
NC-347
14.10.2025
Siegfried Kracauer, nato a Francoforte sul Meno nel 1889 e morto a New York nel 1966, è stato uno dei pensatori tedeschi più eterodossi e difficili da circoscrivere del Novecento. Vicino alla Scuola di Francoforte, indicato da Theodor W. Adorno come il suo vero maestro di filosofia attraverso un'epifanica lettura di Kant, amico anche di Walter Benjamin ed Ernst Bloch, Kracauer ha avuto interessi molto variegati, dalla teoria del cinema alla critica dei costumi, dalla sociologia all'analisi letteraria. Costretto ad emigrare dapprima in Francia e poi negli Stati Uniti dall'avvento del nazismo, lavorò inizialmente al Museum of Modern Art di New York con il sostegno di borse di studio della Fondazioni Guggenheim e Rockefeller, poi alla Columbia University come sociologo. È al pensiero di Kracauer, in particolare al suo pensiero sul cinema, che è dedicato La realtà, esiste? Leggere Kracauer nell'era digitale, il nuovo saggio di Leonardo Quaresima recentemente edito da Mimesis.
"Ero ancora un ragazzo quando vidi il mio primo film. Quel che m'aveva tanto colpito era una strada di un sobborgo piena di luci e di ombre che la trasfiguravano. Sorgevano attorno alcuni alberi e si vedeva in primo piano una pozzanghera che rifletteva facciate di case invisibili e un pezzo di cielo. Poi un soffio di vento fece muovere le ombre, e facciate e cielo riflessi nell'acqua incominciarono a ondeggiare. Il fremito del mondo più alto nella sudicia pozzanghera: un'immagine che non ho più dimenticato". Così raccontava Siegfried Kracauer la sua iniziazione al cinema in Teoria del cinema. La redenzione della realtà fisica, pubblicato originariamente nel 1960 dopo una gestazione ventennale, recentemente riedito in Italia dalla Cue Press. La Teoria del cinema di Kracauer venne sottoposta sin dalla sua apparizione a feroci contestazioni: l'influente critica cinematografica americana Pauline Kael lo definì un catechismo del realismo che uccideva la fantasia, e certo non attecchì molto nel filone dei film studies, anche dopo il revival complessivo dell’opera di Kracauer nei decenni successivi alla sua morte. È a una rivalutazione della Teoria del cinema kracaueriana che Quaresima esplicitamente punta nel suo saggio La realtà, esiste?, passando anche per Gingster e Georg, due romanzi pubblicati da Kracauer tra il 1928 e il 1934, con qualche cenno anche a Da Caligari a Hitler, altro saggio incompreso del saggista tedesco.

Siegfried Kracauer

La copertina del volume
“Il cinema riguarda l’aspetto fisico della vita dentro e fuori di noi. Se il cinema è un mezzo fotografico, deve gravitare verso le distese della realtà esterna. Il cinema è un fluire di fatti casuali”. La Teoria del cinema di Kracauer propone una visione del mezzo cinematografico decisamente più imperniata sull’aspetto tecnico e materiale che su quello formale. “Se il cinema è un’arte, è però un’arte particolare. Insieme alla fotografia è l’unica arte che lasci più o meno intatto il suo materiale grezzo. L’arte che troviamo nei film nasce dunque dalla capacità che hanno i loro creatori di leggere nel libro della natura”. Teoria del cinema propone una concezione ontologica del cinema, dando per assodato che il cinema possieda una sua essenza specifica. “L’approccio del regista viene chiamato ‘cinematografico’ quando riconosce il principio estetico fondamentale. Evidentemente l’atteggiamento cinematografico si realizza in tutti i film che seguono la tendenza realistica. Il che significa che persino i film quasi completamente privi di aspirazioni creative, come i cinegiornali, i film scientifici o didattici, gli informi documentari, etc., sono da un punto di vista estetico proposte valide”. Motivo per cui “se il cinema è comunque un’arte, non va certo confusa con le arti riconosciute”, in modo particolare con l’arte drammaturgica con cui condivide affinità solo sul piano della scrittura. A teatro, scrive Kracauer, “l’uomo è la misura assoluta dell’universo” circostante, mentre al cinema gli attori sono “materiale grezzo, oggetti tra oggetti”. Tra i due linguaggi cambia anche l’esperienza dello spettatore: “a teatro io sono sempre io”, dice Kracauer, “ma al cinema mi dissolvo in tutte le cose, in tutti gli esseri”.
“Se guardate per un certo tempo la superficie di un fiume o di un lago, finirete con lo scoprire disegni formati nell’acqua dalla brezza o da una corrente. Le storie spontanee hanno la natura di questi disegni. Scoperti piuttosto che costruiti, sono inseparabili dai film mossi da intenti documentari”, che spesso “contengono storie spontanee allo stato di larve”. Grande importanza, nella visione che del cinema ha Kracauer, assumono i concetti di estraniamento - come scrisse Adorno: “il procedimento sperimentante di Kracauer restò la trasposizione spirituale di un procedimento da straniero” - e di extraterritorialità. Kracauer evidenzia il carattere epifanico del mezzo cinematografico, quando è ben usato: “il cinema rivela un mondo prima mai visto, un mondo che ci sfugge. La natura fisica è stata persistentemente velata da ideologie. Disintegratasi ora l’ideologia, gli oggetti materiali sono spogliati dai veli. Il cinema ci permette di vedere quello che non vedevamo. Promuove la redenzione della realtà fisica”.

I pensatori della Scuola di Francoforte
Come rileva Quaresima, quella proposta da Kracauer è una storia del cinema “senza nomi”: Teoria del cinema propone un impianto che non è fondato né sulla nozione di autore né su quella di stile. “Il vero fotografo fa appello al proprio essere non per farlo sfogare in creazioni autonome, ma per dissolverlo nelle sostanze dei fenomeni della vita reale che si presentano davanti alle sue lenti”. Kracauer predilige le narrazioni libere, porose, permeabili, dal finale aperto, “tipi di narrazione che lasciano vuoti in cui la vita ambientale può fluire” (Hansen) ben diversi dalle forme di cinema di finzione che allora in America andavano per la maggiore, per quanto lo studioso tedesco abbia dimostrato un certo interesse per i film musicali. “Nel cinema l’arte è reazionaria”, scrive Kracauer in una lettera ad Adorno: “un buon film non dovrebbe aspirare all’autonomia di un’opera d’arte, ma contenere errori, come la vita, come la gente” era una frase di Fellini che il saggista tedesco amava ripetere.
“Sembra che il cinema sia veramente sé stesso quando rimane alla superficie delle cose”, scrive Kracauer: la sua teoria materialista del cinema - che si fa forte di una visione della cultura di massa positiva e ben diversa dalla prospettiva critica adottata dagli esponenti della Scuola di Francoforte, a lui personalmente vicini – si inserisce compiutamente nella sua opera saggistica complessiva di indagine del reale e del sociale. “Prima delle cose ultime è una diretta continuazione della mia teoria del cinema: lo storico ha i tratti del fotografo, e la realtà storica somiglia alla camera-realtà”, scrisse lo studioso in un’altra lettera successiva alla pubblicazione di Teoria del cinema, parlando del suo saggio sulla storia che sarebbe uscito postumo.

Metropolis (1927)
Interessanti sono le pagine de La realtà, esiste? in cui Quaresima approfondisce il concetto di redenzione che compariva nel sottotitolo della Teoria del cinema. Nonostante il risalto dato in copertina a questa categoria teologica, nel testo del saggio il termine redenzione compare solo occasionalmente al di fuori dell’epilogo. Nondimeno Kracauer aveva già fatto ricorso al termine redenzione in una recensione del 1928 a uno dei primi film sonori del cinema tedesco, dicendo che la nuova tecnologia era in grado di redimere i “suoni spontanei della strada”. Sul finale di Teoria del cinema si legge che “redimiamo, alla lettera, questo mondo dal suo stato dormiente, di virtuale non esistenza, cercando di farne esperienza attraverso la macchina da presa”. Per Kracauer il cinema è un mezzo di rivelazione dei fenomeni di ristabilimento delle facoltà umane, che permette un recupero critico e una nuova pienezza alla percezione umana del mondo e del reale. Sintomo della sotterranea influenza del pensiero di Kracauer sulle successive riflessioni sulla natura del cinema, anche Jean-Luc Godard terminò uno dei suoi capitoli di Histoire(s) du cinéma con un’osservazione che riecheggiava il pensiero del saggista tedesco: “l’immagine è innanzitutto dell’ordine della redenzione. Attenzione, quella del reale”.
Le pagine finali de La realtà, esiste? Di Quaresima affrontano la trattazione del mito di Perseo e della Medusa che Kracauer fa nella Teoria del cinema, piegando il mito greco ai fini del suo discorso teorico. “La morale del mito è naturalmente che noi non vediamo, e non possiamo vedere, le cose veramente orrende perché la paura ci paralizza e ci rende ciechi; potremo sapere che sembianza hanno soltanto guardando immagini che ne riproducono fedelmente l’aspetto. Ora, di tutti i mezzi esistenti, il cinema soltanto rispecchia veramente la natura. Ecco perché ne dipendiamo per vedere cose che ci trasformerebbero in pietra se mai le incontrassimo nella vita reale. Lo schermo cinematografico è il lucido scudo di Atena”, si legge in Teoria del cinema. Il cinema, nella visione di Kracauer, assume così un valore quasi apotropaico, di scavalcamento e di superamento del negativo che rappresenta. “Le cose orrende riflesse nello specchio sono fini a sé stesse. Come tali, invitano lo spettatore ad accoglierle integrando così nella propria memoria il volto reale delle cose, troppo orribile per essere visto nella sua realtà. Questa esperienza è liberatoria, perché rimuove un potentissimo tabù. Forse il maggior merito di Perseo non fu quello di tagliare la testa di Medusa, ma di superare le proprie paure e guardarne il riflesso sullo scudo”.
NC-347
14.10.2025

Siegfried Kracauer
Siegfried Kracauer, nato a Francoforte sul Meno nel 1889 e morto a New York nel 1966, è stato uno dei pensatori tedeschi più eterodossi e difficili da circoscrivere del Novecento. Vicino alla Scuola di Francoforte, indicato da Theodor W. Adorno come il suo vero maestro di filosofia attraverso un'epifanica lettura di Kant, amico anche di Walter Benjamin ed Ernst Bloch, Kracauer ha avuto interessi molto variegati, dalla teoria del cinema alla critica dei costumi, dalla sociologia all'analisi letteraria. Costretto ad emigrare dapprima in Francia e poi negli Stati Uniti dall'avvento del nazismo, lavorò inizialmente al Museum of Modern Art di New York con il sostegno di borse di studio della Fondazioni Guggenheim e Rockefeller, poi alla Columbia University come sociologo. È al pensiero di Kracauer, in particolare al suo pensiero sul cinema, che è dedicato La realtà, esiste? Leggere Kracauer nell'era digitale, il nuovo saggio di Leonardo Quaresima recentemente edito da Mimesis.
"Ero ancora un ragazzo quando vidi il mio primo film. Quel che m'aveva tanto colpito era una strada di un sobborgo piena di luci e di ombre che la trasfiguravano. Sorgevano attorno alcuni alberi e si vedeva in primo piano una pozzanghera che rifletteva facciate di case invisibili e un pezzo di cielo. Poi un soffio di vento fece muovere le ombre, e facciate e cielo riflessi nell'acqua incominciarono a ondeggiare. Il fremito del mondo più alto nella sudicia pozzanghera: un'immagine che non ho più dimenticato". Così raccontava Siegfried Kracauer la sua iniziazione al cinema in Teoria del cinema. La redenzione della realtà fisica, pubblicato originariamente nel 1960 dopo una gestazione ventennale, recentemente riedito in Italia dalla Cue Press. La Teoria del cinema di Kracauer venne sottoposta sin dalla sua apparizione a feroci contestazioni: l'influente critica cinematografica americana Pauline Kael lo definì un catechismo del realismo che uccideva la fantasia, e certo non attecchì molto nel filone dei film studies, anche dopo il revival complessivo dell’opera di Kracauer nei decenni successivi alla sua morte. È a una rivalutazione della Teoria del cinema kracaueriana che Quaresima esplicitamente punta nel suo saggio La realtà, esiste?, passando anche per Gingster e Georg, due romanzi pubblicati da Kracauer tra il 1928 e il 1934, con qualche cenno anche a Da Caligari a Hitler, altro saggio incompreso del saggista tedesco.

La copertina del volume
“Il cinema riguarda l’aspetto fisico della vita dentro e fuori di noi. Se il cinema è un mezzo fotografico, deve gravitare verso le distese della realtà esterna. Il cinema è un fluire di fatti casuali”. La Teoria del cinema di Kracauer propone una visione del mezzo cinematografico decisamente più imperniata sull’aspetto tecnico e materiale che su quello formale. “Se il cinema è un’arte, è però un’arte particolare. Insieme alla fotografia è l’unica arte che lasci più o meno intatto il suo materiale grezzo. L’arte che troviamo nei film nasce dunque dalla capacità che hanno i loro creatori di leggere nel libro della natura”. Teoria del cinema propone una concezione ontologica del cinema, dando per assodato che il cinema possieda una sua essenza specifica. “L’approccio del regista viene chiamato ‘cinematografico’ quando riconosce il principio estetico fondamentale. Evidentemente l’atteggiamento cinematografico si realizza in tutti i film che seguono la tendenza realistica. Il che significa che persino i film quasi completamente privi di aspirazioni creative, come i cinegiornali, i film scientifici o didattici, gli informi documentari, etc., sono da un punto di vista estetico proposte valide”. Motivo per cui “se il cinema è comunque un’arte, non va certo confusa con le arti riconosciute”, in modo particolare con l’arte drammaturgica con cui condivide affinità solo sul piano della scrittura. A teatro, scrive Kracauer, “l’uomo è la misura assoluta dell’universo” circostante, mentre al cinema gli attori sono “materiale grezzo, oggetti tra oggetti”. Tra i due linguaggi cambia anche l’esperienza dello spettatore: “a teatro io sono sempre io”, dice Kracauer, “ma al cinema mi dissolvo in tutte le cose, in tutti gli esseri”.
“Se guardate per un certo tempo la superficie di un fiume o di un lago, finirete con lo scoprire disegni formati nell’acqua dalla brezza o da una corrente. Le storie spontanee hanno la natura di questi disegni. Scoperti piuttosto che costruiti, sono inseparabili dai film mossi da intenti documentari”, che spesso “contengono storie spontanee allo stato di larve”. Grande importanza, nella visione che del cinema ha Kracauer, assumono i concetti di estraniamento - come scrisse Adorno: “il procedimento sperimentante di Kracauer restò la trasposizione spirituale di un procedimento da straniero” - e di extraterritorialità. Kracauer evidenzia il carattere epifanico del mezzo cinematografico, quando è ben usato: “il cinema rivela un mondo prima mai visto, un mondo che ci sfugge. La natura fisica è stata persistentemente velata da ideologie. Disintegratasi ora l’ideologia, gli oggetti materiali sono spogliati dai veli. Il cinema ci permette di vedere quello che non vedevamo. Promuove la redenzione della realtà fisica”.

I pensatori della Scuola di Francoforte
Come rileva Quaresima, quella proposta da Kracauer è una storia del cinema “senza nomi”: Teoria del cinema propone un impianto che non è fondato né sulla nozione di autore né su quella di stile. “Il vero fotografo fa appello al proprio essere non per farlo sfogare in creazioni autonome, ma per dissolverlo nelle sostanze dei fenomeni della vita reale che si presentano davanti alle sue lenti”. Kracauer predilige le narrazioni libere, porose, permeabili, dal finale aperto, “tipi di narrazione che lasciano vuoti in cui la vita ambientale può fluire” (Hansen) ben diversi dalle forme di cinema di finzione che allora in America andavano per la maggiore, per quanto lo studioso tedesco abbia dimostrato un certo interesse per i film musicali. “Nel cinema l’arte è reazionaria”, scrive Kracauer in una lettera ad Adorno: “un buon film non dovrebbe aspirare all’autonomia di un’opera d’arte, ma contenere errori, come la vita, come la gente” era una frase di Fellini che il saggista tedesco amava ripetere.
“Sembra che il cinema sia veramente sé stesso quando rimane alla superficie delle cose”, scrive Kracauer: la sua teoria materialista del cinema - che si fa forte di una visione della cultura di massa positiva e ben diversa dalla prospettiva critica adottata dagli esponenti della Scuola di Francoforte, a lui personalmente vicini – si inserisce compiutamente nella sua opera saggistica complessiva di indagine del reale e del sociale. “Prima delle cose ultime è una diretta continuazione della mia teoria del cinema: lo storico ha i tratti del fotografo, e la realtà storica somiglia alla camera-realtà”, scrisse lo studioso in un’altra lettera successiva alla pubblicazione di Teoria del cinema, parlando del suo saggio sulla storia che sarebbe uscito postumo.

Metropolis (1927)
Interessanti sono le pagine de La realtà, esiste? in cui Quaresima approfondisce il concetto di redenzione che compariva nel sottotitolo della Teoria del cinema. Nonostante il risalto dato in copertina a questa categoria teologica, nel testo del saggio il termine redenzione compare solo occasionalmente al di fuori dell’epilogo. Nondimeno Kracauer aveva già fatto ricorso al termine redenzione in una recensione del 1928 a uno dei primi film sonori del cinema tedesco, dicendo che la nuova tecnologia era in grado di redimere i “suoni spontanei della strada”. Sul finale di Teoria del cinema si legge che “redimiamo, alla lettera, questo mondo dal suo stato dormiente, di virtuale non esistenza, cercando di farne esperienza attraverso la macchina da presa”. Per Kracauer il cinema è un mezzo di rivelazione dei fenomeni di ristabilimento delle facoltà umane, che permette un recupero critico e una nuova pienezza alla percezione umana del mondo e del reale. Sintomo della sotterranea influenza del pensiero di Kracauer sulle successive riflessioni sulla natura del cinema, anche Jean-Luc Godard terminò uno dei suoi capitoli di Histoire(s) du cinéma con un’osservazione che riecheggiava il pensiero del saggista tedesco: “l’immagine è innanzitutto dell’ordine della redenzione. Attenzione, quella del reale”.
Le pagine finali de La realtà, esiste? Di Quaresima affrontano la trattazione del mito di Perseo e della Medusa che Kracauer fa nella Teoria del cinema, piegando il mito greco ai fini del suo discorso teorico. “La morale del mito è naturalmente che noi non vediamo, e non possiamo vedere, le cose veramente orrende perché la paura ci paralizza e ci rende ciechi; potremo sapere che sembianza hanno soltanto guardando immagini che ne riproducono fedelmente l’aspetto. Ora, di tutti i mezzi esistenti, il cinema soltanto rispecchia veramente la natura. Ecco perché ne dipendiamo per vedere cose che ci trasformerebbero in pietra se mai le incontrassimo nella vita reale. Lo schermo cinematografico è il lucido scudo di Atena”, si legge in Teoria del cinema. Il cinema, nella visione di Kracauer, assume così un valore quasi apotropaico, di scavalcamento e di superamento del negativo che rappresenta. “Le cose orrende riflesse nello specchio sono fini a sé stesse. Come tali, invitano lo spettatore ad accoglierle integrando così nella propria memoria il volto reale delle cose, troppo orribile per essere visto nella sua realtà. Questa esperienza è liberatoria, perché rimuove un potentissimo tabù. Forse il maggior merito di Perseo non fu quello di tagliare la testa di Medusa, ma di superare le proprie paure e guardarne il riflesso sullo scudo”.