendo a ottenere dal regime l’autorizzazione a recarsi a Parigi per incontri di produzione con Tovoli e Piccoli, ad aprile 1980 Kadare arrivò a scrivere direttamente al dittatore Enver Hoxha una lunga lettera contente affermazioni sorprendenti e quasi servili, pur di smuovere le cose: “come altri colleghi scrittori”, si legge nella missiva di Kadare, “lavoro nel campo della creazione letteraria da anni, cercando con tutte le mie forze di produrre quante più opere possibili al servizio del Partito e del popolo. Nel mio lavoro ho potuto scrivere opere che sono state ben accolte, così come ho scritto anche opere più deboli e talvolta alcune creazioni la cui pubblicazione è stata negativa e ha creato problemi al Partito. Sono consapevole di tutto questo, così come sono consapevole della mia gratitudine verso il popolo e verso il Partito, perché capisco profondamente che sono loro ad avermi reso scrittore e che sono la vita del popolo e del Partito la fonte di ispirazione per le mie opere”. La strategia messa in campo da Kadare era figlia delle dinamiche dei rapporti tra potere e intellettuali di quegli anni – non per nulla una delle sue citazioni più celebri, posta anche in esergo a Una storia scomoda, considera come “nei regimi totalitari il peggio è quando non sai esattamente che cosa succede alla tua opera, ufficialmente non è vietata, ma, per un accordo nascosto, nessuno ne parla, come se non esistesse”.

Lo scrittore Ismail Kadare
Dopo molte lungaggini, portando la pratica del visto in uscita anche al primo ministro Mehmet Shehu che rispose stizzito “non mi intrometto nel dare o non dare il permesso a questo o quello scrittore di uscire dallo stato”, le autorità albanesi concessero a Kadare di andare in Francia poco dopo l’estate 1980. Kadare garantì al suo governo che Tovoli e Piccoli avevano recepito i suggerimenti sulla sua sceneggiatura e si adoperò personalmente per una serie di altre iniziative editoriali e artistiche a favore di altri autori e pittori che giustificassero meglio il suo viaggio a Parigi. Ma dopo che la Farnesina, all’inizio del 1981, attraverso l’ambasciatore Romano aveva fatto sapere più o meno ufficialmente all’Albania di non gradire la realizzazione del film, si dipanò attorno alla produzione una sottile trama di silenzi, ritardi e lungaggini burocratiche che andò avanti per molti mesi. Con le riprese, dopo molti rinvii, previste per l’autunno 1982, il ministero della Cultura realizzò un vero e proprio documento contenente “alcune motivazioni” – pretestuose – “da dare alla parte francese per il rinvio delle riprese del film Il generale dell’armata morta”. Tutto finì nel caos, con telegrammi di fuoco tra Piccoli e la società di produzione esecutiva locale alle prime avvisaglie di problemi e ritardi, e l’improvvisa cacciata del primo nucleo della troupe che si trovava già in Albania per la preparazione del film, con la scusa che i camion militari richiesti per la lavorazione servivano per la raccolta delle mele. Rapidamente Tovoli decise di spostare le riprese dall’Albania all’Abruzzo, e a inizio del 1983 le riprese erano concluse. Dal libro di Caiazza non si evince se e quanto eventuali ulteriori pressioni furono fatte per impedire l’uscita del film nelle sale italiane, approfittando del fallimento della Gaumont Italia: certo è che a fronte delle recensioni entusiastiche della stampa francese – “l’ispirata regia di Luciano Tovoli, che arriva a trasformare magicamente ogni spettatore in Amleto”, si leggeva ne Le Nouvel Observateur; e “la regia di Tovoli può essere paragonata a quella di un grande pittore, e non dimenticheremo facilmente le interpretazioni di Mastroianni e Piccoli”, sentenziava Le Figaro – il film è stato oggetto di un sorprendente oblio per molti anni in Italia, a dispetto del cast e della fama crescente di Kadare, più volte in odore di Nobel.
La storia dell'ostracismo di cui fu oggetto Il generale dell'armata morta, con una trama diplomatica che arrivò a dipanarsi fra tre paesi nel momento in cui fu coinvolta con scarso successo anche la Francia, assume particolare rilevanza al giorno d'oggi, in cui sono state molto commentate le critiche del governo alla produzione dei film su un piano finanziario, è in maniera ufficiale è stata istituita una allocazione esplicita di risorse pubbliche per la realizzazione sostanzialmente di biopic su personaggi chiave della storia e della cultura italiane. Non si era più negli anni cinquanta, quando il Neorealismo era notoriamente e apertamente inviso a molti esponenti di spicco della Democrazia Cristiana nonostante il successo che solleva a livello internazionale: eppure negli anni ottanta, anche sullo sfondo di uno scontro ideologico tra Sandro Pertini ed Enver Hoxha, il Ministero degli Esteri italiano si adoperò per boicottare in tutti i modi la realizzazione del film, con una pacifica collaborazione da parte dell’Albania, salvo poi vederlo realizzato comunque in Abruzzo, dove non si poteva accampare la scusa della dittatura estera per impedire le riprese. Erano d’altronde gli stessi anni in cui il kolossal libico Il leone del deserto veniva ufficialmente vietato dal governo italiano per la rappresentazione che se ne dava del colonialismo italiano in Libia. Escludendo i film di propaganda del periodo fascista, Il generale dell’armata morta potrebbe essere stato il primo film italiano a trattare il tema del colonialismo: Tempo di uccidere di Giuliano Montaldo con Nicolas Cage, tratto dall’omonimo romanzo di Ennio Flaiano, sarebbe arrivato solo nel 1989. È così che Il generale dell’armata morta assume un valore sia come film in sé sia per le sue vicissitudini extra-filmiche, con un posto d’onore in un’ipotetica controstoria del cinema italiano.
NC-357
30.10.2025

Luciano Tovoli
Tra i pochi veri "film fantasma" del cinema italiano spicca Il generale dell'armata morta. Il lungometraggio è l'unica regia del maestro della fotografia Luciano Tovoli, che nel 1983 dopo aver realizzato capolavori di tecnica e colore - come Professione: Reporter (1975) di Michelangelo Antonioni e Suspiria (1977) di Dario Argento - accorpò un grandioso cast comprendente Marcello Mastroianni, Michel Piccoli, Anouk Aimée e un giovane Sergio Castellitto per portare sullo schermo l'adattamento del primo romanzo dello scrittore albanese Ismail Kadaré (1936-2024). Nonostante un grande successo di critica e un buon successo di pubblico in Francia, Il generale dell'armata morta non è mai approdato nelle sale italiane, e venne trasmesso una sola volta dalla RAI con il titolo storpiato de L'armata ritorna. Ufficialmente, la distribuzione del film era rimasta bloccata per il fallimento della Gaumont Italia di Renzo Rossellini, ma da sempre c'era stato il sospetto che dietro il blocco distributivo della pellicola aleggiasse una qualche ingerenza governativa - tanti più che altri film incappati nel fallimento del distaccamento italiano della Gaumont erano stati facilmente rilevati da altre società e usciti, a cominciare da La città delle donne (1980) di Fellini.
Con un incredibile lavoro di scavo in archivi italiani, albanesi e francesi, il giornalista Antonio Caiazza, già autore di diversi libri e reportage sui Balcani, ha raccolto le prove effettive di curiose macchinazioni che, prima ancora della realizzazione del film, avevano visto soprattutto il governo italiano osteggiare la pellicola, dream project di Tovoli e Piccoli. Il risultato di questo lavoro di scavo è il libro Una storia scomoda. La guerra segreta al film con Mastroianni sugli italiani in Albania negli anni del fascismo, edito da Bibliotheka, accattivante saggio ricco di documenti inediti che dimostra come un singolo film potesse diventare oggetto attenzione indebite e di ingerenze diplomatiche tra più stati pur di non toccare il nervo scoperto del colonialismo italiano nell'era fascista e non solo.

La copertina del volume
“Signor Ministro, vengo informato da fonte riservata dell’arrivo a Tirana di una troupe televisiva francese – di cui fa parte il noto attore Michel Piccoli – per iniziare le riprese cinematografiche di un film ricavato dal romanzo dello scrittore albanese Ismail Kadare, dal titolo Il Generale dell’armata morta. Il libro ha per oggetto il recupero delle salme dei caduti italiani da parte di una missione guidata da un generale e un sacerdote inviati dal nostro governo [in Albania] nel dopoguerra. Prendendo spunto, molto alla larga, da una missione che effettivamente si svolse in Albania alla fine degli anni Cinquanta, l’autore ne ha tratto un racconto che, a prescindere dalle sue non scadenti doti letterarie, è spietato, a volte irritante atto di accusa contro l’occupazione italiana dell’Albania, proiettandosi ben al di là di inventate efferatezze compiute dalle milizie fasciste. Attraverso i due protagonisti principali – l’uomo d’armi e l’uomo di chiesa – vengono infatti messi a ludibrio i più vieti, presunti tratti peggiorativi del carattere italiano… Ho creduto doveroso portare la notizia alla Sua attenzione affinché – se lo si giudica opportuno – non rimanga intentata una qualche azione diretta a scongiurare (o quanto meno dirottare) una iniziativa che sicuramente si rivelerebbe un ennesimo discredito, di cui proprio non sentiamo bisogno, dell’immagine dell’Italia nel mondo”.
Questa lettera, scritta il 20 dicembre 1980 dall’ambasciatore d’Italia in Albania Paolo Tozzoli direttamente al ministro degli Esteri di allora, segnò l’inizio delle operazioni diplomatiche per boicottare il film di Tovoli; proprio negli stessi giorni in cui l’ambasciatore albanese in Italia, Piro Bita, annunciava trionfalmente alla madre patria dell’incontro positivo avuto con Marcello Mastroianni. Dal lato italiano, Sergio Romano, a capo della Direzione generale per la cooperazione culturale, scientifica e tecnica alla Farnesina, convocò Bita ai primi di gennaio 1981, risultandone uno strano incontro in cui nessuno dei due poteva calcare troppo la mano per difendere o attaccare il film ancora da realizzarsi.

Marcello Mastroianni e Michel Piccoli in Il generale dell'armata morta (1983)
Parallelamente a questa trama diplomatica, era in corso anche un incessante impegno da parte di Ismail Kadare per assicurarsi la collaborazione delle istituzioni albanesi per la realizzazione del film sul territorio nazionale. Il libro di Caiazza riporta numerose lettere del grande scrittore albanese rivolte a diversi rappresentanti politici e istituzionali del paese, in cui Kadare si diceva disponibile a creare un gruppo di lavoro per revisionare la sceneggiatura scritta da Tovoli, Piccoli e dallo sceneggiatore francese Jean-Claude Carrière per inserire scene di flashback che rappresentassero l’eroismo dei partigiani albanesi nella lotta contro le truppe invasori e “dare un’immagine il più positiva possibile allo spettatore straniero dell’Albania di oggi”.
Non riuscendo a ottenere dal regime l’autorizzazione a recarsi a Parigi per incontri di produzione con Tovoli e Piccoli, ad aprile 1980 Kadare arrivò a scrivere direttamente al dittatore Enver Hoxha una lunga lettera contente affermazioni sorprendenti e quasi servili, pur di smuovere le cose: “come altri colleghi scrittori”, si legge nella missiva di Kadare, “lavoro nel campo della creazione letteraria da anni, cercando con tutte le mie forze di produrre quante più opere possibili al servizio del Partito e del popolo. Nel mio lavoro ho potuto scrivere opere che sono state ben accolte, così come ho scritto anche opere più deboli e talvolta alcune creazioni la cui pubblicazione è stata negativa e ha creato problemi al Partito. Sono consapevole di tutto questo, così come sono consapevole della mia gratitudine verso il popolo e verso il Partito, perché capisco profondamente che sono loro ad avermi reso scrittore e che sono la vita del popolo e del Partito la fonte di ispirazione per le mie opere”. La strategia messa in campo da Kadare era figlia delle dinamiche dei rapporti tra potere e intellettuali di quegli anni – non per nulla una delle sue citazioni più celebri, posta anche in esergo a Una storia scomoda, considera come “nei regimi totalitari il peggio è quando non sai esattamente che cosa succede alla tua opera, ufficialmente non è vietata, ma, per un accordo nascosto, nessuno ne parla, come se non esistesse”.

Lo scrittore Ismail Kadare
Dopo molte lungaggini, portando la pratica del visto in uscita anche al primo ministro Mehmet Shehu che rispose stizzito “non mi intrometto nel dare o non dare il permesso a questo o quello scrittore di uscire dallo stato”, le autorità albanesi concessero a Kadare di andare in Francia poco dopo l’estate 1980. Kadare garantì al suo governo che Tovoli e Piccoli avevano recepito i suggerimenti sulla sua sceneggiatura e si adoperò personalmente per una serie di altre iniziative editoriali e artistiche a favore di altri autori e pittori che giustificassero meglio il suo viaggio a Parigi. Ma dopo che la Farnesina, all’inizio del 1981, attraverso l’ambasciatore Romano aveva fatto sapere più o meno ufficialmente all’Albania di non gradire la realizzazione del film, si dipanò attorno alla produzione una sottile trama di silenzi, ritardi e lungaggini burocratiche che andò avanti per molti mesi. Con le riprese, dopo molti rinvii, previste per l’autunno 1982, il ministero della Cultura realizzò un vero e proprio documento contenente “alcune motivazioni” – pretestuose – “da dare alla parte francese per il rinvio delle riprese del film Il generale dell’armata morta”. Tutto finì nel caos, con telegrammi di fuoco tra Piccoli e la società di produzione esecutiva locale alle prime avvisaglie di problemi e ritardi, e l’improvvisa cacciata del primo nucleo della troupe che si trovava già in Albania per la preparazione del film, con la scusa che i camion militari richiesti per la lavorazione servivano per la raccolta delle mele. Rapidamente Tovoli decise di spostare le riprese dall’Albania all’Abruzzo, e a inizio del 1983 le riprese erano concluse. Dal libro di Caiazza non si evince se e quanto eventuali ulteriori pressioni furono fatte per impedire l’uscita del film nelle sale italiane, approfittando del fallimento della Gaumont Italia: certo è che a fronte delle recensioni entusiastiche della stampa francese – “l’ispirata regia di Luciano Tovoli, che arriva a trasformare magicamente ogni spettatore in Amleto”, si leggeva ne Le Nouvel Observateur; e “la regia di Tovoli può essere paragonata a quella di un grande pittore, e non dimenticheremo facilmente le interpretazioni di Mastroianni e Piccoli”, sentenziava Le Figaro – il film è stato oggetto di un sorprendente oblio per molti anni in Italia, a dispetto del cast e della fama crescente di Kadare, più volte in odore di Nobel.
La storia dell'ostracismo di cui fu oggetto Il generale dell'armata morta, con una trama diplomatica che arrivò a dipanarsi fra tre paesi nel momento in cui fu coinvolta con scarso successo anche la Francia, assume particolare rilevanza al giorno d'oggi, in cui sono state molto commentate le critiche del governo alla produzione dei film su un piano finanziario, è in maniera ufficiale è stata istituita una allocazione esplicita di risorse pubbliche per la realizzazione sostanzialmente di biopic su personaggi chiave della storia e della cultura italiane. Non si era più negli anni cinquanta, quando il Neorealismo era notoriamente e apertamente inviso a molti esponenti di spicco della Democrazia Cristiana nonostante il successo che solleva a livello internazionale: eppure negli anni ottanta, anche sullo sfondo di uno scontro ideologico tra Sandro Pertini ed Enver Hoxha, il Ministero degli Esteri italiano si adoperò per boicottare in tutti i modi la realizzazione del film, con una pacifica collaborazione da parte dell’Albania, salvo poi vederlo realizzato comunque in Abruzzo, dove non si poteva accampare la scusa della dittatura estera per impedire le riprese. Erano d’altronde gli stessi anni in cui il kolossal libico Il leone del deserto veniva ufficialmente vietato dal governo italiano per la rappresentazione che se ne dava del colonialismo italiano in Libia. Escludendo i film di propaganda del periodo fascista, Il generale dell’armata morta potrebbe essere stato il primo film italiano a trattare il tema del colonialismo: Tempo di uccidere di Giuliano Montaldo con Nicolas Cage, tratto dall’omonimo romanzo di Ennio Flaiano, sarebbe arrivato solo nel 1989. È così che Il generale dell’armata morta assume un valore sia come film in sé sia per le sue vicissitudini extra-filmiche, con un posto d’onore in un’ipotetica controstoria del cinema italiano.